Conflitto israelo-palestinese: i media restano in silenzio. E la violenza aumenta.

PALESTINIAN-ISRAEL-CONFLICT
didascalia: Soldati davanti a palestinesi a Betlemme, in Cisgiordania. 5 ottobre 2015 (T.COEX/AFP)

di Michèle Sibony, Publicato il 14-10-2015 ore 17h06
Agenzia Média Palestine et UJFP

LE PLUS. Prosegue l’escalation di violenze tra israeliani e palestinesi. Come trattano i media questi scontri? Michele Sibony, membro di Agence Média Palestine e dell’Unione ebrea francese per la pace, deplora il modo grossolano con cui radio e canali televisivi annunciano i fatti, senza alcuna analisi. Spiegazioni.

Dall’inizio di ottobre ascoltatori e telespettatori dei principali mezzi di comunicazione audiovisivi, come France Inter o i principali canali televisivi, non avranno potuto far altro che registrare eventi non contestualizzati: un palestinese ucciso da proiettili veri ad un checkpoint, due coloni uccisi nella loro auto, poi, un’accelerazione delle violenze …

Ciò che chiamano “un nuovo ciclo”, o meglio, “una nuova spirale” di violenza. Ciclo o spirale che ha il vantaggio di eliminare ogni temporalità inscrivendo in una circolarità eterna il ritorno inevitabile di una violenza immanente spogliata di ogni causalità.

Giocare la carta di chi domina

Ciò che è notevole è la quasi totale assenza di commenti agli avvenimenti. Nessuna intervista ad esperti, nessun dibattito con contradittorio o meno, nessuna analisi sulle cause o conseguenze, le possibili soluzioni; in altre parole, nessun discorso sul reale. Questo finisce per farci chiedere:
Che significa questa presentazione bruta dei fatti? Giustamente si potrebbe pensare che non significhi nulla. Tuttavia, questa assenza è significativa in sé.

Quello che dice innanzitutto e soprattutto è: “Non c’è niente da capire, siamo di fronte a violenze gratuite”. Il cittadino ne deduce che si uccidono tra loro, punto. Per l’ascoltatore o lo spettatore non c’è dunque niente da pensare, si rimanda al suo insindacabile giudizio di quanto palestinesi e israeliani sembrino essere in conflitto tra loro.

Ma – e questo è il più perverso dei metodi, perché proprio di un metodo si tratta, già sperimentato con la crisi siriana nei suoi primi giorni – non dar da  pensare è giocare la carta di chi domina.

Non spiegare la situazione siriana corrispondeva ad una volontà politica francese di non interporsi tra Bashar Al Assad e il suo popolo in rivolta. Stessa cosa con la repressione in Cecenia: circolare prego, non c’è niente da capire! – perché non c’era alcun determinato intervento politico.

L’Ucraina, per contro, è un’altra cosa. Attenzione, qui abbiamo visto, sentito, e applicato sanzioni, l’embargo sul commercio con la Russia. Impressionante, tutta questa improvvisa energia.

I palestinesi sono stanchi

Sulla questione di oggi occorre sottolineare che le molteplici esplosioni di rivolta in Cisgiordania, che sfuggono a ogni controllo palestinese e non ordinate da gruppi politici, riflettono il fatto che per  molti palestinesi, in particolare fra i giovani, si è giunti al limite del sopportabile.

Sono semplicemente stanchi  dell’oppressione quotidiana dell’occupazione, della violenza quotidiana esercitata contro di loro dall’esercito e dai coloni senza limiti o sanzioni dello stesso governo israeliano o dall’estero.

Sono stanchi di falsi negoziati che vanno avanti da oltre 20 anni, e non erano altro che un’esca destinata a mantenere in tutta tranquillità la colonizzazione.

Sono stanchi dell’Autorità Palestinese che non ha alcuna autorità su nessuno, tranne eventualmente su se stessa, per costringerli e che non giustifica la sua esistenza che per il solo fatto di esistere.

Sono stanchi dell’inerzia criminale dei poteri che da decenni sarebbero dovuti intervenire per proteggerli e che lasciano fare, come un Ponzio Pilato deliziato con la manna.

Il “ciclo della violenza” è israeliano

Alla violenza della conquista, dell’occupazione, della colonizzazione, Israele aggiunge sempre più violenza, strumento coloniale essenziale (e classico) della pacificazione dei territori conquistati.

Il “ciclo della violenza” è israeliano dall’inizio alla fine. È la violenza iniziale che genera la resistenza, armata o no, del popolo palestinese dalle pietre della prima Intifada alle brigate armate dei differenti gruppi politici palestinesi della seconda.

Fermare il ciclo di violenza è fermare Israele. Che non si venga a chiedere come, tutti gli strumenti ci sono, manca solo la volontà politica; il che spiega il silenzio dei nostri media.

Allora: no comment nei nostri media, perché? Perché la violenza israeliana possa continuare ad essere esercitata e i “terroristi” di 13 e 15 anni siano puniti e uccisi ai checkpoint di Qalandia o di Shuafat. Perché gli attacchi su Gaza continuino e l’ascoltatore taccia perché non ci capisce niente.

Una spirale senza fine

L’unico problema è che la violenza sfrenata finisce sempre per rivoltarsi contro se stessa e ormai da anni vengono riportati numerosi esempi della crescente violenza nella società israeliana.

Questa violenza viene esercitata contro le donne, gli ebrei orientali, gli ebrei etiopi, i gay, i lavoratori stranieri e, naturalmente, i cittadini palestinesi di Israele, che sono l’obiettivo principale, le migliaia di beduini espulsi dal Negev. Nei giorni scorsi abbiamo visto anche l’arresto di una cinquantina di giovani manifestanti in Israele.

La famosa idea della democrazia israeliana sta evaporando e il re è nudo per il bambino che sa vedere. E il famoso ciclo di violenza racchiude di fatto Israele in una spirale senza fine.

Questa violenza distrugge i nostri diritti

Alla violenza della legge del più forte, solo può opporsi il diritto regolatore. Lasciare esercitare questa violenza è distruggere il diritto, i diritti di tutti.

Noi siamo qui e beneficiamo dei media di questo sistema. Gli stessi che, per informarci sulla distruzione del diritto del lavoro, ci mostrano lo spessore del Codice del lavoro e limitano la loro analisi lapidaria a: “illeggibile, dovrebbe essere semplificato.”

Come pure il mandare e rimandare le immagini di Air France per convincerci che la violenza sta nei sindacalisti e nei dipendenti ribelli.

Sulla Palestina, si accontentano di elencare morti e feriti perché in fondo, come su tutto il resto, non si abbia da imparare niente di più.

Trad. Simonetta Lambertini-Invictapalestina.org

fonte:http://leplus.nouvelobs.com/contribution/1436110-conflit-israelo-palestinien-les-medias-restent-silencieux-et-la-violence-s-accelere.html

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