Segue traduzione in italiano.
Some of us wonder what the activism, especially the international activism, represents today. The strategies which guide the macro-politics lack reference parties and movements. Moreover, the numerous analyses on crisis areas are rarely followed by interventions. But the issue is even more complex.
It seems that nowadays the activism has been narrowed to a particular kind of activism, the one of “solitary cavaliers” who support a certain campaign following individual patterns.
In the past, this modus operandi was rooted in some particular ideologies –such as the anarchy for instance – and was countered by collective ideas and projects. These latter are represented by those deeds marking the history of classes and communities; by what Gramsci, in a letter to his son Delio written in the prison, described as “… everything concerning human beings, as more as possible, all the human beings in the world who join together to shape communities and work and fight for improving themselves” (A. Gramsci in Letters from Prison). In other words, as Gramsci claimed, the productive engagement aimed at bringing positive changes needs voices, arms, minds, hearts (in the plural) taking distance from all forms of individualism.
Of course this is not easy but for more than one century this has been the mainstream approach endorsed by activists. Activists who still consider this approach the only viable path, a kind of activism emblem, cannot understand the role of solitary activists who avoid any kind of collaboration. They prefer to act- or better to show off- in a kind of “solo” that would be certainly more efficienti if the solitary activists joined other activits involved in the support of the same campaigns.
We do know that sometimes we part ways. Fine. But we do like to reflect on principles. We do like to reflect on different horizons of meaning of the people who are still able to place a common goal before their ego, to share this goal and to think together to establish common and better strategies; to transform the “me” in “you”; who are still able to live the gift of the activism – which sometimes become a real turmoil – not as a personal challenge, but as a shared transformation’s project. In which the individual can nourish his soul and values countering his naural egotism.
Invictapalestina
Alcuni di noi s’interrogano su cos’è oggi, o cos’è diventato, l’attivismo, specie internazionalista. Non solo sul versante delle strategie guida della macro-politica che ci trovano orfani di partiti e movimenti di riferimento, e di linee applicative in tante analisi, che comunque non mancano, però scarseggiano di possibilità applicative in diverse aree di crisi.
Il discorso s’approssima a quel genere di attivismo con cui taluni “cavalieri solitari” ritengono di agire per una causa seguendo schemi individuali. Una scelta che un tempo aveva radici ideologiche, ad esempio, nell’anarchia e vedeva su fronti paralleli e alternativi altri pensieri e progetti segnati da intenti collettivi.
Quelle gesta che segnano la storia di classi e popoli come Gramsci ricordava dal carcere al figlio Delio “… tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano a migliorare se stessi” (da “Lettere dal carcere”). Si sorvoli sul termine “uomini” inteso dal pensatore come umanità, senza esclusione per gli altri generi.
Insomma, l’impegno costruttivo per creare e lottare cerca voci, braccia, menti, cuori al plurale, fuori da ogni soggettivismo. Cosa, indubbiamente, difficile a farsi, ma per un secolo e oltre quest’approccio ha girato nella prassi militante. Chi ne fa tuttora una bandiera, o perlomeno un percorso imprescindibile, stenta a comprendere la figurae l’operato dell’attivista unico, che schiva collaborazioni e si mostra, e quasi esibisce, in un assolo che ben più forza riceverebbe compartecipando a percorsi con tutti coloro impegnati in cause comuni.
Sappiamo che le strade talvolta possono prendere indirizzi differenti, e sia. Ma è sul principio che ci piace riflettere. Sul diverso orizzonte di coloro che prima di se stessi vedono un fine, lo condividono e ragionano per stabilire comuni e migliori strategie; per convertire l’io in noi; per vivere il dono dell’azione (o dell’agitazione) non alla maniera d’una personale sfida, ma come progetto pianificato di trasformazione comune.
Nel quale anche il singolo nutre l’anima e gli ideali, perché combatte l’egoismo che vive in natura.
Il gruppo di Invictapalestina.