La sostanziale differenza tra le scuole israeliane e arabe sullo stesso lato del muro

A soli cinque minuti da Kfar Saba, sotto il pieno controllo israeliano, i bambini del villaggio arabo a-Ramadin frequenteranno una scuola fatta di argilla, senza elettricità, e certamente senza computer. Tutti gli anni in cui ho insegnato e diretto una scuola non avrebbero potuto prepararmi per questo posto.

Pubblicato il 28 agosto 2016 da Eitan Kalinski

 

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La scuola araba di a-Ramadin

Davanti a una struttura denominata “scuola per i bambini del villaggio di Arab a-Ramadin”, situato a cinque minuti da Kfar Saba, provavo vergogna e mi sentivo a pezzi dopo oltre 40 anni di insegnamento. A due passi dal Centro Culturale e dalle scuole di Kfar Saba a ovest, e dall’insediamento di Alfei Menashe a est, si trova un’indefinibile struttura angusta di argilla con un tetto a cielo aperto. La chiameremo scuola.

A Kfar Saba, che come ho detto è a cinque minuti di distanza da questa scuola, in ogni scuola lo staff degli insegnanti è impegnato diligentemente nella fase degli ultimi preparativi per ricevere gli studenti che arriveranno nelle aule interattive, nei laboratori di chimica e fisica, informatica e robotica, in palestra, nelle spaziose classi ben illuminate (dotate di aria condizionata che darà brividi durante le ondate di calore e di riscaldamento per quando farà freddo), in un grande cortile per la ricreazione (con bagni e fontane), e nei corridoi corredati di armadietti e distributori d’acqua fresca. Ho fatto l’insegnante per oltre 40 anni. Sono stato direttore di istituti scolastici per diversi anni e ho condotto un seminario per insegnanti a Safed. Tutti i miei organi associati col sistema di istruzione sabato hanno patito uno shock, quando ho lasciato un tour con decine di giovani membri di attivisti per la Pace e mi sono arrestato davanti a questa struttura. Ho avvertito l’intensità di un divario doloroso tra quello che ho sperimentato in tutti gli anni che ho trascorso nel sistema scolastico, e la violazione del rispetto per studenti e insegnanti, che verrà perpetrata il 1° settembre all’ingresso della scuola di Arab a-Ramadin.

Dall’altra parte, per i bambini di Arab a-Ramadin – situato in Area C, sotto la piena giurisdizione israeliana – uno staff di insegnanti pervasi dalla missione di fare l’impossibile aspetta tra le mura di argilla dell’aula. Sotto un tetto sgangherato e a cielo aperto, tre studenti siederanno intorno a ogni banco perché non ce ne sono a sufficienza, e più di 40 studenti si stiperanno in una classe. I raggi del sole brilleranno attraverso una piccola finestra per illuminare la stanza, che non è allacciata alla rete elettrica.

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The village of Arab a-Ramadin in the center, isolated on the Israeli side of the separation barrier. (Map: B’Tselem) Click sull’immagine per ingrandire

All’interno della gabbia

 

Attraverso la finestra, attira la mia attenzione un panno ricamato, con tracce dell’orario per gli alunni della seconda media dell’anno: scienze alla prima ora di ogni giovedi. Alla seconda: inglese; alla terza: arabo; alla quarta: sport; alla quinta: letteratura; alla sesta: geografia. La settima e l’ottava ora sono dedicate al ripasso individuale.

Apprezzo l’insegnante di scienze della seconda media che nella lezione del giovedì ha insegnato in condizioni in cui poteva solo raccontare storie di scienza, senza alcuna possibilità di introdurre gli studenti agli studi contemporanei del 21° secolo.

Il villaggio di Arab a-Ramadin è intrappolato: si trova in Cisgiordania, nonostante sia isolato dal resto del suo territorio dal muro di separazione, dato che è sul lato israeliano. Bisogna attraversare un posto di blocco per raggiungere la città palestinese più vicina, e al ritorno ci si deve sottoporre a un controllo di sicurezza lungo e umiliante, oltre alle restrizioni sulla quantità di beni che possono essere portati a casa. Dall’altra parte del villaggio Israele si estende in Kfar Saba proprio dietro l’angolo, ma gli abitanti del villaggio non sono autorizzati a oltrepassare il confine invisibile. Così si trovano intrappolati fra il luogo dove è permesso stare, ma fisicamente bloccati all’ingresso, e il luogo aperto davanti a loro dov’è vietato andare.

Sulla lavagna della seconda media, c’è una citazione di Mahmoud Darwish:

Ricordate!
Sono un arabo
E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arriverà dopo l’estate.
V’irriterete?

Sulla lavagna della seconda media, che avrebbe bisogno di una nuova vita, c’è un’altra citazione di una poesia del poeta:

Lasciare le nostre ferite
La nostra terra
Lasciare l’aridità
Il mare
Qualunque cosa…

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A classroom in Arab a-Ramadin’s children’s school. (Tatyana Gitlits/Combatants for Peace)

 

Appoggiato al bastone faticavo a stare in piedi, così sono rimasto sul posto per una buona ora recitando a me stesso la poesia di Bialik:

Se si desidera conoscere la fonte,
Da cui i tuoi fratelli traggono coraggio…
La loro forza d’animo…
Il loro conforto, coraggio, pazienza, fiducia,
E ferro potrebbe a sopportare le difficoltà
E soffrire senza fine o la misura?

Se si desidera conoscere la fonte da cui i figli del villaggio di Arab al-Ramadin traggono il coraggio e la forza d’animo di soffrire senza fine o misura a ‘scuola’, visitate il centro del paese. Edifici fatiscenti simboleggiano la determinazione degli abitanti del villaggio a continuare a vivere aggrappati al terreno su cui sono nati dal 1950, dopo che alcuni furono espulsi e altri fuggirono in preda al panico nel 1948, da Be’er Sheva e dalla zona circostante. Israele ha ferito lo splendido panorama sulla strada da Kfar Saba a Alfei Menashe con barriere e recinzioni, dato che aveva bisogno di una strada etnicamente ripulita dai palestinesi che vivevano lì legalmente fin dai tempi del governo giordano.

Mahmoud DarwishEro un giovane correttore di bozze in un giornale chiamato “Voce del Popolo”, quando nel 1955 l’educatore Nimer Marcus, portò il suo, studente quattordicenne Mahmoud Darwish, dal villaggio di Kafr Yasif a Tel Aviv per un incontro con il poeta Alexander Penn, il direttore del supplemento letterario del giornale. Durante l’incontro, tenutosi nella stanza angusta della redazione, il poeta Alexander Penn decise di sottrarre tempo al lavoro per leggere, con la sua voce tonante che scuoteva le pareti, brani tratti dalle poesie “In the presence of the bookcase”, “City of killing” e “On slaughter” al giovane Mahmoud Darwish. Mi ricordo questa frase di Penn al giovane Darwish, pronuciata quel giorno: “Dobbiamo imparare ad accogliere l’uno il dolore dell’altro”.

Ad Arab a-Ramadin risiede una popolazione determinata a mantenere il suo territorio, traendo forza dalla poesia di Mahmoud Darwish. Le si oppongono le forze armate dell’Amministrazione Civile, che cercano di allontanarla dalla sua terra.

Eitan Kalinski è un ex insegnante di studi biblici ora in pensione.

 

trad. Marina S.

fonte: http://972mag.com/the-stark-difference-between-israeli-and-palestinian-schools-on-the-same-side-of-the-separation-barrier/121598/

Articolo in ebraico: http://mekomit.co.il/ערב-א-ראמאדין/

 

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