Bergamo Pride 2024: contro il pinkwashing israeliano del genocidio

Il Bergamo Pride in sostegno al popolo palestinese

di Lorenzo Poli – 18 giugno 2024

Come ogni anno, tra giugno e luglio, vi sono le ondate Pride che colorano le piazze con i colori dell’amore e dei diritti. Tra i tanti eventi ad aprire il mese dei Pride in Italia c’è stato il Bergamo Pride tenutosi il 15 giugno, ovviamente tra polemiche e facendo molto parlare di sé, soprattutto tra i suoi oppositori.

Quest’anno però, oltre alle crociate degli omofobi di stampo fascista ed ultracattolico, le polemiche sono partite dall’invito degli organizzatori ad escludere le bandiere israeliane – quella bianca con la Stella di David blu  – dalla manifestazione.

L’organizzazione Bergamo Pride ha spiegato la sua decisione con un lungo post pubblicato sui vari canali social lo scorso 4 giugno. Ribadendo la propria posizione “a sostegno del popolo palestinese”, i volontari hanno sottolineato come l’associazione “promuove ideali di pace, sorellanza e fratellanza” che sarebbero, dunque, “incompatibili con le politiche attuate ai danni delle persone palestinesi”. Accogliendo l’appello promosso dalle associazioni a sostegno dei diritti del popolo palestinese, Bergamo Pride ha affermato che “nella piazza del 15 giugno non saranno gradite bandiere israeliane o inneggianti alla simbologia connessa allo stato di Israele”. È proprio da questa posizione che è iniziata la bagarre.

Proprio a causa del genocidio che Israele sta mettendo in atto verso la popolazione gazawi, sono state rifiutate non solo il patrocinio dell’ambasciata israeliana (che ad ogni Pride italiano deve mettere la sua partecipazione come brand), ma anche la presenza delle associazioni filo-sioniste.

La serietà e la coerenza politica del Bergamo Pride lancia involontariamente un messaggio chiaro a tutto il mondo LGBTQ+, invitandolo a prendere posizione: perché accettare la presenza delle bandiere di uno Stato che è fautore di un’occupazione coloniale, riconosciuta come tale dall’ONU, e di un sistema d’apartheid razzista? Perché tollerare in modo equidistante la presenza di uno Stato – che viola sistematicamente i diritti umani, civili e politici di un popolo – ad una manifestazione per i diritti? Perché tollerare il sostegno ipocrita dei diritti LGBTQ+ da parte di uno Stato teo-conservatore come Israele che strumentalizza e mercifica questi temi  per dare un’immagine esemplarizzata di sé come “democrazia liberale” a tutto il mondo occidentale? Ed ancora, è veramente tollerabile l’esibizione del pinkwashing israeliano ad una manifestazione per i diritti LGBTQ+ dopo che dal 7 ottobre 2023 l’esercito israeliano – autodefinito l’esercito più “gayfriendly del mondo” – ha ucciso più di 16.000 bambini palestinesi (dati dell’Ufficio Informazioni Governativo (GMO) della Striscia di Gaza)?

Domenica 16 giugno, fonti mediche del Ministero della Salute di Gaza hanno reso noto che il bilancio attuale delle vittime a seguito dell’offensiva genocida israeliana in corso sulla Striscia è salito rispettivamente a 37.345 morti e a oltre 85.250 feriti, per lo più donne e bambini. Hanno aggiunto che nelle ultime 24 ore le forze di occupazione israeliane hanno commesso quattro massacri nella Striscia, provocando l’uccisione di 41 persone e il ferimento di altre 102, senza contare le almeno 10.000 persone che risultano disperse, presumibilmente morte sotto le macerie delle loro case in tutta la Striscia.

Di fronte a tutto questo, la posizione del Bergamo Pride non ha voluto essere  equidistante, bensì di una coerenza disarmante. Purtroppo questa serietà politica è stata pagata. L’associazione Italia-Israele ha dichiarato fin da subito che «Non parteciperemo»; l’Arcigay invece è stato presente ma ha sostenuto l’importanza di «evitare posizioni unilaterali»; mentre il Comune di Bergamo, guidato come regola da un’amministrazione di centro-sinistra, ha ritirato il suo patrocinio, definendo la posizione troppo «politica» e di una “intolleranza inaccettabile”.

Il Comune di Bergamo, come era ormai solito fare negli ultimi anni, aveva approvato il patrocinio al Pride del 2024. Decisione che, però, è stata rivalutata in seguito alla presa di posizione dell’associazione organizzatrice. Come riportato dal Corriere della Sera, la giunta comunale avrebbe incontrato i volontari chiedendolo loro di rivedere la propria posizione e adottarne una che ritenevano più equilibrata.

La mattina del venerdì 7 giugno, la giunta a guida Giorgio Gori (Pd) ha deciso di revocare ufficialmente il patrocinio: “L’associazione ha trasformato l’iniziativa da evento a favore dei diritti civili, contro ogni discriminazione delle libertà sessuali, in una manifestazione a favore del popolo palestinese, caratterizzata da tratti di intolleranza che non possono essere accettati” – si legge sul comunicato – “la decisione è stata assunta a malincuore, dopo reiterati tentativi di riportare la manifestazione ai suoi contenuti originali”. Una vergognosa presa di posizione che da un lato avalla di fatto il sostegno della giunta alle azioni genocide di Israele; e dall’altro rende veramente l’idea di cosa Hannah Arendt – atea di origini ebraiche e convinta antinazista ed antisionista – intendesse con l’espressione “banalità del male”.

La colpa del Bergamo Pride è stata quella di essersi schierata apertamente “a sostegno del popolo palestinese e contro il genocidio in atto”.

Il manifesto politico del Bergamo Pride all’insegna dell’intersezionalità e della decolonizzazione

Il documento politico 2024 del Bergamo Pride è una ventata di aria fresca che dovrebbe essere d’esempio per tutto il movimento LGBTQ+. Il tema  scelto quest’anno è il corpo. Corpi trans*, non binari, grassi, disabili, migranti, animali e i “corpi queer”, in ogni loro forma e aspetto.
“Attraverso la relazione tra i nostri corpi (tramite la vista, il tatto, l’udito) si costruiscono le nostre relazioni e interazioni con il mondo che ci circonda, ma proprio il corpo diventa spesso l’oggetto dell’oppressione politica. Dal diritto all’autodeterminazione di genere, passando per l’accesso all’aborto, fino alla libertà di espressione nel vestire, l’analisi della legislazione e della regolamentazione sui corpi ci propone uno specchio intersezionale sulla realtà. “A corpo libero” è uno slogan, un motto ma anche un augurio ed una speranza, per un Pride libero, accessibile e sempre rivoluzionario.” – questo è quanto si legge nella sua presentazione.

Oltre ai temi della salute fisica e mentale, del rapporto con le istituzioni, dei nuovi modelli di famiglia, dell’antifascismo, del transfemminismo e dell’antispecismo (promuovendo l’uguaglianza tra le forme di vita e riconoscendo la connessione tra liberazione queer e liberazione animale), ciò che più di tutto balza all’occhio è l’importanza che viene data alla formazione, ovvero all’ “essere formatə e aggiornatə sulle tematiche che riguardano e che si intersecano con la comunità LGBTQIA+”; all’indipendenza, il fatto di essere un’associazione autonoma e orizzontale; e all’etica, decidendo di “non accettare partnership da multinazionali o aziende di grosse dimensioni, e di valutare le altre proposte di collaborazione in base al singolo caso”. Questi presupposti sono oggi fondamentali per la coerenza e la serietà politica di un movimento, di un partito e di un’organizzazione politica.

Andando invece a leggere i contenuti si scopre che il Bergamo Pride ha l’intenzione di perseguire la via dell’intersezionalità – termine coniato dal femminismo black statunitense (Kimberlé Crenshaw, 1989) – con l’intento di rendere giustizia all’esperienza di vita di tutte le identità sociali vittime di una molteplice oppressione di genere, di razza, di religione, di cultura e di classe, “restituendoci un’analisi sia sociologica che antropologica capace di valorizzare la complessità che risiede nelle esperienze marginalizzate” – come spiega il documento. “Ogni essere umano, in quest’ottica, rappresenta un incrocio di identità, privilegi e oppressioni, e non può essere ridotto a nessuna delle sue singole parti. Fondamentale per il discorso intersezionale è il rifiuto di una qualsivoglia gerarchia delle oppressioni: nessuna lotta è più importante, più urgente o più nobile di un’altra, poiché solo nell’unità della lotta si può contrastare la molteplicità delle oppressioni.” – afferma il documento.

Altro punto centrale è l’impegno che il Bergamo Pride si è preso nel sostenere l’antirazzismo e i processi di decolonizzazione nel mondo: “La nostra lotta per l’uguaglianza comprende anche la sfida di abbattere le strutture di discriminazione razziale che persistono nella società odierna. Inoltre, ci schieriamo inequivocabilmente a favore della decolonizzazione”.

Se quest’ultima frase fosse stata letta sia dalle associazioni filo-israeliane sia dal Comune di Bergamo, forse non avrebbero fatto la figuraccia di richiamare all’ordine gli organizzatori del Bergamo Pride parlando di “intolleranza inaccettabile” e accusando di aver trasformato un “evento a favore dei diritti civili, (…) in una manifestazione a favore del popolo palestinese”. Se solo avessero letto, avrebbero capito che ad essere fuori luogo erano loro e la loro equidistanza, tanto cara agli ex-manager di Fininvest che oggi si vogliono mostrare pubblicamente sensibili ai temi dei diritti quando per anni si sono mostrati indifferenti.

Il problema dunque non è il manifesto politico degli attivisti del Bergamo Pride, ma piuttosto il modo depoliticizzato e falsamente apolitico della giunta Gori-Carnevali di sostenere i diritti in modo “moderato” che si concretizza nella giustificazione e nel loro sostegno ad Israele con la vecchia e patetica retorica dell’essere “l’unica e grande democrazia del Medioriente”. Il Bergamo Pride 2024 ha sferzato un colpo importante al pinkwashing israeliano, mostrando alle correnti liberali del movimento LGBT che tutti coloro che si occupano di diritti sono chiamati ad interessarsi dei diritti di tutt* contro ogni struttura gerarchica di oppressione, di potere e di discriminazione per una vera liberazione dal sistema e non per un’emancipazione nel sistema.

È importante chiederci, quando viene data visibilità alle lotte per i diritti LGBT:

quale fine serve la loro presenza?
Fino a che punto le cause e le persone ne stiano beneficiando?
Come si possono usare le piattaforme dei movimenti LGBT per richiedere diritti senza marginalizzare nessuno?
Come possono essere usate le loro voci senza coprire le altre?
E, soprattutto, come si possono proteggere per evitare di essere usati come simboli o come pretesti o coperture per altre violazione dei diritti umani?