Un piano per il dopoguerra di Gaza dovrebbe essere imposto a Netanyahu

Netanyahu non sembra avere un vero piano per Gaza, né per ora né dopo la guerra. Quindi, prolunga la guerra nonostante il fatto che il suo esercito sia esausto ed esaurito e sia costretto a combattere su più fronti.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 17 giugno 2024

Immagine di copertina: Benjamin Netanyahu, Yoav Gallant e Benny Gantz alla base militare di Kirya, Tel Aviv, Israele, 28 ottobre 2023. (AP Photo)

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu viene spesso criticato per non essere riuscito a produrre una visione per il “giorno dopo”, ovvero la fase successiva alla fine della guerra di Gaza.

Alcune di queste critiche provengono dai tradizionali alleati occidentali di Israele, che sono diffidenti nei confronti dei programmi personali e politici di Netanyahu, focalizzati nel ritardare i suoi processi per corruzione e nel garantire che i suoi alleati estremisti rimangano fedeli all’attuale coalizione di governo.

Le critiche, tuttavia, sono più forti nello stesso Israele.

“Finché Hamas manterrà il controllo sulla vita civile a Gaza, potrebbe ricostruirsi e rafforzarsi, richiedendo così che l’esercito israeliano ritorni e combatta nelle aree in cui ha già operato”, ha detto a maggio il Ministro della Difesa Yoav Gallant, chiedendo al tempo stesso un piano per il “giorno dopo”.

Lo stesso sentimento è stato espresso dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano Herzi Halevi. “Finché non ci sarà un processo diplomatico per sviluppare un organo di governo nella Striscia che non sia Hamas, dovremo lanciare continue campagne”, ha detto.

È vero che Netanyahu non ha un piano per il dopoguerra. La mancanza di una simile “visione”, tuttavia, non dipende interamente dalla sua incapacità di produrne una, ma piuttosto dalla sua incapacità di determinare, con un certo grado di certezza, se la guerra darà risultati favorevoli per Israele.

Nove mesi di guerra hanno dimostrato che Israele è semplicemente incapace di mantenere la sua presenza militare nelle aree urbane, anche quelle che sono state sottoposte a Pulizia Etnica o sono scarsamente popolate. Ciò si è dimostrato vero sia nel Sud che nel Nord di Gaza, comprese le città di confine in cui era relativamente facile entrare nei primi giorni e settimane di guerra.

Affinché venga prodotto un piano postbellico che si adatti agli interessi israeliani, Gaza dovrebbe essere sottomessa militarmente, un obiettivo che sembra più lontano che mai.

All’inizio della guerra, e molte volte da allora, Netanyahu sostenne che Israele avrebbe avuto “la responsabilità generale della sicurezza” per la Striscia di Gaza “per un periodo indefinito.” Anche questo è improbabile, dato che Israele ha cercato di stabilire un tale controllo di sicurezza tra il 1967 e il 2005, quando è stato costretto, a causa della Resistenza Popolare durante la Seconda Intifada, a ridistribuire le sue forze fuori dalla Striscia di Gaza, imponendo al contempo un assedio ermetico che è stato in vigore da allora.

Gli eventi recenti hanno dimostrato che anche lo stesso blocco israeliano è insostenibile, poiché coloro a cui era stato affidato il compito di tenere rinchiusi gli abitanti di Gaza hanno fallito miseramente nel loro compito principale. Questa valutazione è stata fatta dallo stesso esercito israeliano. “Il 7 ottobre, ho fallito nella missione della mia vita: proteggere il confine di Gaza”, ha affermato il comandante della 143a Divisione, il Brigadiere Generale Avi Rosenfeld, dando le dimissioni la scorsa settimana.

Ciò significa che il ritorno allo status post-1967 non è un’opzione razionale, così come non lo è la riattivazione del cosiddetto Piano di Disimpegno post-2005.

Mentre Washington è impegnata nella speranza di ideare un’alternativa che garantisca la sicurezza a lungo termine per Israele, senza alcun riguardo per i diritti, la libertà o la sicurezza dei palestinesi, ovviamente, Netanyahu si rifiuta di stare al gioco. Il problema con le idee americane, per quanto riguarda il governo israeliano, è che un linguaggio come “ritorno ai negoziati” è tassativamente proibito nella politica principale del Paese.

Inoltre, Netanyahu rifiuta qualsiasi coinvolgimento dell’Autorità Palestinese a Gaza. Questa posizione, che è stata sostenuta anche da altri funzionari israeliani, sembra lasciare perplessi molti, poiché l’Autorità Palestinese è già inclusa negli accordi di sicurezza di Israele in Cisgiordania. Il vero timore di Netanyahu è che un ritorno dell’Autorità Palestinese a Gaza avrebbe un prezzo politico, poiché darebbe maggiore credibilità al Presidente Mahmoud Abbas, che è fortemente coinvolto nel “processo di pace sostenuto dagli Stati Uniti”.

Non solo l’attuale dirigenza israeliana rifiuta qualsiasi ritorno al vecchio linguaggio politico, ma è anche andata fondamentalmente avanti, portando il suo linguaggio a quello dell’annessione militare della Cisgiordania e persino della ricolonizzazione di Gaza. Per ricolonizzare Gaza, secondo le aspettative del Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, dovrebbero verificarsi due eventi consecutivi: primo, la neutralizzazione della Resistenza di Gaza, e poi una Pulizia Etnica parziale o totale della popolazione palestinese residente in Egitto.

Mentre l’esercito israeliano sta fallendo nel suo primo compito, anche il secondo sembra irrealizzabile, soprattutto da quando la recente operazione israeliana a Rafah ha respinto centinaia di migliaia di sfollati di Gaza dal confine con l’Egitto al centro della Striscia.

Netanyahu non sembra avere un vero piano per Gaza, né per ora né dopo la guerra. Quindi, prolunga la guerra nonostante il fatto che il suo esercito sia esausto ed esaurito e sia costretto a combattere su più fronti. Tuttavia, anche incolpare Netanyahu per non essere riuscito a produrre una visione del “giorno dopo” per Gaza è un mero desiderio, poiché presuppone che Israele abbia tutte le carte in regola. Non ne ha nessuna.

Naturalmente esiste un’alternativa allo scenario di guerra infinita; vale a dire, revocare permanentemente l’Assedio di Gaza, porre fine all’Occupazione Militare e smantellare il Regime di Apartheid. Ciò garantirebbe ai palestinesi la libertà e i diritti garantiti dalle leggi umanitarie internazionali.

Se la comunità internazionale trovasse il coraggio di imporre a Tel Aviv una simile realtà del “giorno dopo”, non ci sarebbe bisogno di guerra, né di Resistenza.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Trqduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org