A giudicare da alcuni articoli, sembra quasi che le pallottole rimangano semplicemente sospese per aria, in attesa che i palestinesi ci vadano incontro apposta. Copertina – I palestinesi appaiono, semplicemente e quasi misteriosamente, come “sono morti”. [Mohammed Sabre / EPAI]
Moustafa Bayoumi, 16 Maggio 2018
È il particolare destino degli oppressi in ogni parte del mondo che, quando vengono uccisi, vengono uccisi due volte: prima da una pallottola o da una bomba, poi dal linguaggio usato per descrivere la loro morte.
Una delle condizioni di oppressione più comuni, infatti, è essere colpevolizzato in quanto vittima, e che tale colpa venga attribuita tramite un linguaggio progettato per derubare l’oppresso della sua stessa lotta.
Per decenni, questa condizione è stata il tragico destino dei palestinesi, e che vengano colpevolizzati – non solo dal governo israeliano, ma dai media americani e dall’establishmentpolitico – quando vengono uccisi è un atto ormai tanto abituale che ormai, praticamente, ce lo aspettiamo.
Non siamo però tenuti ad accettarlo. Prestando attenzione al linguaggio dei media, riusciremo a vedere come avviene questa “doppia morte” dell’oppresso, e imparare a opporre resistenza a questa insidiosa rappresentazione della lotta palestinese.
Prendete i titoli di testa. Lunedì, le forze militari israeliane hanno ucciso più di 60 manifestanti a Gaza. La violenza mortale proveniva da una sola parte – non è stato ucciso nessun israeliano – ed era sproporzionata. Mentre era in corso la carneficina, il New York Times ha pubblicato un tweet sulla sua copertura dei sanguinosi eventi. Diceva: “Decine di palestinesi morti nelle proteste mentre gli USA si preparano all’apertura dell’ambasciata a Gerusalemme”.
“Morti”? Sul serio? Dovremmo notare come la forma passiva usata in questo tweet nasconda il ruolo attivo di chi ha compiuto l’azione, che è esattamente la funzione assolta dalle costruzioni passive. In questo tweet, a Israele non è attribuita alcuna responsabilità per aver ucciso i manifestanti. Al contrario, pare che i palestinesi siano, quasi misteriosamente, semplicemente “morti”.
Il tweet è stato oltraggioso per molti, incluso il regista Judd Apatow.
“Vergogna”, ha twittato(1) “È come chiamare le menzogne di Trump ‘imprecisioni fattuali’. Vi prego, ditemi che è un tirocinante a gestire il vostro profilo Twitter”. Ben fatto.
Per essere corretti nei confronti del New York Times, il titolo(2)della versione cartacea di martedì era molto più chiaro.
Diceva: “Gli israeliani uccidono decine di persone a Gaza”, anche se rimane da chiedersi chi siano questi “israeliani”. “Israele” non sarebbe un sostantivo più preciso? Dopo tutto, i militari rappresentano lo Stato, non i singoli cittadini.
Il New York Times, però, non si trova da solo in tema di titoli ambigui. L’articolo di apertura(3)del Washington Post sul massacro è intitolato “Gaza seppellisce i suoi morti mentre il bilancio delle vittime delle proteste al confine con Israele aumenta fino ad almeno 60”. Ancora una volta, il titolo ci lascia con una domanda: “Chi ha ucciso la popolazione di Gaza?”
Dobbiamo presumere che siano state le proteste, e non i militari, a uccidere queste persone?
Il Wall Street Journal ha caricato sul suo sito un video(4)con il titolo “Scontri sulla nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme provocano decine di morti”. A dirla tutta, questo titolo è persino peggiore degli altri.
Definire questo massacro come “scontri” non solo è ipocrita, ma anche estremamente fuorviante, dato che dà l’idea che i palestinesi stessero protestando solo contro la nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme. La Grande Marcia del Ritorno di Gaza è stata organizzata in gran parte per portare l’attenzione sulla tragedia dei rifugiati palestinesi, che costituiscono circa il 70% della popolazione della striscia di Gaza.
E poi, ecco nei titoli l’onnipresente “lasciano decine di morti” che, ancora una volta, non ci dice nulla su chi ha sparato chi, suggerendo l’idea che siano stati “scontri”, e non persone, a uccidere, e insinuando che i palestinesi sono, ancora una volta, responsabili per il loro stesso massacro.
Titoli come questi sono l’equivalente giornalistico dell’ambasciatrice statunitense Nikki Haley che dice al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che “nessun Paese in questa sala agisce con meno restrizioni di Israele”. Questo tipo di linguaggio non solo protegge Israele dalle critiche ma, soprattutto, lo sottrae alla sua responsabilità.
Oltre 70 anni fa, George Orwell scriveva che il linguaggio politico moderno “è progettato per far apparire la menzogna come verità, e l’assassinio come rispettabile”. Mi rattrista vedere come non sia cambiato niente. E niente cambierà finché non esigeremo di più da chi usa e produce il linguaggio politico di oggi. I palestinesi meritano di meglio. Noi tutti meritiamo di meglio. E nessuno dovrebbe morire più di una volta.
1- https://twitter.com/JuddApatow/status/996030778260602880
2-https://static01.nyt.com/images/2018/05/15/nytfrontpage/scan.pdf
3-https://www.washingtonpost.com/world/toll-for-gaza-protests-rises-to-59-as-baby-dies-from-tear-gas-with-more-protests-expected/2018/05/15/ee4156f8-57c6-11e8-9889-07bcc1327f4b_story.html
4-https://www.wsj.com/video/clashes-over-new-us-embassy-in-jerusalem-leave-dozens-dead/803AEB54-131C-4108-8943-CB34A7F13F13.html
Traduzione: Pamela Murgia
Fonte:https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/may/16/israel-palestine-us-news-headlines-mysterious-deaths?CMP=Share_AndroidApp_Correo_electrónico