Ignorare le atrocità del colonialismo equivale a negare l’olocausto

Come prima cosa Gilley pone il caso del colonialismo affermando di volerne salvare la cattiva fama che gli è stata assegnata nella storia.

Nathan J. Robinson –  Settembre 2017

 

Forse il modo migliore per capire cosa sia stato il colonialismo è immaginare che una situazione del genere stia capitando al nostro paese: che sia invaso, conquistato e occupato da una potenza straniera; le istituzioni attuali vengono smantellate e rimpiazzate dal controllo assoluto dei colonizzatori; una stretta gerarchia separa i colonizzatori da colonizzati; vieni trattato come una sorta di sub-umano inutile di cui abusare a piacimento; i colonizzatori commettono crimini con impunità assoluta contro il tuo popolo; qualsiasi ribellione e tentativo di resistenza viene represso con atroci brutalità e massacri.

Più vividamente riesci a figurarti questo scenario, più ne sarai terrorizzato.

Si potrebbe pensare che questa repulsione sia naturalmente, comunemente condivisa. Ma così non è.

La maggior parte dei britannici va fiera del periodo coloniale dell’Impero.

Gli americani mostrano un’indifferenza totale di fronte alla povertà e alla devastazione della popolazione indigena del paese.

Essere pro-colonialisti significa avere successo accademico: lo storico di Harvard, Niall Ferguson, ha a lungo difeso e sostenuto l’impero britannico come una “forza benefattrice”.

Ora, Bruce Gilley,  professore e ricercatore presso l’università statale di Portland, ha pubblicato un (impertinente) “Caso per il colonialismo” nel “Third World Quarterly”, una rispettata rivista accademica.

L’articolo di Gilley assume posizioni molto chiare:

Il colonialismo ebbe conseguenze positive per il mondo e il sentimento anticoloniale è assurdo.

Non solo: c’è bisogno di un nuovo programma coloniale in cui le forze occidentali prendano le redini dei governi delle nazioni sottosviluppate.

Egli intende rivisitare e ribaltare tre linee di criticismo dirette contro il colonialismo, che sono:

il fatto che i “contro” del colonialismo siano stati più dei “pro”;
che il colonialismo non possa essere giustificabile e legittimabile;
che la pratica vada contro i principi della nostra società contemporanea.
Gilley non vuole dunque solamente provare che il colonialismo abbia apportato notevoli benefici e che debba essere ricostituito, ma anche che fosse assolutamente “legittimo”, che non vi sia nulla di intrinsecamente ingiusto nell’invadere e dominare un altro popolo.

L’articolo di Gilley è proprio un lavoro ben fatto. È dura da credere, all’inizio, che non si tratti di una satira che intenda colpire e provare come certe opinioni ripugnanti siano state normalizzate. Dal momento però che l’articolo è apparso su un giornale comune, quindi si presuppone sia espressione di sentimenti condivisi, vale la pena rispondere al caso proposto.

L’argomentazione di Gilley si basa grossomodo sul fatto che l’opposizione al colonialismo sia una scelta ideologica più istintiva che ragionata.

L’anticolonialismo ha causato gravi conseguenze, perché i governi postcoloniali hanno danneggiato i loro popoli tentando di distruggere le benefiche istituzioni coloniali.

La missione “civilizzatrice” del colonialismo ha avuto effetti positivi. Il colonialismo è legittimato dal fatto che ha aiutato le popolazioni che erano disposte a tollerarlo.

Le argomentazioni contro il colonialismo sono spesso incoerenti, si concentrano sul biasimo dei governi coloniali per i suoi lati negativi e non prendono in considerazione l’alternativa (peggiore) che sarebbe potuta esserci al suo posto.

Il concetto non deve più possedere connotati negativi; e anzi, dovrebbe essere rivisitato per essere applicato a quei paesi che oggi sono ancora in via di sviluppo e incapaci di autogovernarsi.

L’articolo di Gilley è sintetico, dunque non elabora in modo esaustivo ciascuno di questi punti.

Ma il nodo della questione è chiaro: il colonialismo ha conseguenze positive per i popoli colonizzati e l’anticolonialismo è un’ideologia distruttiva e irrazionale che dovrebbe essere abbandonata.

Suppongo che, per quelli che non conoscono la storia, l’argomentazione di Gilley possa essere persuasiva. Ma se ci si ferma solo per un secondo a esaminarne i contenuti, ci si accorge di come questi siano abominevoli.

Gilley afferma di starci solamente chiedendo di valutare i fatti in modo imparziale, per considerare il colonialismo in maniera empirica e superare i nostri preconcetti ideologici.

Ma ciò non corrisponde assolutamente a ciò che effettivamente fa.

Anziché valutare il colonialismo in modo empirico, Gilley ha distorto la storia, ha ignorato completamente le evidenze storiche dei crimini compiuti dal colonialismo contro l’umanità.

Questo modo di agire non solo non è per nulla accademico, ma è moralmente deplorevole, quanto il fatto di negare l’olocausto.

Come prima cosa Gilley pone il caso del colonialismo affermando di volerne salvare la cattiva fama che gli è stata assegnata nella storia.

Egli però restringe la sua analisi agli anni compresi tra l’inizio del XIX e la metà del XX. Ciò perché, se avesse incluso i primi 300 anni della storia del colonialismo occidentale (ovvero il periodo più lungo), non avrebbe potuto montare un qualche caso in cui il colonialismo abbia apportato benefici alle popolazioni indigene.

Le civiltà delle Americhe vennero sterminate dal colonialismo attraverso le malattie, lo smantellamento, l’esaurimento delle risorse, la guerra unilaterale e il massacro totale. Le loro popolazioni subirono un “collasso catastrofico”.

Data l’impossibilità di convertire queste atrocità in azioni benevole, Gilley evita praticamente di menzionarle. Ciò dimostra che l’autore non ha la minima intenzione di considerare l’evidenza storica che contraddice le sue argomentazioni, poiché seleziona esclusivamente quei casi in cui le popolazioni native non vennero estinte.

Inoltre, il metodo in cui Gilley difende il colonialismo si basa su un’analisi dei benefici ottenuti, in cui la gravità dei danni è soppesata da conseguenze positive quali il miglioramento delle condizioni di vita, il buon governo e, addirittura, “una maggiore sicurezza economica”.

Comparando la situazione determinata dal colonialismo a ciò che sarebbe potuta essere l’alternativa in sua assenza, Gilley conclude che il bilancio effettivo dei “pro” apportati dal colonialismo superi di gran lunga i “contro”. Tra i benefici menziona: la formazione di un autogoverno, maggiore benessere materiale, maggiore possibilità di lavoro, maggiore mobilità socio-economica, comunicazione interculturale…

Solamente quando i “contro” superano i “pro”, allora il colonialismo è moralmente indifendibile.

Questa modalità di valutazione di cos’è stato il colonialismo è pressoché abominevole, perché prevede che fatti gravi effettivamente accaduti possano essere ignorati e dunque banalizzati.

Possiamo provare come una logica del genere sia essenzialmente ridicola: “Si, avremmo anche massacrato 500 bambini, ma le nostre cliniche hanno vaccinato e dunque salvato 501 vite”.

Nelle corti di giustizia non permettiamo che un assassino si difenda secondo questa logica, per una buona ragione: non sei innocente una volta che affermi “Si, ho ucciso mia moglie, ma sono anche un pompiere”.

Bisogna fare attenzione all’uso di un altro tipo di logica, che io chiamo “la difesa della sorella di Pip”, da un personaggio di Great Expectation, che sto leggendo in questo periodo.

La sorella di Pip giustifica la sua crudeltà e l’abuso fisico ricordando costantemente a Pip che se non fosse per lei, lui si troverebbe in una situazione peggiore.

E il punto è che se questo sia vero o no non incide sulla valutazione dei crimini compiuti da una persona. Gilley e altri sostenitori del colonialismo sono come quel marito che dice alla moglie a cui non piace prendere bastonate che deve ricordarsi comunque chi è che provvede per lei. Essi legittimano il potere coloniale suggerendo che una crescita economica possa controbilanciare e annullare massacri, stupri di massa e torture.

(A proposito, penso che anche gli oppositori più radicali del colonialismo possono talvolta cadere in questa trappola. Potrebbero pensare di non avere abbastanza argomenti per affermare che il colonialismo non abbia mai portato alcun beneficio- cosa che, come sottolinea Gilley, nemmeno Chinua Achebe pensava. È invece fondamentale evidenziare come il fatto di costruire delle linee di potere e aprire scuole non autorizza a derubare e assassinare le persone. Inoltre, non ci si dovrebbe sorprendere se il governo e l’economia di un paese finiscano per peggiorare in epoca post-coloniale, dato che ricostruire una nazione  dopo secoli di sottomissione non è un’impresa proprio facilissima.)

 

Ma supponendo anche che l’analisi basata sui “costi-benefici” del colonialismo sia corretta, Gilley, comunque, ha bisogno di deformare l’evidenza per dimostrarne la validità.

Ad esempio, Gilley cita il caso del Congo. “Da quando ha ottenuto l’indipendenza, il Congo non ha mai avuto a sua disposizione un esercito comparabile in efficienza e disciplina a quello che ebbe sotto il governo dei belgi, commentando poi che “è forse meglio che i belgi tornino a governare”.

Se uno conoscesse davvero la storia del colonialismo belga in Congo, saprebbe di certo che affermare ciò equivale a dire ad un nativo americano che “sarebbe meglio se la Confederazione venisse ristabilita”.

Il regime coloniale del re belga in Congo è stato probabilmente uno dei più infami della storia.

I contemporanei si riferiscono ad esso come un periodo di “rapine e violenze legalizzate”, e Leopoldo ha reso il suo “libero stato del Congo” un campo di lavoro di massa, facendo un’enorme fortuna sfruttando le risorse della gomma selvatica e contribuendo in vasta parte alla morte di circa 10 milioni di persone innocenti. Il dominio belga in Congo fu un regno del terrore che scandalizzò il mondo intero:

la maggior parte delle morti fu causata dalla pura e semplice uccisione. I villaggi vennero saccheggiati e se la popolazione rifiutava di collaborare o se anche collaborava, ma non abbastanza da rispettare gli standard europei di produzione, veniva punita. I soldati tagliavano le mani dei Congolesi per portarle ai loro sovrintendenti come “prova” che testimoniasse la quantità di munizioni spese. La pratica della mutilazione era estesa anche ai vivi, come ricorda Morel. Ma il maggior numero di decessi fu causato dalle malattie e dalla fame. L’orrore del regime coloniale spinse la gente ad abbandonare i loro campi e dunque le risorse di cibo.

 

Qui sotto è riportata una delle fotografie più atroci e terribili che abbia mai visto (ATTENZIONE), scattata dalla missionaria e giornalista inglese Alice Seeley Harris, che portò allo scoperto gli abusi dei belgi.

Essa raffigura un uomo che osserva i piccoli piedi e mani tagliati a sua figlia, assassinata perché l’uomo non era riuscito a raccogliere una quantità sufficiente di gomma.

 

È scioccante che Gilley non menzioni nulla di tutto ciò nelle sue argomentazioni. Nonostante prometta di soppesare gli aspetti positivi con quelli negativi, non prende assolutamente in considerazione alcuna visione negativa.  Dice che la soppressione della rivolta Mau Mau in Kenya fu una buona cosa, rispetto a qualsiasi altra alternativa che ci sarebbe potuta essere, ma non parla di ciò che effettivamente fu la soppressione: detenzione di massa e abuso di diritti umani.

Gli abitanti vennero messi in campi in cui subivano torture crudeli, malnutrizione, maltrattamenti. Le donne venivano violentate, gli uomini castrati. Gilley non menziona nulla di tutto ciò. (Anche Nial Ferguson ammette che “quando l’autorità imperiale britannica veniva sfidata, la reazione era delle più brutali).  Ugualmente ignorato è ciò che accadde in India sotto il dominio britannico: l’orribile massacro di Amristsar, le carestie che uccisero milioni di persone e gli orrori della partizione. I crimini in Algeria: ignorati. Il genocidio per mano dei tedeschi in Nambia: ignorato.

In “Shooting an elephant”, Orwell esprime la repulsione suscitata dalla partecipazione al progetto coloniale:

“Ho odiato la mia occupazione più di quanto possa esprimere. Ho potuto assistere da vicino al lavoro sporco dell’impero: i poveri prigionieri ammassati nelle gabbie puzzolenti, i volti grigi e atterriti dei condannati, i glutei mutilati degli uomini che erano stati frustati col bambù- tutto ciò mi oppresse con un intollerabile senso di colpa”.

Un poliziotto britannico tiene sotto controllo degli uomini keniani mentre le loro case vengono sequestrate durante la rivolta Mau Mau. Fonte: The Indipendent.

 

Dico poi che le argomentazioni riportate nell’articolo di Gilley siano gravi tanto quanto il fatto di negare l’olocausto, perché se affermi di compiere un’analisi del colonialismo, senza riportare le atrocità che esso significò, stai fabbricando la storia. Gilley dice che l’anticolonialismo non prende in considerazione i fatti, ma, effettivamente, è proprio il suo articolo che dipinge una versione distorta della storia coloniale, una in cui i colonizzatori hanno agito con volontà benevola e civilizzatrice, si dedicarono alla costruzione di scuole ed ospedali, istituirono governi efficienti. La cosa peggiore che abbia potuto dire del colonialismo è che “non è stato comunque un bene senza macchie”.

 

I passi in cui Gilley afferma la legittimità del colonialismo adottano un ragionamento che non può essere preso sul serio. Gilley afferma che “il dominio straniero è stato spesso legittimato dal fatto di essere riuscito a istituire un governo migliore rispetto a quello indigeno”. Se questa logica fosse generalmente accettata, chiunque potrebbe stabilire da un momento all’altro un governo totalitario su qualsivoglia popolo, se i colonizzatori potessero governare meglio di quanto possano fare i nativi”;

Gilley non fornisce alcuna motivazione per cui si dovrebbe accettare questa teoria, la afferma e basta. Egli inoltre dice che  le popolazioni colonizzate mandano i loro figli alle scuole e agli ospedali coloniali o a combattere nell’esercito coloniale, ciò testimonia la positività dell’impresa coloniale. Così come anche la poca resistenza opposta agli invasori: è la prova che questi ultimi sono benvoluti. Ciò equivarrebbe a dire che un uomo con una pistola puntata alla testa abbia volontariamente deciso di dare al ladro il suo portafogli.

Gilley cerca poi di provare come i colonizzatori non stessero tentando di saccheggiare le terre dei colonizzati dicendo che “il colonialismo rappresentò per le potenze imperiali una perdita di denaro”. Se una compagnia perde soldi non vuol dire che non stesse cercando profitto. Mi inoltro nei dettagli per dimostrare che l’articolo di Gilley non sia per nulla un serio lavoro accademico. Penso che le persone di fronte alle argomentazioni di Gilley rimangano istintivamente perplesse date le assurdità dichiarate. Ma apparentemente non è così, visto che l’articolo venne pubblicato dalla “Third World Quarterly”.

Per quale motivo poi, non lo so; francamente è molto strano.

La commissione della TWQ è piena di anticolonialisti di sinistra come Vujay Prashad e Noam Chomsky, e mentre Prashad afferma di non aver letto l’articolo prima della sua pubblicazione, è strano che gli stessi editori abbiano pensato che un saggio che suggerisce ai belgi di tornare a colonizzare il Congo possa costituire un valido contributo alle conoscenze accademiche.

Mentre i motivi della TWQ restano imperscrutabili, ho il sospetto di aver capito quelli di Gilley. Questo articolo non può esser letto come se avesse un intento serio. Il tono usati contro i critici del colonialismo  è polemico e derisorio (questi studiosi hanno una “cultura e un comportamento flaneuristi-metropolitani” ).

Le intenzioni dell’autore devono per forza essere quelle di provocare le persone fino alla collera: il colonialismo non era solo legittimo, ma “ben legittimo” e per questo dovremmo ora riportarlo in vita, costruire nuove colonie occidentali che dovrebbero essere pagate per i “servizi” offerti.

Penso che Gilley voglia portare le persone all’esasperazione e a richiedere che l’articolo sia rimosso. Così egli potrà lamentarsi della censura e dire che a quelli di sinistra non importano i fatti, dato che rifiutano il confronto.

 

Questa dinamica è stata spesso seguita. È ciò che ad esempio fece anche Milo Yiannopoulos: sparare a raffica affermazioni sconvolgenti e scandalose (sul bullismo tra gli studenti) incitando una reazione di collera nelle persone, che hanno chiesto l’immediata rimozione dell’articolo. E l’autore, così, è stato in grado di provare come la “SJWs” non sia capace ad affrontare i fatti e le argomentazioni.

 

La stessa cosa è accaduta di recente: dei professori di diritto hanno pubblicato un saggio in cui biasimavano la cultura rap dei neri del centro città, vista come un declino culturale, e uno di loro lodava la superiorità della cultura bianca europea. Le reazioni di indignazione non tardarono ad arrivare, per ovvi motivi: gli studenti si ribellarono dicendo di non aver bisogno degli insegnamenti impartiti da questo genere di suprematisti bianchi.

Quando uno dei professori venne intervistato a Fox News, però, dichiarò che “non vi fu alcuna replica contraria alle nostre affermazioni”.

 

Questo modello è semplice e prevedibile: un conservatore pubblica qualcosa che appare effettivamente ambiguo e moralmente deplorevole. La reazione dei liberali si focalizza sull’offesa morale. I conservatori affermano che i liberali ignorano i fatti. Temo che Bruce Gilley andrà a finire al Tucker Carlson Show, lamentando il fatto che la sinistra, limitata da pregiudizi contro i bianchi europei, abbia voluto la censura del suo articolo, per rifiuto di un sano confronto con la realtà dei fatti. Sono dunque preoccupato per le conseguenze che questa mia risposta potrebbe causare.

Non voglio firmare la petizione per la rimozione dell’articolo perché ritengo che il giornale non debba farlo solamente per la pressione pubblica. L’articolo non avrebbe dovuto essere nemmeno pubblicato.

Gilley non ha rispettato alcuno standard prescritto dalle regole accademiche.

Ha falsificato la storia.

Non ha sostenuto alcun rigore e l’onestà che ci si aspetterebbe da qualcuno nella sua posizione e l’articolo è di fatto e moralmente una disgrazia.

Sarebbe molto semplice cascare nella trappola prevedibilissima, in cui quelli di sinistra definiscono Bruce Gilley un razzista e Gilley replica dicendo che loro non riescono a gestire la verità.

Volevo poi dire che di solito mi interesso di quegli argomenti che non dovrebbero neanche essere menzionati, e ciò perché questi, se ignorati, potrebbero espandersi con il loro marciume (questo è il motivo per cui mi son preso il calvario di leggere The Bell Curve).

Tutti dovrebbero leggere l’articolo attentamente per capire ciò che Gilley dice e ciò che non dice. Penso poi che tutte le risposte ad esso debbano essere rigorose e svolte con scrupolo.

Bisogna ripetutamente sottolineare che l’articolo è abominevole non solo perché si appella a qualcosa che contraddice il nostro senso di giustizia, ma anche perché produce deliberatamente una falsa versione della storia.

Sono stufo della gente di destra che dice a quella di sinistra di non volere affrontare i fatti. Ho letto le loro argomentazioni e sono pessime.

 

 

trad. Miriam  Zatari

Fonte: https://www.currentaffairs.org/2017/09/a-quick-reminder-of-why-colonialism-was-bad

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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