Non contenti delle demolizioni in corso a Umm al-Kheir e della distruzione del suo taboun, i coloni nel vicino Carmelo hanno iniziato a scaricare liquami sulla terra che appartiene al villaggio.
Di Yossi Gurvitz, per Yesh Din – By +972 Blog |Published March 31, 2017
Il solito problema che insorge quando si vuole segnalare ciò che accade in Cisgiordania è l’ ampiezza della lente, un problema fisico essenziale: se vuoi mettere a fuoco i dettagli, devi restringere l’obiettivo. Eppure questi stessi dettagli fanno parte di un quadro più grande, che richiedo un obiettivo più ampio.
All’apparenza, ciò che è accaduto a Umm al-Kheir, a sud delle colline di Hebron, a dicembre 2016 è un evento minore – a malapena degno di nota. Nella colonia del Carmelo, è stato costruito un tubo di scarico che riversa i rifiuti della colonia direttamente nel terreno che appartiene al villaggio palestinese di Umm al-Kheir. Tecnicamente, non è nulla di più di un battibecco insignificante tra vicini.
Se non fosse per il fatto che questi non sono tipici vicini. Umm al-Kheir è stato costruito nel 1960 da profughi beduini che sono stati espulsi nel 1948 dalla regione di Tel Arad. Purtroppo per loro, sono stati nuovamente occupati da Israele nel 1967. Il villaggio si trova in Area C, il che significa che è sotto il pieno controllo militare e civile israeliano. Ci si poteva aspettare che Israele avrebbe investito in questo posto dal momento che gli abitanti del villaggio sono sotto la sua autorità e dal momento che Israele, come è noto, non è uno stato di apartheid.
Naturalmente, questo non è mai accaduto. Israele non si è interessato molto al piccolo villaggio palestinese, e nel 1981, nelle vicinanze, fu costruito l’insediamento del Carmelo. Il Carmelo è situato dove probabilmente Nabal il Carmelitano (vedi il primo libro di Samuele 25: 3) fu solito abitare.
Quindi i Palestinesi vivevano lì per primi? Non importa. Il governo – sotto le spoglie della’Amministrazione Civile – è dalla parte degli invasori. Umm al-Kheir aveva un taboun: un forno tradizionale di fango e fieno, che veniva utilizzato dagli abitanti del villaggio per cuocere il pane.
Per funzionare, il taboun doveva essere sempre in funzione. Dato che l’odore che emanava non era gradito agli abitanti del Carmelo, questi ne hanno chiesto la demolizione, sostenendo che si trattava di una struttura illegale. Gli abitanti del villaggio hanno iniziato un processo legale, e sono riusciti a ottenere un’ ordinanza che ha consentito di rimandare la demolizione.
Il processo legale era forse troppo lento per coloro che si opponevano al taboun e a novembre del 2013, un gruppo di israeliani provenienti dal Carmelo – scortato, ovviamente, dai soldati israeliani – tentò di spegnere il fuoco del forno. Non riuscirono nel loro intento ma diversi giorni dopo, una persona di cui non si conoscono le generalità, di notte, versò un secchio d’acqua nel taboun.
Ho visitato Umm al-Kheir diverse settimane dopo quell’incidente. Voi stessi potete vedere il taboun – non si tratta proprio di una Torre di Babele. Si tratta di una piccola costruzione di fango e fieno. Ed ecco il punto: non è più lì. L’Amministrazione Civile – il nome politicamente corretto che Israele ha dato a quello che una volta era conosciuto come il Governo Militare – ha provveduto a demolirlo dopo aver ricevuto l’autorizzazione legale, diversi mesi dopo che era stato fotografato.
L’Amministrazione Civile non si è fermata li: per tutto il 2016, i suoi rappresentanti si sono presentati a Umm al-Kheir per ben quattro volte, demolendo in totale 16 strutture. L’ultimo raid, che ha lasciato due strutture demolite, ha avuto luogo nel mese di febbraio.
E tuttavia, i residenti hanno fatto di tutto per difendere la loro terra, e per una ragione molto semplice: non avevano un altro posto dove andare. Anche se vivono in Area C, sotto l’autorità del governo israeliano, e anche se erano lì prima che Israele occupasse la zona, a loro non è stato offerto nulla. Il primo ministro Netanyahu non ha dedicato una sola riunione, per non parlare del 60% del suo tempo (quello dedicato ad Amona, secondo quanto detto dal capo del suo personale), per cercare di risolvere la situazione di 160 esseri umani.
Dal luglio 2016, segnalano gli abitanti del villaggio, i droni hanno iniziato a ronzare sopra Umm al-Kheir, fotografando ogni tentativo da parte degli abitanti del villaggio di costruire qualsiasi cosa. Se qualcosa viene costruita, essa viene rapidamente demolita. Queste demolizioni non interessano i media israeliani, ed è difficile trovare interviste ricolte a persone le cui vite sono state effettivamente distrutte perché qualcun altro brama la loro terra.
Ma non hanno un posto dove andare, per questo rimangono lì. E il Carmelo non li vuole lì. Allora cosa si fa? Dopo le demolizioni, le invasioni, le minacce, le aggressioni e la paura, arriva anche l’inquinamento: le acque reflue del Carmelo vengono semplicemente riversate sulla terra degli abitanti nativi.
Questo non è un incidente. Questa non è una notizia in una serie di eventi non correlati. Questo è l’ultimo tassello di un mosaico che è stato lentamente costruito per oltre 30 anni – un mosaico in cui accaparratori di terra e personale dell’Amministrazione Civile si mescolano tra di loro fino a quando nessuno potrà più tenerli da parte. Un mosaico che, una volta completato, non lascerà alcuna tracci di un villaggio che esisteva qui da 20 anni prima che il Carmelo venisse costruito. L’obiettivo è quello di privare i non ebrei della loro terra, e ogni trucco verrà utilizzato per raggiungere questo obiettivo. Da questo punto di vista, la storia Umm al-Kheir è un microcosmo dell’ occupazione israeliana in Cisgiordania.
Questo caso è particolarmente facile da ignorare, dal momento che le persone che vivono a Umm al-Kheir sono molto diverse da noi. Sono abitanti di villaggi al limite del nomadismo. Tu stai leggendo questo testo su un computer o uno smartphone; loro hanno bisogno di un taboun alimentato con sterco animale per cuocere il loro pane. Siamo tutti cresciuti con la narrativa del progresso inevitabile, sostenendo che questo stile di vita debba lasciare il posto a uno stile di vita occidentale. Stiamo probabilmente assistendo a un processo naturale.
Ma non c’è nulla di naturale: tutto risulta da decisioni prese da esseri umani, decisioni che hanno l’obiettivo di privare dei propri beni un gruppo di esseri umani a vantaggio di altri essere umani. E quando tutto è detto e fatto, se crediamo veramente all’idea estremamente radicale della parità dei diritti, allora non possiamo permettere che i nostri pregiudizi culturali distruggano la vita di 160 persone. Questo significa che non dobbiamo rimanere in silenzio.
Trad. Rossella Tisci
Fonte: https://972mag.com/pushing-palestinians-off-their-land-by-pumping-sewage-onto-it/126307/
Scritto da Yossi Gurvitz blogger per Yesh Din, Volontari per i diritti umani. Una versione di questo post è stato pubblicato sul blog di Yesh Din