Decine di migliaia di persone sono scese in strada per protestare contro la legge sulla maternità surrogata. I palestinesi e gli altri dovranno aspettare il loro turno. Copertina: i partecipanti Pro-LGBT partecipano a una manifestazione a Tel Aviv il 22 luglio 2018 (AFP)
Gideon Levy 23 luglio 2018
Circa 80.000 persone, per la maggior parte giovani, hanno affollato Rabin Square lo scorso sabato sera. La piazza più grande di Tel Aviv non aveva visto un raduno così grande da molto tempo; certamente non per una manifestazione di protesta.
La manifestazione ha chiuso una giornata di proteste durante le quali in migliaia hanno marciato per le strade della città. Le principali vie sono state bloccate e molte persone hanno scioperato con la benedizione dei loro datori di lavoro. Anche alcune delle maggiori compagnie del Paese hanno aderito allo sciopero . Dopo anni senza proteste pubbliche di tali dimensioni, la società israeliana ha mostrato segni di risveglio dal suo sonno profondo.
Gli oltre 160 Palestinesi disarmati che sono stati uccisi sul confine di Gaza; il crudele assedio della Striscia; l’intensificarsi della discriminazione contro gli arabi in Israele; le sfide che devono affrontare i disabili israeliani, i richiedenti asilo africani e i lavoratori delle fabbriche israeliane chiuse: nessuno di questi problemi è stato in grado di suscitare anche solo una minima parte delle proteste che hanno interessato Israele lo scorso fine settimana.
Progresso per la comunità LGBT
Quindi chi è riuscito a destare Israele dal suo letargo di indifferenza? La comunità LGBT. Gli Israeliani sono scesi in piazza, per la prima volta dopo anni, dopo che la legge sulla maternità surrogata appena approvata dalla Knesset non ne includeva il sostegno per le coppie gay (o per gli uomini single). Ciò ha provocato, e continua a provocare, grande rabbia.
La comunità LGBT in questo paese ha fatto molta strada negli ultimi anni, diventando uno dei gruppi più trendy e potenti. Il suo progresso è il risultato di uno sforzo prolungato e le sue conquiste sono motivo di orgoglio.
Ma resta ancora molto da fare. I gay, le lesbiche e le persone transgender in Israele sono ancora discriminati e non godono della piena eguaglianza. Non possono sposarsi nel loro Paese e in certi ambienti della società sono ancora oggetto di scherno. Ma la distanza che hanno percorso per raggiungere la loro attuale posizione di potere, per diventare parte del consenso israeliano, è impressionante.
Dozzine di importanti società hanno permesso ai loro lavoratori di scioperare. Hanno difeso la loro decisione con il sostegno di addetti alle public relation altamente retribuiti. Non hanno fatto lo stesso per i disabili, o per i richiedenti asilo, e certamente non per i Palestinesi sotto occupazione. Sanno che andare d’accordo con la comunità LGBT è una mossa sicura, che supportare la richiesta di uguali diritti per gli israeliani LGBT suscita grande consenso. Sostenere la comunità LGBT in Israele è il modo migliore per placare la propria coscienza.
Tuttavia c’è qualcosa di sospetto su questa solidarietà delle grandi compagnie. Cosa stavano rivendicando esattamente con questa protesta? Giustizia? Uguaglianza? Ridicolo. Permetteranno ai loro dipendenti di dimostrare e scioperare per altre cause, lasciando che ogni lavoratore “segua il suo cuore”? Ancora più ridicolo.
Queste sono, comunque, domande insignificanti. La comunità LGBT è riuscita a coinvolgere nella sua lotta il settore economico; complimenti per il successo della loro campagna.
La “comfort zone “ di Israele
Ciò che rimane molto critico nella società israeliana è l’ordine delle priorità, la sua bussola sociale e morale, la sua coscienza collettiva. Israele ha scioperato per una questione, la maternità surrogata, che in termini oggettivi non è tra le più urgentemente meritevoli di protesta, ha scioperato per un gruppo che non è in cima alla lista degli emarginati, privi di diritti, oppressi e discriminati: la comunità LGBT.
La verità è che oggi ci sono pochi altri gruppi potenti e ben collegati come la comunità LGBT. Il relativo successo di questo gruppo non dice nulla sul suo dovere di continuare la lotta per i propri diritti, né sulla giustizia del suo percorso.
Lo sciopero dice invece tutto sulla società israeliana, che ha scelto ancora una volta di fuggire nella sua “comfort zone”, dove non viene pagato alcun prezzo per le proteste, all’interno com’è del regno del “permesso e accettato”, dove si tratta solo di far sì che Israele si senta bene con sé stesso, abbellisca la sua immagine e, soprattutto, pulisca gli strati di sporcizia che sporcano la sua coscienza a causa dei suoi crimini.
Israele avrebbe dovuto scioperare, con il sostegno delle principali corporazioni , contro la legge dello stato-nazione approvata la scorsa settimana dalla Knesset. Avrebbe dovuto scioperare in solidarietà con i residenti arabi di questo Paese dopo che la Knesset ha loro sputato in faccia mentre presentava un comunicato ufficiale nel quale si afferma che sono cittadini di seconda classe.
Quale profonda guarigione, che infusione di speranza, sarebbe stata prodotta da uno sciopero di tale portata, in sintonia con Sakhnin e Nazareth, Umm el-Fahm e Taibeh, e come segno di solidarietà con tutti i cittadini arabi di Israele per i quali la legge dello stato-nazione è un pugno nello stomaco!
Che atmosfera di fratellanza avrebbe potuto scaturire; quale frutto prezioso per l’intera società sarebbe stata una dimostrazione di solidarietà . Ma ciò richiederebbe coraggio e una chiara bussola morale, due cose che mancano tra le aziende leader del paese come nell’intera società israeliana nel suo complesso.
Lavaggio del cervello alimentato dall’odio
Nessuno si aspetta più che Israele organizzi proteste di massa contro l’occupazione, l’assedio o gli insediamenti nei territori: quasi tutti in Israele sono sottoposti al lavaggio del cervello e dell’ odio.
Ma la legge dello stato-nazione, approvata dopo poche ore dalla legge sulla maternità surrogata, è di gran lunga la più decisiva, fatale, oltraggiosa, discriminatoria ed escludente. Non regolamenta un requisito sulla genitorialità. Legifera un requisito per l’appartenenza al proprio Paese. È, per alcuni israeliani, un cartello che segna la loro uscita dall’appartenenza qui. Segnala a tutti gli Israeliani che d’ora in poi vivranno in uno stato di apartheid, non solo nella pratica, ma anche nella legge.
Anche gli sviluppi sono diversi. La comunità LGBT è sulla strada del successo. Un’altra dimostrazione, un’altra votazione, e la maternità surrogata, quel percorso problematico alla genitorialità a volte visto con più repulsione che la prostituzione, sarà approvata anche per gli uomini.
La legislazione contro gli arabi ci sposta esattamente nella direzione opposta. La legge dello stato nazionale è solo l’inizio di ciò che sta arrivando. C’è una chiara corsa in avanti, e nulla può fermarla. Una protesta di massa avrebbe potuto segnalare un cambiamento e bloccare la valanga.
La legge dello stato-nazione, tuttavia, era di interesse per relativamente pochi israeliani e ne ha portati ancora meno nelle strade, anche se avrebbe dovuto toccare la coscienza di ogni israeliano, ebreo o arabo, che abbia a cuore il tipo di Paese in cui vive, del tipo di regime in cui vive.
La legge dello stato-nazione ha segnato il cammino che Israele sta percorrendo, definendo a parole, in diritto, ciò che era già noto: Israele è uno stato di apartheid, d’ora in poi non solo nei Territori Occupati, ma nell’intero paese tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.
Evasione dalla realà
Questo fatto non ha offeso la maggior parte degli Israeliani, né i suoi leader aziendali, né i suoi cittadini. Nel profondo del loro cuore, forse, sanno verso cosa sta andando la loro nazione, ma non hanno il coraggio di resistere “alla mandria al galoppo” che sostiene questo governo di estrema destra.
Forse è questo il motivo per cui queste società hanno sostenuto in modo così evidente il diritto dei gay alla maternità surrogata. Forse pensavano che se si fossero uniti a questa lotta relativamente più marginale, la loro coscienza un giorno li avrebbe disturbati di meno. O forse speravano di purificare la macchia dei loro crimini. Ma questa è un’illusione, ovviamente.
L’incredibile fuga dalla realtà, la negazione e la repressione di Israele sono visibili ovunque: nell’apatia per l’occupazione, nell’ignoranza, nelle menzogne che la gente racconta a sè stessa e nell’indifferenza per ciò che sta accadendo, e ora anche nelle proteste.
Questo è un fenomeno nuovo e affascinante: l’evasione dalla realtà. Questo è quello che è successo questa settimana in Israele. Immaginate cosa avremmo pensato se in Sud Africa durante l’era dell’apartheid i bianchi fossero scesi in piazza per difendere il diritto degli uomini di diventare genitori attraverso la maternità surrogata, mentre la popolazione nera continuava a vivere sotto un regime orrendo. È proprio quello che è successo in Israele questa settimana.
I veri oppressi possono aspettare. Israele sta marciando nel gay pride.
Trad. Grazia Parolari – Invictapalestina.org
Fonte: http://www.middleeasteye.net/columns/real-oppressed-can-wait-israel-marching-pride-parade-1684135527