Gli attivisti che protestavano contro la collaborazione della Philadelphia Orchestra con il governo israeliano si sono trovati a essere bersaglio dello scherno dei passanti. Copertina – Palestinesi alzano la loro bandiera nazionale il 10 aprile 2018 sul luogo delle proteste alla barriera tra Israele e Gaza (AFP)
Susan Abulhawa, 24 aprile 2018
Mentre stavo fuori dal Kimmel Center con un gruppo di attivisti che protestavano per la collaborazione della Philadelphia Orchestra con il governo israeliano alla fine di aprile, una piccola vecchia signora che spingeva un deambulatore mi si è avvicinata lentamente. Istintivamente le ho sorriso, come si fa quando si è avvicinati da qualcuno vulnerabile.
Poi ha parlato, trionfante, pensando bene di puntarmi contro un dito artritico.
“Sono una sopravvissuta all’Olocausto e ho combattuto in Israele contro terroristi come loro”, ha detto, indicando con lo stesso dito le foto che scorrevano dei palestinesi recentemente assassinati dai cecchini israeliani – che continuano, mentre scrivo, a inquadrare col loro mirino palestinesi disarmati e a fare fuoco, come fossero a una caccia sportiva.
Catastrofe incomprensibile
L’incongruità dell’età di quella donna e la fragilità fisica con l’odiosità delle sue parole e del suo comportamento erano difficili da conciliare. È sconcertante dover considerare la realtà che la Nakba palestinese sia avvenuta principalmente per mano di ebrei europei sopravvissuti all’Olocausto.
Nakba significa catastrofe in arabo – qualcosa di così devastante e così incredibilmente grande da essere incomprensibile. Chi, se non i responsabili, avrebbe potuto veramente comprendere il furto di un intero paese, di una nazione con una storia e un patrimonio millenari?
Come si può capire la quasi completa cancellazione dei palestinesi, un popolo antico con città edificate, un aeroporto e una compagnia aerea, biblioteche, squadre sportive, bande, sinfonie, imprese, banche, fattorie, luoghi di culto, scuole, università, parchi, spiagge, strade e tutte le infrastrutture vitali?
E poi immaginare oltre l’inimmaginabile, un abisso di menzogne e miti sionisti che riconsegnano la cultura, il cibo, le tradizioni, la proprietà, il patrimonio e la storia palestinesi come eredità a ebrei europei che non avevano mai messo piede né avevano legami ancestrali diretti con quella terra prima del 20° secolo?
Anche se ogni palestinese è stato modellato dalla Nakba in un modo o nell’altro, rimaniamo sbalorditi – non solo per la grandezza del furto e delle menzogne e la crudeltà persistente dei sionisti che costantemente ricordano al mondo il vittimismo ebraico, ma anche per un mondo moderno così avidamente disposto ad abbracciare questi racconti fantastici di un colonialismo di insediamento per decreto divino.
Terrorizzare la popolazione palestinese
Celebrazioni della fine palestinese avvengono in tutto il mondo in aprile e maggio, e ai più alti livelli di governo. Alzano la bandiera di una nazione di 70 anni, inventata, di stranieri che hanno cambiato il loro nome per sembrare meno europei e che hanno terrorizzato e derubato il popolo indigeno palestinese dal giorno in cui hanno messo piede sulle nostre coste.
E mi chiedo, perché? Perché la Francia, gli Stati Uniti, il Canada, il Regno Unito, la Germania e altri paesi alzano la bandiera israeliana sui loro edifici governativi? Perché sono indifferenti alla profonda angoscia di un martoriato popolo indigeno? Abbiamo fatto qualcosa a qualcuno di loro per meritare un tale disprezzo?
Tuttavia, sappiamo perché. Sudafricani e sudamericani lo sanno, e anche altri. Quanti comprendono le macchinazioni della supremazia bianca comprendono istintivamente la semplicità della creazione di Israele, nonostante narrazioni che confondono e le enormi conseguenze.
Il compianto James Baldwin, un’autorità profetica morale e uno dei più grandi saggisti in lingua inglese, scrisse nel 1979 che “lo stato di Israele non è stato creato per la salvezza degli ebrei; è stato creato per la salvezza degli interessi occidentali … I palestinesi hanno pagato per la politica coloniale britannica del “divide et impera” e per la coscienza cristiana dell’Europa colpevole da più di trent’anni.
“Infine: non c’è assolutamente – ripeto: assolutamente – nessuna speranza di stabilire la pace in quello che l’Europa chiama così arrogantemente il Medio Oriente senza trattare con i palestinesi.
Lottare per la dignità umana fondamentale
È giusto sottolineare la stretta associazione con l’apartheid in Sud Africa. In ultima analisi, Israele è allo stesso modo anacronistico, una stretta finale di una sbiadita era coloniale per salvare la supremazia bianca e il colonialismo del passato.
Penso al veleno di quella piccola vecchia signora alla protesta. È arrivata dopo che un uomo di mezza età che ci aveva ripetutamente sputato addosso, un soldato israeliano elegantemente vestito (ora vive a Filadelfia), che mi si era parato davanti minaccioso prima di strapparmi dalle mani un poster mentre altri urlavano insulti. Erano ricchi mecenati bianchi dell’orchestra che credono che i palestinesi dovrebbero perdere tutto, così che loro, e gli ebrei di tutto il pianeta, possano avere un paese sulla nostra terra.
Poi c’eravamo noi, un gruppo eterogeneo di cittadini di Filadelfia, che combattono quotidianamente contro potenti poteri finanziari e razzisti per le più elementari dignità umane per le persone derubate delle loro risorse e spiriti. E, naturalmente, c’era la Philadelphia Orchestra, così sofisticata che non può essere disturbata dalla moralità della lotta di un popolo oppresso.
Era un microcosmo della Nakba palestinese, vestigia attuale di colonialismo. Ma come il Sud Africa, l’Algeria e l’America nativa e nera – tutti terrorizzati da secoli di supremazia coloniale bianca – la Palestina combatterà per tornare alla vita. Raramente la storia ha esitato su questo percorso.
Susan Abulhawa è una scrittrice palestinese-americana e autrice di bestseller. The Blue Between Sky and Water (Bloomsbury, 2015) è il suo romanzo più recente.
Traduzione Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org