È tempo di un ordine mondiale democratico

Le minacce degli Stati Uniti agli Stati che intervengono su Gaza devono costringerli a formare una coalizione e a resistere collettivamente all’imperialismo statunitense.

Fonte: English version

di Muhannad Ayyash, 16 aprile 2024

Immagine di copertina: La ministra degli Esteri sudafricana Naledi Pandor e l’ambasciatore sudafricano nei Paesi Bassi Vusimuzi Madonsela parlano il 26 gennaio 2024, giorno in cui la Corte internazionale di giustizia si è pronunciata sulle misure di emergenza contro Israele, all’Aia, nei Paesi Bassi [File: Reuters/Piroschka van de Wouw].

Si è parlato molto della storica causa contro Israele, intentata dal Sudafrica presso la Corte internazionale di giustizia, accusato di aver commesso il crimine di genocidio. Quanto ad azioni concrete, questo caso è stato uno dei pochi punti luminosi in una risposta, altrimenti poco brillante, al massacro israeliano del popolo palestinese da parte degli Stati di tutto il mondo.
Una delle parti meno note di questa storia nel discorso pubblico occidentale in generale, ma più specificamente negli spazi degli attivisti, è che l’impero statunitense sta minacciando di punire il Sudafrica per aver portato avanti questo caso tanto necessario contro Israele.

Il rappresentante repubblicano John James e il rappresentante democratico Jared Moskowitz hanno presentato all’inizio di febbraio la legge sulla revisione delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Sudafrica alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. Questa legge richiederebbe una revisione completa delle relazioni tra gli Stati Uniti e il Sudafrica con la motivazione infondata e pretestuosa che il Sudafrica sostiene il “terrorismo”.

La ministra sudafricana delle Relazioni internazionali e della Cooperazione, Naledi Pandor, ha recentemente dichiarato, durante una visita in Turchia: “In termini di risposte, purtroppo, ci sono alcuni legislatori negli Stati Uniti d’America che hanno assunto una posizione molto negativa nei confronti del mio Paese”.

Sebbene questa storia abbia ricevuto poca attenzione e molti attivisti pro-palestinesi negli Stati Uniti, in Canada, nel Regno Unito e altrove non ne abbiano nemmeno sentito parlare, fa parte del discorso nei circoli di attivisti e studiosi in Sudafrica. Tra le altre cose, le persone sono preoccupate per ciò che queste minacce significheranno per il loro benessere economico, per i finanziamenti alle arti, per i progetti e le iniziative accademiche, comunitarie, sociali e culturali e per la sostenibilità dei modelli di finanziamento delle organizzazioni non governative, dato che molte di queste dipendono economicamente da varie istituzioni statunitensi.

È dovere degli attivisti di tutto il mondo, ma in particolare degli Stati Uniti, esprimersi contro la minaccia statunitense di punire il Sudafrica e chiedere che il loro governo non segua questa strada. Questa dovrebbe diventare un motivo di protesta insieme agli altri motivi che gli attivisti stanno attualmente avanzando. Il Sudafrica si è esposto per la causa palestinese e il minimo che i sostenitori della Palestina possano fare è sostenere il Sudafrica contro le minacce dell’imperialismo statunitense in questo momento.

Spetta anche alle medie potenze di tutto il mondo iniziare a formare una coalizione per proteggere non solo il Sudafrica di oggi, ma anche se stesse dal potere imperiale statunitense.

È evidente per ogni onesto osservatore che senza un’azione diretta da parte degli Stati per isolare economicamente e politicamente lo Stato israeliano e fare pressione su di esso dal punto di vista legale, esso non si allontanerà dalla strada del genocidio – né ora né in futuro.

Quando si chiede di intraprendere questo tipo di azione, una delle risposte più comuni che attivisti, analisti politici e studiosi ricevono dai funzionari governativi di tutto il mondo, compreso il Sudafrica, è la seguente: “Vogliamo perseguire un’azione diretta più significativa per aiutare il popolo palestinese, ma non possiamo permetterci una reazione punitiva da parte degli Stati Uniti”.

Non vedo questa risposta come una forma di indifferenza, né la considero vile. I funzionari governativi non possono ignorare così facilmente le difficoltà economiche che il loro Paese dovrebbe affrontare a causa di una dura reazione degli Stati Uniti.

Ma non è sufficiente chiudere la conversazione con questa risposta. Poiché l’impero statunitense è uno dei principali ostacoli ai diritti, alla libertà, alla liberazione e alla sovranità dei palestinesi, nonché alla sovranità delle medie potenze, gli Stati di media potenza hanno il dovere e l’interesse di pianificare e seguire un percorso d’azione che affronti questo problema.

Ovviamente, la strada migliore è che i Paesi del mondo diventino meno dipendenti dal potere economico imperiale statunitense e occidentale. Anche se ci sono sforzi per raggiungere questo obiettivo, come i BRICS, la strada per cambiare le strutture economiche globali è ancora lunga. Il popolo palestinese non può permettersi di aspettare così a lungo.

Un’altra strada più immediata è quella di rendere difficile per gli Stati Uniti rispondere duramente agli Stati che tagliano tutti i legami diplomatici ed economici con lo Stato israeliano. Il principio di questa via più immediata è semplice: Forza e sicurezza stanno nei numeri.

Se si forma una coalizione di medie potenze che tutte insieme annunciano la rottura dei legami con Israele, sarà più difficile per gli Stati Uniti punirle tutte, perché diventerebbe troppo costoso per gli Stati Uniti stessi farlo.

Che aspetto potrebbe avere una tale coalizione? Può iniziare con Paesi come Sudafrica, Turchia, Brasile, Colombia, Cile, Egitto, Marocco, Spagna, Norvegia, Irlanda e altri. Anche Paesi che già non intrattengono relazioni diplomatiche ed economiche con Israele – come Arabia Saudita, Indonesia, Malesia, Pakistan e altri – potrebbero unirsi alla coalizione per offrire sostegno e protezione dagli Stati Uniti. Anche le potenze minori possono unirsi a questa coalizione, aggiungendo pressione e rendendo virtualmente impossibile per gli Stati Uniti prendere di mira tutti loro.

La spinta può arrivare e paesi come il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Belgio e altri che capiscono che questa è la giusta linea d’azione, ma sono troppo codardi o troppo poco disposti a perseguirla per motivi di interesse economico e per il loro ruolo nell’alleanza imperiale degli Stati Uniti, potrebbero essere indotti ad aderire, anche se parzialmente, imponendo un embargo totale sulle armi bidirezionale a Israele.

Tutto ciò non sarà facile. Ma è necessario e può funzionare. A questo proposito, credo che gli attivisti dovrebbero iniziare a parlare con i propri governi per fare pressione sulla formazione di una tale coalizione. I governi si muoveranno solo sulla base di una strategia “name and shame” e di calcoli di politica elettorale. Anche l’interesse personale dello Stato deve essere affrontato; gli attivisti, gli analisti politici e gli studiosi possono convincere i loro governi che è nel loro interesse seguire questo percorso politico.
Sfidare l’impero statunitense sulla questione della Palestina avrà conseguenze enormi per la costruzione di un ordine mondiale più democratico. Sebbene alcuni degli Stati sopra elencati credano che, semplicemente ignorando la situazione del popolo palestinese, possano evitare di scontrarsi con gli Stati Uniti, si tratta di un ragionamento a breve termine per due motivi.

In primo luogo, il fatto che possano evitare l’ira degli Stati Uniti sulla questione della Palestina non significa che non la affronteranno in futuro su un’altra questione. Non è mai nell’interesse delle medie potenze vivere sotto la subordinazione di una grande superpotenza. Anche se temporaneamente vantaggioso, a un certo punto ci sarà un prezzo da pagare per questa subordinazione. Quindi perché sfidarla ora se non è necessario in questo momento?

È qui che entra in gioco la seconda ragione. Attualmente in tutto il mondo c’è uno slancio popolare per sfidare l’imperialismo statunitense. È il momento di cogliere l’opportunità, di attingere a questa energia e di indirizzarla verso un ordine mondiale democratico che difenda i diritti umani e le libertà per tutti.

È fondamentale cogliere questo momento e inviare un messaggio all’impero statunitense: il business as usual, in cui il dominio degli Stati Uniti determina le direzioni economiche, politiche e culturali internazionali, non è né voluto né tollerato. L’impero statunitense dovrà cambiare idea o isolarsi a sua volta. Quando arriveremo a questo punto, avremo raggiunto la fine del colonialismo dei coloni israeliani. Raggiungeremo la fine dell’apartheid e del genocidio, le due armi più letali nell’arsenale coloniale dei coloni israeliani.

Una volta che Israele sarà isolato a livello globale, sarà costretto a cambiare il suo comportamento. Gli israeliani non avranno altra scelta che cessare il loro progetto coloniale dei coloni. Palestinesi e israeliani potranno allora iniziare a negoziare per una vera pace e giustizia decoloniale all’insegna della soluzione di uno Stato unico, in cui tutti abbiano uguali diritti e libertà e la terra e la sovranità possano essere condivise tra palestinesi e israeliani.

Un tale risultato non solo sarà vantaggioso per i palestinesi e gli israeliani, ma sarà anche un segnale concreto che l’impero statunitense non è più quello di una volta e che i popoli di tutto il mondo, americani compresi, possono iniziare a costruire un vero ordine mondiale democratico che non sia più sotto il controllo di una sola superpotenza.

Un ordine mondiale democratico diminuirà le possibilità di grandi guerre, guerre imperiali e conquiste coloniali dei coloni e contribuirà a evitare le tremende sofferenze umane che i palestinesi stanno vivendo oggi.

Gli orrori che il popolo palestinese sta affrontando da più di 100 anni non sono iniziati con i palestinesi e non finiranno lì. È nell’interesse di tutti evitare queste sofferenze e un modo per farlo è costruire un mondo più democratico.

Il grande Nelson Mandela una volta disse: “Sappiamo troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi”. È ormai tempo che il resto del mondo comprenda il vero significato di questa frase e agisca concretamente per promuovere la libertà dall’impero e dal colonialismo.

Muhannad Ayyash – Professore di sociologia alla Mount Royal University di Calgary, Canada.
Muhannad Ayyash è autore di Un’ermeneutica della violenza (UTP, 2019) e analista politico presso Al-Shabaka, il Palestinian Policy Network. È nato e cresciuto a Silwan, Al-Quds, prima di emigrare in Canada dove ora è professore di sociologia alla Mount Royal University. Attualmente sta scrivendo un libro sulla sovranità coloniale dei coloni.

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org