Guerra a Gaza: la generazione di TikTok vede la verità su Israele

Il pubblico più giovane, che riceve notizie su Gaza dai social media, è fin troppo consapevole della complicità dei principali media occidentali nel Genocidio di Israele contro i palestinesi.

Fonte: English version

Di Myriam Francois – 17 giugno 2024

Immagine di copertina: Palestinesi, feriti negli attacchi israeliani su Bureij, arrivano per essere curati all’Ospedale dei Martiri di Al-Aqsa a Deir al-Balah il 25 maggio 2024 (Bashar Taleb/AFP)

È probabile che Gaza abbia il maggior numero di bambini amputati rispetto a qualsiasi altro conflitto della storia moderna.

A gennaio, l’Unicef ha stimato che circa 1.000 bambini a Gaza avevano perso una o entrambe le gambe, l’equivalente di 10 bambini amputati al giorno.

Quel numero è aumentato enormemente in linea con il continuo attacco di Israele attraverso aree densamente popolate in una striscia di terra non più lunga di un percorso di maratona.

All’inizio di questo mese, in un contesto di crescente numero di vittime, composto prevalentemente da donne e bambini, l’ONU ha annunciato che avrebbe aggiunto Israele a una lista nera di Paesi e organizzazioni che danneggiano i bambini nelle zone di conflitto. Per molti, questo è in ritardo di circa sette mesi.

Una delle sfide nel dire la verità sugli effetti della guerra di Israele sulla popolazione civile di Gaza è stato il rifiuto da parte delle autorità israeliane di consentire l’accesso a Gaza ai giornalisti stranieri.

Mentre i giornalisti palestinesi sono stati uccisi in numero record mentre coprivano il massacro del loro stesso popolo, nessun organo di stampa straniero ha spinto abbastanza per garantire l’accesso ai propri giornalisti.

Ciò ha significato che il conflitto è stato pesantemente distorto a favore di una narrazione ufficiale israeliana, progettata per proteggere l’inquadramento della violenza come difensiva, nonostante la sua continuità con una storia di Pulizia Etnica, e l’enorme livello di danno a tutte le forme di vita e infrastrutture.

Realismo inquietante

Canale 4 nel Regno Unito è stato uno dei pochi media impegnati a centrare le prospettive palestinesi nella sua copertura, nonostante le sfide affrontate.

Kill Zone: Inside Gaza by C4’s Dispatches (Zona di Morte: Dentro Gaza dai Dispacci di Canale 4) è uno dei documentari più inquietanti che abbia mai visto.

Come molti, negli ultimi otto mesi ho vissuto costantemente di immagini terrificanti provenienti da Gaza, ma pur essendo il mio lavoro, ero e sono rimasto straziato.

In una scena, lo zio di un bambino che ha perso entrambi i genitori e le gambe, sta davanti al suo letto d’ospedale in un corridoio affollato trattenendo le lacrime. “Non lo sa ancora”, dice alla telecamera lo zio. “Non sa dei suoi genitori o delle sue gambe”.

L’intensità del dolore che avrebbe dovuto trasmettere a questo bambino piccolo, che giaceva sotto shock con i monconi fasciati, bruciava attraverso i suoi occhi stanchi.

Portandoci attraverso mesi di bombardamenti e sfollamenti, ed evidenziando la realtà per i palestinesi che oggi non ci sono posti sicuri a Gaza, il docufilm è una piccola goccia di realismo profondamente inquietante in un mare di disinformazione israeliana.

In quanto tale, evidenzia il potere di questa disinformazione nel fornire la necessaria copertura di facciata alle aziende dei media e ai politici per continuare a giustificare questo attacco, dato che se queste immagini fossero mostrate nei nostri notiziari, così come lo sono nei flussi di notizie sui social media, sarebbe difficile credere a: “questa è legittima difesa” o “e colpa di Hamas?”, non potrebbe assolutamente reggere.

Sebbene il documentario abbia chiaramente lottato con la sfida dell’accesso a filmati continui provenienti dalle stesse fonti, ha portato in primo piano l’immenso impatto che il conflitto ha avuto sulle persone che rischiano la vita per raccontare le storie.

Un giornalista palestinese copre l’uccisione dei suoi fratelli gemelli e del padre nel bombardamento di un quartiere residenziale, per poi documentare anche un attacco in cui è rimasta ferita anche sua sorella. Le perdite sono troppo grandi anche attraverso lo schermo.

“Tutti gli Occhi Puntati su Rafah”

Molto è stato detto sul cambiamento generazionale in atto riguardo all’atteggiamento nei confronti della Palestina: un recente sondaggio ha suggerito che la maggioranza dei giovani britannici non crede che Israele dovrebbe esistere e che la maggioranza dei giovani in America simpatizzava più con i palestinesi che con gli israeliani, con il 34% ritenente che le ragioni di Hamas per combattere Israele fossero valide.

Mentre i social media hanno preso il sopravvento nella fornitura di informazioni al pubblico più giovane, con filmati senza filtri provenienti da smartphone traballanti a Gaza che trasmettono la dimensione dell’orrore, molte piattaforme di notizie tradizionali hanno perso credibilità presso i più giovani, che erano già meno propensi a seguirle.

La dissonanza tra le immagini che vedono provenienti da fonti originali, o da persone che altrimenti potrebbero conoscere o di cui si fidano sui social media, ha approfondito un abisso generazionale già crescente sull’atteggiamento nei confronti della Palestina. Ciò è radicato in gran parte nella disinformazione che le principali piattaforme di informazione hanno consentito ai funzionari israeliani di continuare a diffondere, di fronte ai crescenti Crimini di Guerra.

Oggi, la realtà del bisogno di autodeterminazione del popolo palestinese Occupato e della sua Lotta di Liberazione Nazionale di fronte a un’Occupazione brutale non è mai stata così chiara ai giovani.

Un’immagine: “Tutti gli Occhi Puntati su Rafah”, generata dall’Intelligenza Artificiale è stata condivisa più di 44 milioni di volte su Instagram, e i contenuti pro-Palestina stanno proliferando su TikTok, dove gli attivisti affermano che c’è meno censura rispetto a Meta, di proprietà statunitense.

C4’s Dispatches e la sua copertura più equilibrata rispetto alle sue controparti sono i benvenuti, ma il pubblico più giovane vede sempre più oltre la distorsione dell’Hasbara e oltre la ristretta ammissibilità di vedere i palestinesi come terroristi o vittime.

Penitenza colpevole

È giunto il momento che i palestinesi siano rappresentati con la dignità che meritano: con la propria voce, con le proprie aspirazioni, compreso il successo del Movimento di Liberazione Nazionale.

Anche se i media liberali hanno spesso confuso le rappresentazioni pietose delle vittime palestinesi con una copertura equilibrata, non è così: è una colpevole penitenza per la realtà degli orrori che sanno si stanno svolgendo ma che non documentano accuratamente.

Nelle redazioni di tutto il mondo occidentale, i giornalisti hanno pianto durante le riunioni editoriali, nascosti nei bagni per urlare e sono stati persino licenziati per aver tentato di sfidare il pregiudizio.

Parallelamente al conflitto si svolge una battaglia all’interno del giornalismo occidentale, progettata per fornire una copertura ideologica a uno dei peggiori orrori del 21° secolo, nonostante l’impegno del giornalismo sui “fatti”.

La vera giustizia editoriale su questa storia implica consentire al Movimento di Liberazione Palestinese di essere ascoltato alle sue condizioni. Non si tratta più di compatire i bambini feriti: si tratta di ritenere Israele veramente responsabile dei suoi Crimini e di dare voce alla richiesta di libertà di un popolo Occupato; libertà dall’Occupazione, libertà dall’Apartheid, libertà dalla Violenza.

I palestinesi meritano giustizia e coloro che guardano la loro lotta attraverso gli schermi di tutto il mondo sono sempre più consapevoli e coinvolti.

È giunto il momento che i media tradizionali si aggiornino, altrimenti rischiano di perdere la loro restante credibilità a favore della Brigata TikTok.

Myriam François è una giornalista, conduttrice e scrittrice franco-britannica specializzata in attualità, Francia e Medio Oriente. È anche ricercatrice associata presso la Facoltà di Studi Orientali e Africani dell’Università di Londra.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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