Il British Museum non deve consentire la guerra di Israele contro il patrimonio artistico palestinese

Il prestito del famoso Cilindro di Ciro a Israele nel mezzo della guerra e della distruzione della storia palestinese a Gaza tradisce le origini del manufatto, scrive Jeiran Jahani.

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Jeiran Jahani – 15 marzo 2024

Immagine di copertina: Durante la guerra a Gaza, Israele ha distrutto i siti storici palestinesi e saccheggiato i manufatti. [Getty]

L’ex direttore del British Museum, Hartwig Fischer, ha approvato il prestito del Cilindro di Ciro alla Biblioteca Nazionale d’Israele a Gerusalemme dal 4 ottobre al 28 novembre 2024.

Considerata la storia del Cilindro, le sue appropriazioni politiche indebite a cui il Museo si è precedentemente opposto e la distruzione sistematica del patrimonio palestinese da parte di Israele, questo prestito nella migliore delle ipotesi acquisisce un carattere ironico e nella peggiore mette in pericolo questo inestimabile manufatto del patrimonio iraniano e iracheno.

Come ha fatto in precedenza, il Museo deve riconsiderare la sua decisione di prestare il Cilindro

Il Cilindro, ritrovato a Babilonia nel 1879, è un oggetto di argilla con inciso in babilonese un resoconto della conquista di Babilonia da parte del re achemenide Ciro nel 539 a.C. Registra l’adesione di Ciro ai principi babilonesi del giusto governo, che includono la venerazione e il restauro dei rituali babilonesi e dei monumenti pubblici.

Secondo il Cilindro, Ciro liberò Babilonia dall’ingiusto re Nabonedo, che aveva lasciato cadere in rovina la città. Ne restaurò le mura, le porte, i templi e i rituali e permise alle persone in esilio e alle statue delle divinità di tornare nelle loro città.

 “Laddove si dice che Ciro abbia mantenuto la pace in Babilonia, protetto la sua eredità e permesso alle persone di tornare alle loro case, Israele sta facendo il contrario”

Osservando il rispetto di Ciro per le tradizioni babilonesi, altri re gli pagarono tributi e legittimarono il suo governo. Basta anche solo questo breve riassunto del Cilindro, per svelare l’ironia di questo prestito.

Laddove si dice che Ciro abbia mantenuto la pace in Babilonia, protetto la loro eredità e permesso alle persone di tornare alle loro case, Israele sta facendo il contrario: cancellando l’eredità palestinese, demolendo le loro case, trasformandoli in una delle più grandi popolazioni di rifugiati generazionali del mondo e negando il loro diritto al ritorno. Ma questo non è tutto.

Il testo del Cilindro fu composto da scribi babilonesi secondo le formule babilonesi standard per le iscrizioni reali. Ha precedenti nella storia babilonese e incarna una tradizione di lunga data in cui i governanti seppellivano tali testi nelle fondamenta degli edifici per commemorare le loro attività di restaurazione e il giusto governo.

Il Cilindro testimonia chiaramente la partecipazione di Ciro alle pratiche della cultura materiale babilonese, rendendolo un oggetto di eredità congiunta iraniana e irachena che racconta una storia di sintesi in una regione che è stata testimone di millenni di fusione di culture, lingue e scritture.

Ciò rende prive di senso le affermazioni dell’ex presidente Ahmadinejad che, nel 2010, in occasione della mostra del Cilindro a Teheran, dipinse Ciro come un difensore della patria accanto ai soldati iraniani nella devastante guerra Iran-Iraq.

Il Cilindro di Ciro, un documento in argilla iscritto risalente a 2.600 anni fa, proveniente da Babilonia, è stato esposto al Metropolitan Museum of Art il 20 giugno 2013. [Getty]
Gli studiosi di storia achemenide si sono giustamente opposti a tale politicizzazione riduttiva del Cilindro, e il British Museum si è assunto la responsabilità di “resistere alla manipolazione del significato dell’oggetto e alla sua appropriazione da parte di  un’agenda politica”.

Allora perché non ha mantenuto questa promessa, nel caso di questo prestito?

Le interpretazioni errate del Cilindro iniziarono negli anni ’50 e continuano ancora oggi. Il carattere babilonese del Cilindro fu ignorato dagli studiosi biblici che lo usarono per corroborare i resoconti biblici di Isaia ed Esdra: Ciro fu descritto mentre liberava il popolo ebraico dalla prigionia babilonese e avviava una politica unica di tolleranza ben distinta dai suoi predecessori babilonesi.

Questo divenne il pretesto per i politici iraniani per definire il Cilindro come la prima carta dei diritti umani, promuovendo allo stesso tempo lo Scià come un discendente illuminato di Ciro. Il Cilindro divenne noto come l’oggetto per eccellenza dell’esclusiva eredità iraniana e il suo carattere babilonese fu epurato nel discorso nazionalista dello Scià e nella politica di persianizzazione, facendo eco alle pseudoscienze della razza del XIX secolo e all’ideologia razziale nazista.

Queste calcolate interpretazioni errate continuano con il figlio del deposto Scià, Reza Pahlavi, che in diverse occasioni ha affermato che come (autoproclamato) rappresentante degli iraniani, discendenti di Ciro, porta il suo messaggio di pace, libertà religiosa e diritti umani, e spera di gettare le basi per gli Accordi di Ciro, facendo eco agli Accordi di Abramo.

Sebbene gli studiosi abbiano più volte contestato questa immagine popolare del Cilindro, esso è rimasto nella stretta morsa del nazionalismo iraniano, le cui pagine oscure sono ancora in fase di scrittura.

Questo è solo un esempio in cui i significati multistrato dei manufatti archeologici vengono soppressi per essere messi al servizio delle agende politiche e del discorso nazionalista.

In Israele, parti dei dati archeologici che contraddicono il discorso politico dominante vengono spesso cancellate o ignorate, mentre altre parti vengono privilegiate e utilizzate per comprovare rivendicazioni territoriali.

I coloni hanno creato avamposti e insediamenti illegali sulle colline della Cisgiordania adiacenti a siti archeologici con un sospetto passato israelita. Danno perfino nomi ad avamposti e insediamenti, come Ma’ale Adumim o Migron, con nomi di luoghi biblici, dando una giustificazione archeologica e biblica all’espansione territoriale illegale.

Ciò, nonostante l’esistenza di villaggi e città palestinesi in quei siti, alcuni addirittura con nomi che riecheggiano quelli biblici, tra cui Saffa, Saffuriya e Battir. Le prove archeologiche della continuazione degli antichi insediamenti israeliti dopo la distruzione romana e della sintesi con altre culture sono per lo più ignorate.

 “Israele a Gaza ha distrutto monumenti in quella che è stata definita ‘la peggiore distruzione della storia palestinese'”

Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, l’esercito israeliano rivendicò i siti storici con un passato israelitico in Cisgiordania come loro “proprietà naturale e culturale”. Ciò ha portato non solo a conseguenze archeologiche devastanti, ma anche alla creazione di oltre 200 insediamenti e avamposti illegali con mezzo milione di coloni in Cisgiordania.

Questo prestito mette chiaramente in pericolo il Cilindro trasportandolo in una zona di guerra. Il direttore generale dei musei iraniani, Hadi Mirazei, ha annunciato il suo obiettivo di avviare un procedimento legale contro il British Museum sulla base della Convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato.

Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, i curatori israeliani hanno prontamente rimosso le opere d’arte esposte nei musei di Tel Aviv e Gerusalemme per metterle in un luogo sicuro.

Eppure, allo stesso tempo, Israele ha distrutto i monumenti culturali di Gaza in quella che è stata definita “la peggiore distruzione della storia palestinese”, simile ai crimini di guerra e agli atti probabilmente genocidi commessi dalla distruzione da parte dell’Isis dei siti del patrimonio iracheno, siriano e libico, il saccheggio da parte degli inglesi del patrimonio dei colonizzati e la distruzione da parte dei nazisti del patrimonio e delle proprietà ebraiche.

Questi includono il Museo Rafah, il Museo Deir Al Balah, l’Archivio centrale della città di Gaza, la Grande Moschea Omri, la Moschea Ibn Uthman, il Palazzo Pasha, la Chiesa di San Porfirio, il Monastero di San Hilarion, il cimitero bizantino di Blakhiya, una necropoli romana recentemente scavata, l’antica Porto greco di Anthedon, sito archeologico di Tell es-Sakan e terme samaritane preislamiche, che comprendono 22 siti protetti dall’UNESCO.

Il silenzio dei musei e delle istituzioni culturali israeliane di fronte a una distruzione così diffusa è allarmante e suggerisce una politicizzazione istituzionale del patrimonio culturale e la cancellazione di storie scomode al servizio dell’espansione territoriale.

Altrettanto allarmanti sono le riprese del saccheggio israeliano a Gaza, un crimine di guerra secondo la Quarta Convenzione di Ginevra e la Risoluzione 2347 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il 21 gennaio, il direttore generale dell’Autorità israeliana per le antichità (IAA), Eli Escusido, ha condiviso sui suoi social media un video celebrativo e foto di soldati israeliani in posa con reperti all’interno del sito di deposito archeologico della Scuola francese di ricerca biblica e archeologica di Gaza.

Insieme al video, ha pubblicato una foto di reperti archeologici esposti alla Knesset. Anche se non è chiaro se siano stati saccheggiati da Gaza, Escusido ha cancellato i suoi racconti e ha negato la rimozione dei manufatti da Gaza.

Con il pretesto di salvaguardarli, l’IAA ha successivamente raccomandato all’esercito di spostare i manufatti al Museo Rockefeller di Gerusalemme Est, dove ha sede l’IAA. I video sui social media di soldati che saccheggiano gioielli, denaro, tappeti, strumenti musicali, biancheria intima e persino cosmetici implicano un’impunità strutturale per i saccheggi.

Dopotutto è stato Moshe Dayan, il famoso leader militare israeliano, politico e autoproclamato archeologo dilettante, che ha sfruttato la sua posizione per intervenire nella legge israeliana sulle antichità del 1978, per scavare illegalmente siti archeologici utilizzando manodopera non addestrata dell’esercito israeliano e per impedire studi scientifici legittimi. dei manufatti recuperati, vendendoli anche per tornaconto personale.

Dopo aver approvato questo prestito, Fischer si è dimesso dal suo ruolo di capo del British Museum nel 2023 in seguito alla segnalazione del suo disprezzo dei precedenti avvertimenti sul diffuso furto di antichità da parte di un membro del suo staff curatoriale.

Sicuramente il Museo dovrebbe evitare di commettere un errore simile venendo meno alla propria responsabilità di salvaguardare da eventuali danni questo inestimabile oggetto del patrimonio iraniano e iracheno.

Jeiran Jahani è una studentessa di dottorato presso il Dipartimento di Storia dell’Arte e Archeologia della Columbia University, dove sta ricercando le arti delle prime città dell’antico Iran e Iraq.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali ” – Invictapalestina.org