Perché lascerò Israele

“Non mi ci è voluto molto per innamorarmi e conoscere la complessità e il dolore del crescere come arabo in Israele, essere troppo arabo per gli uni e troppo israeliano per gli altri.”

di Ronit Dison, 15 agosto 2017

Copertina – Geula Beach a Tel Aviv

Mi sono trasferita a Tel Aviv da New York tre anni fa, quando ricevetti una borsa di studio di giustizia sociale per lavorare con le comunità emarginate, svantaggiate e colpite da trauma in una zona di conflitto. Cercando un cambiamento di passo (e di clima), come figlia di un genitore israeliano, la mia scioltezza nell’ebraico e la familiarità con il paese hanno reso la mossa molto più invitante.

Col passare del tempo, però, purtroppo, non vedo l’ora di andarmene da questo posto. Pensate che io sia pazza, giusto? Come posso non apprezzare la mia vita ‘di classe A’ nella bolla di Tel Aviv, con la sua cucina raffinata, eventi culturali, alcune delle migliori spiagge del mondo, una pletora di cani carini e un’offerta infinita di bar alla moda e caffè. Mentre i miei week-end includono un pizzico di coinvolgimento nelle attività di cui sopra, i miei giorni lavorativi appaiono drammaticamente diversi. Comportano camminare attraverso la decrepita stazione centrale degli autobus di Tel Aviv sulla strada per il mio lavoro di assistente sociale a Tel Aviv sud in un programma terapeutico dopo-scuola per i figli di rifugiati eritrei e sudanesi. La puzza di urina, feci e enormi mucchi di spazzatura non raccolta nelle strade dalla stazione degli autobus è abbastanza forte da dare sensazione di vomito a chiunque vada. Tossicodipendenti senza tetto dormono sulle panchine pubbliche e chiedono soldi tra gli sbuffi delle loro pipe di crack fatte in casa. Al lavoro un bambino di quattro anni, il cui vocabolario limitato comprende la parola ebraica per “drogato”, mi dice di essere abusato sessualmente da un parente, e una madre di 32 anni mi dice di soffrire di incubi cronici per sua figlia di 9 anni, rapita dal suo ex marito, di cui si sono perse le tracce da qualche parte in Sudan negli ultimi tre anni.

Se avessi un dollaro per ogni volta che un genitore mi ha chiesto di aiutarli a trasferirsi in America, potrei permettermi molto più di quanto posso con il mio imbarazzante basso salario. Non è un’esagerazione. Ho guadagnato di più come babysitter alle superiori negli Stati Uniti che ora come assistente sociale clinica a Tel Aviv con una laurea specialistica.

Dopo tre anni di lavoro con la comunità africana in cerca d’asilo in Israele, posso dire di essere completamente esaurita. Non è solo il lavoro in sé, ma anche la frustrazione di avere potere zero per cambiare le politiche governative razziste e deliberatamente prepotenti che tengono queste persone in uno stato continuo di purgatorio. Il mio esaurimento arriva anche dall’essere sfinita di raccontare a una famiglia in vista di espulsione, con bambini che hanno pre-esistenti condizioni mediche e nessuna assicurazione sanitaria, che non posso fare niente per aiutarli.

Recentemente, nel maggio 2017, è entrata in vigore una nuova legge della Knesset (parlamento israeliano). Si decreta che il 20% dei magri assegni mensili dei richiedenti asilo e rifugiati africani verrà trattenuto e restituito loro solo al momento della loro partenza definitiva da Israele. Senza status giuridico e passaporti, come esattamente possono queste persone lasciare di loro volontà Israele? Questa legge, con l’intero establishment politico, incoraggia i rifugiati eritrei e sudanesi, fuggiti da dittature brutali e pericolose, da coscrizione forzata, guerre civili e minacce per essere attivisti per i diritti umani a tornare nel loro paese di origine. Ma, se tornano nei loro paesi d’origine, saranno immediatamente gettati in prigione o assassinati. Chi, sano di mente può scegliere una delle due opzioni, rimanere e affrontare l’indigenza e essere un senzatetto o tornare al proprio paese d’origine per un’esecuzione sommaria.

Non dimentichiamo anche che questi richiedenti asilo e i loro figli nati in Israele non posseggono status giuridico. Di conseguenza, non possono beneficiare dei vantaggi sociali di base di cui godono i cittadini israeliani, come l’assicurazione sanitaria, la sicurezza sociale, l’istruzione superiore e la libertà di movimento. E’ incredibilmente ridicolo che un bambino nato in Israele ed educato in scuole israeliane ebraiche non possa andare all’università a 18 anni. Inoltre, questo giovane adulto può potenzialmente essere preso con la forza nell’isolato Centro di detenzione di Holot nel deserto del Negev solo perché è un rifugiato africano maschio celibe sopra i 18 anni.

Ma Israele è la democrazia leader nel Medio Oriente, giusto?

 

Richiedenti asilo africani seduti davanti al cortile del carcere di Holot, una struttura di detenzione nel deserto in Israele, vicino al confine del Sinai. (Foto: Allison Deger)

Queste sono solo alcune delle lotte che i richiedenti asilo affrontano regolarmente. Ma per quanto riguarda il loro passato? Molti di loro sono stati rapiti e torturati nel Sinai. Quando hanno attraversato il confine con Israele, sono stati gravemente traumatizzati e soffrono di disturbi post-traumatici (PTSD). Persistenti PTSD non trattati hanno procurato in molti rifugiati incapacità nella loro funzione genitoriale e i figli, spesso trascurati e maltrattati, subiscono le dure conseguenze dei PTSD dei genitori. L’alcolismo e la conseguente violenza domestica tra i genitori e i gravi problemi di sviluppo e di comportamento tra i figli non vengono trattati a causa della povertà e della mancanza di accesso alle cure sanitarie.

C’è un’opzione per l’acquisto di un’assicurazione sanitaria privata per i bambini, che, come negli Stati Uniti, è abbastanza costosa. Attualmente c’è un’unica clinica per la salute familiare che lavora con un personale che cambia continuamente, costituito soprattutto da medici e infermieri volontari con un numero limitato di specialisti. I pazienti aspettano in questa clinica sovraffollata per ore per essere visitati e spesso non si riesce a rispondere alle loro esigenze mediche. Il più delle volte, persone che hanno necessità di un intervento chirurgico affrontano la prospettiva di un enorme debito futuro a lungo termine di un minimo di 20.000 shekel (circa 5.600 dollari americani).

Rifugiati africani in attesa alla stazione centrale degli autobus a Tel Aviv (Photo: Picture-Alliance/DPA)

Dopo aver fatto un breve quadro di ciò a cui assomigliano i miei giorni, possiamo passare alle mie notti. Poco dopo essermi trasferita in Israele ho incontrato un dinamico e carismatico studente di cinema che sembrava un qualsiasi hipster di Tel Aviv, coperto di tatuaggi e con addosso jeans striminziti. Un cittadino arabo d’Israele che ha lasciato il suo villaggio nel nord di Israele all’età di 18 anni, che si autodefiniva come la pecora nera di famiglia che i genitori non hanno mai capito. Non mi ci è voluto molto per innamorarmi e conoscere la complessità e il dolore del crescere come arabo in Israele, essere troppo arabo per gli uni e troppo israeliano per gli altri. La costante sensazione di dover dimostrare qualcosa e non essere mai accettato per quello sei, un rispettabile essere umano. Impari presto ad accettare il fatto di non avere diritto a borse di studio per le tasse universitarie, al contrario dei tuoi compagni studenti ebrei che senza la difficoltà dei prestiti potevano concentrarsi di più sui loro studi e lavorare a tempo parziale. Tu invece hai dovuto lavorare a tempo pieno per coprire i costi di istruzione e metterci più di due anni per laurearti. E come ti senti seduto sull’autobus e tua mamma ti chiama per prendere accordi con te? Mentre stai parlando con lei in arabo, un soldato armato nel sedile accanto a te ti punta casualmente contro il suo fucile AK-47 caricato.

Anche se la vita per noi che viviamo nella bolla di Tel Aviv ha le sue lotte quotidiane per il costo esorbitante che non ci possiamo permettere, per lo più, abbiamo vissuto come qualsiasi altra coppia cercando di costruire una vita insieme. Tuttavia, le cose sono diventate più complicate quando abbiamo iniziato a fare piani per il futuro. Abbiamo subito scoperto che in Israele non esiste matrimonio civile e che i tribunali rabbinici non celebrano matrimoni interreligiosi. Ciò significa che non possiamo sposarci legalmente in Israele, a meno che uno di noi non scelga di convertirsi (no) e che la nostra migliore opzione è quella di sposarci a Cipro. Dopo molte discussioni su come costruire una vita insieme e crescere una famiglia, il passo successivo si è manifestato in tutta chiarezza. Il mio salario da lavoro sociale in Israele non mi permetterebbe mai di risparmiare abbastanza per crescere una famiglia e comprare una casa. Non posso nemmeno immaginare che la nostra futura prole debba soffrire di discriminazione perché per metà araba e per metà ebraica, con in più il pesante stigma che l’accompagna. In alternativa, sebbene si sia verificato un aumento di crimini di odio negli Stati Uniti da quando Trump è diventato presidente nel gennaio 2017, la possibilità di crescere una famiglia etnicamente eterogenea e mista in modo normale è ancora valida nella maggior parte delle città metropolitane degli Stati Uniti.

Allora, dove mi porta questo? Sono codarda perché dico “khalas” (in arabo per “basta”), voglio andarmene da qui? Oppure ci sono solo troppe strade ad un punto morto qui in Israele? Voglio la stessa cosa che tutti gli ebrei israeliani, arabi e richiedenti asilo vogliono, vivere in pace con la mia famiglia e che i miei figli abbiano pari opportunità. Non vedo come questo possa succedere qui in Israele, a meno che la struttura dell’apartheid non finisca e che tutte le persone abbiano uguali diritti, indipendentemente dalla loro nazionalità, razza o religione. Sì, ho usato la parola “A”, apartheid, perché questo è ciò che è. Quindi, fino ad allora, mi troverete a fare piani per tornare negli Stati Uniti e fare il possibile per aiutare tutte le mie famiglie di rifugiati a trasferirsi in Canada o in Europa. E, se potrò permettermelo, tornerò volentieri a visitare i meravigliosi amici e famiglie israeliani e arabi, la spiaggia e il mio ristorante preferito eritreo nella zona sud di Tel Aviv.

A proposito di Ronit Dison

Ronit Dison è lo pseudonimo di un’assistente sociale a Tel Aviv, originaria di Los Angeles.

Traduzione di Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

fonte: http://mondoweiss.net/2017/08/why-leaving-israel/

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