Continueremo a raccontare la nostra storia e il saccheggio di opere d’arte palestinesi

Palestina – 17 ottobre 2016 – Samia Halaby

Samia Halaby è nata a Gerusalemme nel 1936 ed è cresciuta a Jaffa. Vive a New York dal 1951 dove è riconosciuta come una pittrice astratta di primo piano e un’influente esperta di arte palestinese e araba. Attualmente sta lavorando ad un libro di disegni che documentano il massacro di Kfar Qassem, avvenuto nel 1956, quando 49 palestinesi del villaggio furono assassinati dalla polizia israeliana di frontiera.

12.10.2016 – Due settimane fa, Mondoweiss ha pubblicato un articolo di Mariam Said (1) che faceva il resoconto di una mostra sull’arte palestinese prima del 1948 al Museo Guggenheim a New York. La mostra del Guggenheim comprendeva una discussione sul saccheggio di opere d’arte durante la creazione d’Israele e suggeriva che i palestinesi avessero saccheggiato opere d’arte nei musei di Tel Aviv e altri luoghi.

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Nessuna entità ha saccheggiato l’arte e la cultura palestinese come l’entità israeliana ha fatto e continua a fare. Hanno chiuso e confiscato innumerevoli mostre di pittura, danneggiato quadri sparandogli contro. Basta fare qualche ricerca con la mente aperta perché tutto questo divenga evidente. Ho sempre sperato che abbiano almeno preservato ciò che hanno preso; sogno di trovare un deposito pieno di bei dipinti palestinesi, una volta che avremo liberato la terra e creato l’uguaglianza. Sarebbe davvero triste se li avessero distrutti o bruciati, come hanno fatto con altre mostre.

Dove si trova il contenuto degli studi di fotografi e pittori, pieni di lavori accuratamente avvolti e rinchiusi prima del 1948, quando le persone fuggivano il terrorismo e pensavano che sarebbero tornate dopo poche settimane? Naturalmente a nessuno è stato permesso di tornare e tutti gli studi sono stati saccheggiati;  la speranza è che il loro contenuto sia stato nascosto, non bruciato. Quando otteniamo passaporti stranieri e finalmente torniamo a visitare case tanto amate, le troviamo svuotate dei nostri oggetti di valore e piene di estranei.

Mentre dalla Germania – dove mi trovo per supervisionare la stampa del mio libro “Disegni sul Massacro di Kafr Qassem” – scrivo questa lettera, mi ricordo dell’intervista con l’artista di primo piano di Kafr Qassem, che ha passato anni in prigione per il suo attivismo contro l’orribile massacro che ebbe luogo nel suo villaggio nel 1956. Mi ha raccontato che la polizia israeliana entrava spesso da lui, all’improvviso, e confiscava i suoi disegni sul massacro. Mi ha detto anche che, mentre era in prigione, non osava fare disegni sul massacro per cui disegnava in solidarietà con la lotta in Vietnam. Glieli hanno confiscati ugualmente tutti. Quando gli ho detto che dovrebbe tornare ed esigere la loro restituzione, mi ha risposto, con parole e linguaggio del corpo eloquenti, che non potrebbe mai tornare in un luogo di tanto dolore. Le opere d’arte di un prigioniero politico che ha vissuto il massacro di Kafr Qassem e ha disegnato in solidarietà con il Vietnam sono pezzi inestimabili della storia palestinese. Dove sono tutte queste opere d’arte saccheggiate da Israele?

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“Il massacro di Kafr Qassem nel 1956, terza ondata di omicidi, il bambino Fathi” di Samia Halaby

L’arte, la cultura, il giornalismo, la letteratura e la musica palestinesi erano vivi e in pieno sviluppo prima del 1948, nonostante i tentativi britannici di reprimerli. Mariam ha generosamente sottolineato i miei scritti sull’arte palestinese a Gerusalemme prima che Israele occupasse le terre palestinesi nel 1948. Non c’è bisogno di elencare le fonti e le occasioni. Tutti i cercatori sinceri possono trovarle. Quel che è interessante, tuttavia, nell’articolo di Mariam, è come la realtà sia stata ribaltata. Per noi palestinesi non è una novità, dato che il capovolgimento più grande con cui conviviamo è di essere etichettati come terroristi e trattati come tali, quando noi siamo le vittime del terrorismo israeliano. Ci si chiede come un artista possa saccheggiare il proprio lavoro se lo porta via e fugge dalle bombe, dalle pallottole e dalle squadre terroriste.
Com’è che tutto ciò che i palestinesi hanno salvato dal gigantesco saccheggio di terreni, fabbricati, opere d’arte, libri, gioielli, magazzini di prodotti compiuto da Israele può essere chiamato “furto”, mentre ciò che Israele ha saccheggiato si chiama” proprietà israeliana”? Come si può rubare ciò che è proprio? Come si può rubare il prodotto delle proprie mani?

Permettetemi di portare qui una testimonianza personale diretta: la mia casa di famiglia in Palestina, che fui costretta a lasciare nel 1948, conteneva libri, dipinti a olio, preziosi tappeti persiani, apparecchi moderni e mobili. Tutto è stato saccheggiato, compresa la casa stessa e un hangar pieno di automobili Rover nuove, di pneumatici Goodyear e molte altre mercanzie che mio padre importava. Senza parlare di tutti gli altri beni a Jaffa, Haifa e Gerusalemme. Non aveva ereditato niente. Aveva iniziato la sua carriera vendendo per le strade di Gerusalemme, nei giorni di carestia della Prima Guerra mondiale, il pane cotto al forno da sua madre. Tutto quello che ha costruito per se stesso e la sua famiglia è stato saccheggiato da Israele.
Noi continueremo a raccontare la nostra storia. Gli israeliani possono anche rivoltare la verità e influenzare i media, ma l’avvenire è nostro perché sono sempre più numerose le persone che ascoltano quello che abbiamo da dire e che non si fidano dei media dominanti.  Di questi tempi il mio racconto sulla Palestina raccoglie approvazione. Le persone non accusano più, al contrario annuisco in segno di assenso.

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FOTO – Massacro di Kafr Qassem opera dei terroristi sionisti, 29 ottobre 1956

La nuova propaganda israeliana riprende il vecchio slogan trito e ritrito della terra disabitata per un popolo … – sono ormai stanca di ripeterlo. Lo riciclano cercando di dire che vi è sempre stato un Israele – una sorta di passato nei secoli dei secoli. Le loro inversioni irrazionali lasciano dapprima senza parole, anche se poi meritano un po’ di attenzione. È meglio essere creativi portando ricchezza alla nostra propria cultura così come alla cultura internazionale. Rispondere alla loro propaganda è una perdita di tempo nei limiti dei loro propri racconti – limiti che contraddicono la creatività. Mi augurerei che alzassero la testa dagli accecanti miasmi della loro stessa propaganda e adottassero l’uguaglianza.

Il sottotitolo del Guggenheim per l’esposizione che Mariam Said descrive così bene era: “L’arte contemporanea in Medio Oriente e nel Nord Africa.” Sotto ad un tale titolo, la Palestina è stata rimossa ed è stata sostituita da Israele. Nell’esposizione, le due parti curate da artisti israeliani rivelano limiti e strane intenzioni. Si parla della sofferenza degli ebrei in Europa nel quadro di una mostra che contiene soprattutto arte araba; mentre l’altra, il “debriefing” (incontro), dice che Israele è lì da sempre e che tutto in quella terra appartiene a Israele. In altre parole, da una parte si parla della sofferenza degli ebrei, mentre dall’altra si sfrutta questo dolore per saccheggiare. In risposta a questa formula, voglio essere dalla parte degli ebrei che esigono che Israele tolga la stella di David dalla sua bandiera.

La mia impressione per quanto riguarda il discorso critico sull’arte araba, è quella del suo fallimento. Mi sono persuasa che i pensatori occidentali sull’arte non capiscono veramente l’arte araba perché sono sempre alla ricerca della profondità e della prospettiva e, negli ultimi tempi, di creazioni idealistiche, antropologiche, per la gran parte non visive da postmodernismo occidentale. Cercano le cose che conoscono, ciò che li rende ciechi davanti a tutto il resto. Raramente riconoscono la profonda influenza dell’arte araba sull’arte occidentale o, per dirla senza mezzi termini, l’influenza dell’arte palestinese sull’arte del Rinascimento italiano, che considerano essere la base dell’arte occidentale. Uno dei grandi monumenti dell’arte islamica, la Cupola della Roccia a Gerusalemme (691) ha avuto una grande e catalitica influenza sul Battistero di Firenze (1059-1128).

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Cupola della Roccia – Al-Quds, Palestina
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FOTO – Battistero San Giovanni – Firenze, Italia

Inoltre, nell’architettura islamica, la divisione dello spazio murale in segmenti geometrici in armonia con l’architettura stessa ha influenzato la segmentazione visiva di cattedrali europee.

L’arte contemporanea e moderna araba e palestinese è influenzata da fonti internazionali che provengono da est come da ovest, come pure dall’antica arte dei suoi antenati nella regione. Si tratta di un atteggiamento culturale tipicamente sano, in questa nostra epoca. Il narcisismo nazionale dei secoli più recenti è ormai inadeguato. Il problema è che le componenti orientali sono invisibili a coloro che non sanno vedere la simmetria come imitazione della natura. E’ davvero deplorevole. A volte penso che aver educato il mio occhio alla simmetria dell’arte islamica mi ha reso più facile vedere i bei ritmi della natura rispetto a coloro che non hanno avuto questo tipo di formazione. Ho simili benefici grazie allo studio visivo dell’arte asiatica dall’Iran al Giappone.

(1) Mariam C. Said è nata e cresciuta a Beirut (Libano). Vive a New York. È stata sposata al grande intellettuale palestinese Edward W. Said (1935-2003).

 

trad. Simonetta Lambertini-Invictapalestina.org

Fonte:http://www.ism-france.org/analyses/Nous-continuerons-a-raconter-notre-histoire-et-le-pillage-des-oeuvres-d-art-palestiniennes-article-20114

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