“I miei nipoti sono sparsi in tutto il mondo, alcuni di loro non hanno mai vissuto in un paese arabo. Ma sono palestinesi orgogliosi e faccio in modo di insegnare loro come scrivere poesie in arabo così che possano continuare a difendere la causa palestinese … “
26 febbraio 2017, Diana Alghoul
“Non avevamo bisogno di niente, bastava la terra”, dice mentre guarda in lontananza riportando alla memoria i suoi primi ricordi in Palestina.
Il poeta Mohammed Abu Daya attira gente ovunque vada. Parlando a margine della Palestinians Abroad conference a Istanbul in Turchia, Abu Daya è seduto con suo nipote accanto che lo assiste.
“Sono nato poco dopo la prima guerra mondiale. A quell’epoca la Palestina era in rovina a causa della guerra. Il terreno era improduttivo, le infrastrutture erano un disastro e abbiamo dovuto ricostruire le nostre vite e il nostro paese.”
“Per questo la mia famiglia cominciò a piantare e riportare in vita il terreno intorno a noi. Alla fine la terra tornò fertile e noi diventammo autosufficienti. Non avevamo neanche bisogno di un lavoro perché tutto quello di cui avevamo veramente bisogno era il cibo che cresce sulla terra e l’acqua che scorreva nei nostri fiumi,” spiega.
“Essere autosufficienti non significa che siamo riusciti a farla franca e a non andare a scuola”, dice ridendo. “Ricordo che durante il giorno dovevo andare a scuola, tornare indietro e andare direttamente nella nostra campagna. Questa era la norma.” “La povertà era inesistente. La natura ci aveva dato tutto e nessuno ha sofferto la fame. Anche quelli che non avevano soldi erano in grado di vivere. I più ricchi davano ai più poveri e abbiamo fatto in modo di avere una solida classe media”, dice Abu Daya. La gente è sopravvissuta grazie alla generosità, la comunità era solidale.
Abu Daya proviene da una zona non lontana dalla Striscia di Gaza. Con la dichiarazione del 1948 la terra della sua famiglia diventò parte dello Stato di Israele di nuova costituzione e trasformò lui e la sua famiglia in profughi.
La Nakba mise termine alla sua vita nella Palestina rurale. La sua famiglia si rifiutò di andarsene, anche se le loro vite erano in pericolo rimasero sulla loro terra; molti furono uccisi, ma gli altri rimasero. Fino a quando non furono costretti ad andarsene.
“Quando arrivarono gli attacchi sionisti fummo costretti a fuggire, e lo facemmo nella speranza di un abbandono temporaneo. Appena prima di scappare mio padre mi disse di cominciare a piantare, così che, quando saremmo tornati come speravamo, la frutta e la verdura sarebbero state mature e pronte da mangiare. Non siamo mai tornati e siamo poi stati costretti a contemplare il nostro paese e il sogno della sua liberazione da lontano.”
Da allora, Abu Daya ha rifiutato di dimenticare la Palestina. Il suo amore per la sua terra si vede in tutto quello che fa. Il modo in cui egli insiste nell’indossare solo il suo abito tradizionale palestinese, il modo in cui riafferma il suo amore per la propria identità palestinese, e ciò che più conta, la sua poesia.
La poesia è la sua “strada per la Palestina!” E qualcosa che crede si dovrebbe tramandare di generazione in generazione.
“I miei nipoti sono sparsi in tutto il mondo, alcuni di loro non hanno mai vissuto in un paese arabo. Ma sono palestinesi orgogliosi e faccio in modo di insegnare loro come scrivere poesie in arabo in modo che possano continuare a difendere la causa palestinese sotto questa bella forma”. “Vorrei dire a tutti quanti, non solo ai miei nipoti, che sono importanti per la causa palestinese e la loro identità palestinese è qualcosa che non devono mai dimenticare. I palestinesi della diaspora sono ambasciatori della Palestina e sono ambasciatori della nostra cultura”, ha insistito Abu Daya. “La poesia è più di uno sfogo per me; la poesia è la medicina del cuore. Quando scriviamo poesie, esprimiamo i nostri dolori, le nostre pene e li custodiamo per noi e per le generazioni future. E’ per questo che per me è molto importante che i miei nipoti e le generazioni future della Palestina continuino a scrivere poesie.”
E’ compito delle nuove generazioni liberare la Palestina e ottenere la restituzine delle terre delle loro famiglie, sottolinea. “Ho dato ai miei nipoti gli atti della nostra terra, gli atti che mio padre mi ha dato. Nessuno stato può mettere in discussione queste carte con il nome della Palestina stampato sopra”.
“La Palestina potrebbe essere la rosa del Medio Oriente. La diaspora non lo deve dimenticare e deve fare tutto il possibile per custodire la nostra cultura e la storia.”
Al termine del nostro incontro recita una poesia su una madre palestinese, si forma una folla. Ognuno è preso dai suoi modi, la sua scrittura, la sua passione. La gente dice che gli arabi maltrattano le donne, ma “gli arabi amano le donne di più al mondo, e la prova è che le nostre più grandi opere di poesia iniziano con complimenti e lodi per le donne, le donne che sono dolci.”
traduzione Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
Fonte: https://www.middleeastmonitor.com/20170226-preserving-palestinian-history-through-poetry/