ONG palestinese dice di avere involontariamente contribuito a raccogliere fondi per un gruppo israeliano che promuove insediamenti ebraici nel Negev.
FOTO – L’abito, che è stato messo all’asta, doveva rappresentare la regione del Negev (Per gentile concessione di Richard Magazine)
di Farah Najjar, 13 settembre 2017
Un gruppo di donne beduine palestinesi ha accusato di frode e diffamazione un movimento israeliano dopo che uno stilista locale si è rivolto a loro per una partnership in vista della Settimana della moda di New York.
Le donne di Desert Embroidery, che lavorano come sarte sotto gli auspici di un’associazione locale per l’emancipazione delle donne beduine nel Negev, hanno aiutato uno stilista israeliano nella creazione di un abito ricamato nello stile tradizionale palestinese. L’abito è stato presentato ad uno spettacolo per una raccolta fondi la scorsa settimana.
Dicono di non essere state informate dei motivi reali che stavano dietro alla partnership avviata con lo stilista Arik Aviad Herman, descrivendola come “ingannevole e disonesta”.
All’inizio di quest’anno, Herman fece notizia con il modello di un abito controverso che ritrae una “Gerusalemme unificata”, indossato dal ministro della cultura israeliano Miri Regev a un festival cinematografico internazionale.
Secondo Asma al-Saneh, a capo di Association for the Improvement of Women’s Status, Herman non aveva menzionato OR Movement, un’organizzazione israeliana che lavora per promuovere il reinsediamento degli ebrei israeliani nel Negev e in Galilea, come sponsor di partnership e abito.
“Riceviamo regolarmente richieste di questo tipo da vari stilisti e rivenditori in Israele – perciò questo non era un caso eccezionale e non abbiamo avuto nessun problema a dare una mano allo stilista”, ha detto Saneh ad Al Jazeera.
“Ma non avremmo mai accettato di farlo se avessimo saputo sin dall’inizio chi fosse e chi lo aveva mandato”, ha aggiunto. “Riteniamo che il nostro prodotto finale sia stato strumentalizzato.”
Secondo Herman e il CEO di OR Movement, Roni Flamer, la trattativa fin dall’inizio è stata “autentica” e trasparente e entrambe le parti erano consapevoli del coinvolgimento di OR.
Ma Saneh sostiene che dopo il completamento dell’abito, “siamo rimaste sorprese nel vedere arrivare lo stilista a ritirare lo con tanto di troupe e cameramen… E siamo rimaste sorprese quando ci ha presentato un uomo arrivato con lui e abbiamo scoperto che faceva parte di OR Movement e che quelli erano coinvolti”.
La raccolta fondi è stata organizzata insieme da OR Movement e Tahor Group, un’agenzia di New York che promuove regolarmente il lavoro di stilisti israeliani.
L’abito ricamato ha ricevuto notevoli reazioni negative da parte di diversi utenti di social media che hanno definito il risultato come “appropriazione culturale” dovuta all’uso di un ricamo palestinese su di un modello israeliano.
Ma secondo Herman è stato concepito per mettere in evidenza il potenziale di coesistenza nel Negev.
“Ho dato forma a un progetto artistico di comunità che ha offerto agli artisti del Negev l’opportunità di unirsi e collaborare insieme per questo pezzo esclusivo disegnato in onore del Negev”, ha detto Herman ad Al Jazeera.
“Sono davvero orgoglioso che questo vestito comporti tutta questa diversità che abbiamo nel Negev e non trascuri alcun aspetto della società o della cultura. Ovviamente non c’è alcun furto, è casomai una celebrazione della cultura”.
L’abito è stato messo all’asta alla fine dello spettacolo. Secondo Saneh gli utili sono andati ai fondi di OR Movement – ma secondo l’amministratore delegato del movimento gli utili sono andati agli organizzatori per contribuire alle spese del “costoso spettacolo”. OR Movement riceve fondi da donatori privati in tutto il mondo, ha detto il CEO Roni Flamer ad Al Jazeera.
“Svolgiamo attività per costruire relazioni differenti con le diverse società in Israele per assumerci insieme la responsabilità di costruire un futuro e una visione condivisi… La partnership è stata pensata giusto per questa presa di coscienza”, ha detto. “Abbiamo deciso all’ultimo momento di aggiungere un altro vestito con l’intenzione di dedicarlo alla collaborazione tra i beduini e gli ebrei per dimostrare che nel Negev c’è un linguaggio diverso”.
Fondato nel 2002, la missione di OR Movement è quella di creare città ebraiche nel deserto meridionale israeliano del Negev e nelle regioni della Galilea. Ha fondato nove nuove comunità e reinsediate 33.000 persone, secondo il sito web del movimento.
Ma secondo Haia Noach, direttrice del Negev Coexistence Forum for Civil Equality, ONG israeliana, gli obiettivi del movimento sono quelli di costruire comunità ebraiche sopra villaggi beduini esistenti.
“Il Movimento OR non lavora assolutamente alla promozione di una coesistenza nel Negev… Si tratta di un’organizzazione che lavora costantemente alla promozione di insediamenti ebraici nel Negev e in Galilea e all’espansione della popolazione ebraica in queste aree”, ha detto Noach.
“Questa aspirazione ad un incremento della popolazione ebraica in queste regioni è in contrasto con la creazione di una società condivisa e di una coesistenza, soprattutto quando vengono fondate città ebraiche in sostituzione di quelle beduine esistenti.”
Anche se alcuni beduini vivono in città sponsorizzate da OR Movement, Noach dice che questi sono semplici “esempi di coesistenza e non costituiscono una reale uguaglianza”.
La comunità beduina comprende circa 200.000 persone in tutto Israele, concentrata principalmente nel sud del paese. Le autorità israeliane hanno regolarmente eseguito ordini di demolizione di case nel Negev sostenendo che i villaggi non dispongono dei permessi di costruzione necessari – che i residenti dicono impossibili da ottenere.
Come risultato città solo ebraiche si insediano nelle terre palestinesi, costringendo le famiglie a trasferirsi da queste aree. Molti di coloro che rimangono non hanno accesso alle infrastrutture di base o a opportunità di sviluppo. Saneh ha osservato che circa 40 villaggi beduini non riconosciuti sono sotto minaccia esistenziale.
“La stragrande maggioranza dei beduini ha il diritto di vivere in villaggi e città più grandi e sviluppati. Nei villaggi ebraici in cui è presente un ‘comitato di ammissione’, è quasi impossibile per i beduini essere accettati», ha spiegato Noach.
Secondo Saneh, “lavoriamo molto per emancipare le donne nella nostra comunità… non ci saremmo mai associate con un movimento che promuove la costruzione di insediamenti sopra a villaggi non riconosciuti e anche riconosciuti nel Negev”.
Dopo l’uscita di un articolo di cronaca locale che annuncia la presunta collaborazione, l’associazione femminile ha formalmente chiesto che il suo nome sia tolto da ogni materiale pubblicitario, pagine dei social media e interviste future sui media, ha detto Saneh.
“Nei servizi sui media e nei post sui social media OR Movement e lo stilista hanno affermato che questa partnership dimostra pace e coesistenza, ma non siamo mai state consultate sulla percezione che noi abbiamo avuto di tutto questo. E’ come se avessero espresso pensieri a nostro nome,” ha detto. “Riteniamo che hanno usato il nome della nostra associazione per servire i propri interessi personali e riteniamo che il nostro nome ne sia stato danneggiato.”
L’associazione sta ora preparando un’azione legale nel tentativo di attirare l’attenzione sul suo obiettivo come un’entità indipendente dedicata alla emancipazione sociale ed economica delle donne nel Negev, ha detto Saneh.
Nel frattempo, ha detto, l’associazione ha rifiutato di accettare qualsiasi pagamento per la partnership.
“Come possiamo accettare di essere associate a organizzazioni che aiutano a soddisfare gli obiettivi discriminatori del governo e come posso essere d’accordo a prestare la mia cultura – il ricamo – per un vestito mostrato ad una raccolta fondi che aiuta il movimento che costruisce insediamenti sulla mia terra?” ha detto.
“Lo Stato di Israele è una realtà e, diversamente da molte persone in tutto il mondo, lo comprendiamo perfettamente e riconosciamo, da assoggettati. Come assoggettati dobbiamo avere a che fare con loro, e fin qui d’accordo – ma rifiutiamo di metterci il nostro nome.”
traduzione di Simonetta Lambertini – invictapalestina. Org
fonte: http://www.aljazeera.com/indepth/features/2017/09/bedouin-women-misled-embroidering-gown-nyfw-170912114740717.html