Se vuoi una giusta definizione del sionismo, è meglio chiedere ad un palestinese

Se vogliamo essere seri, piuttosto che tribali su una giusta definizione del sionismo, dobbiamo chiedere al popolo palestinese cosa pensa

Robert Cohen, 6 settembre 2018

Robert A. H. Cohen

Ci sono molte buone ragioni per pensare che il documento IHRA, ora adottato “in pieno” dal NEC del Labour e dai parlamentari laburisti, sia, beh, un po’ spazzatura.

 

 

  • La definizione attuale di antisemitismo non è un granché
  • Le illustrazioni sono un pasticcio giuridico
  • Sembra non avere alcun impatto sull’antisemitismo nei (pochi) paesi che lo hanno approvato
  • Ed è già utilizzato per impedire un dibattito aperto nei campus universitari

Un recente articolo di Tony Lerman raccoglie tutti questi punti e altro.

E’ stata una convenienza politica a breve termine a guidare il processo decisionale di questa settimana, reso necessario da una costante campagna ad alto rischio di diffamazione che non fa prigionieri.

Anche il Partito democratico liberale si è adeguato, senza dubbio rendendosi conto che il tentativo di condurre una discussione razionale sui meriti dell’IHRA brucia troppo capitale politico. E ora leggiamo che anche la Chiesa d’Inghilterra vuole adottarlo. La santificazione di questo documento sta diventando ecumenica.

Ma c’è un ulteriore problema che dovrebbe essere una ragione sufficiente per buttare l’intera definizione IHRA e le sue illustrazioni nel cestino della spazzatura. E va oltre la necessità di garantire la libertà di parola.

La verità è che la comunità ebraica non può più definire “sionismo”, o addirittura “antisemitismo”, senza l’aiuto dei palestinesi.

Il diritto di definire

So cosa penseranno alcune persone.

Sicuramente, non è la comunità ebraica, attraverso la sua leadership, a determinare cos’è l’antisemitismo? che cos’è il sionismo? Sicuramente, le persone oppresse non dovrebbero avere il diritto di definire la natura dell’oppressione perpetrata contro di loro? Da qui l’insistenza sul fatto che il partito laburista adotti, in toto e senza emendamenti o ammonimenti, la definizione e le illustrazioni dell’IHRA.

Questo è ciò che il Board of Deputies degli ebrei britannici ha chiesto. Quindi sicuramente, è quello che dovrebbe ottenere?

È diventato un compito politicamente difficile, se non impossibile, sfidare questa affermazione del diritto di definire ciò che viene percepito come esperienza e terminologia esclusivamente ebraica, specialmente in un momento in cui la politica dell’identità governa il nostro discorso quotidiano.

La presidente del Board of Deputies, Marie van der Zyl, ha fornito un buon esempio dei parametri accettati del dibattito nella sua dichiarazione che accoglie favorevolmente la decisione del NEC.

“È in ritardo da tempo ed è deplorevole che il Labour abbia sprecato un’intera estate a cercare di dettare agli ebrei quello che costituisce un’offesa contro di noi”.

Allo stesso modo, l’aggiunta del NEC di una sola frase ammonimento sulla libertà di parola è stata qualificata da Simon Johnson, CEO del Jewish Leadership Council, come un lasciare aperti dei varchi nella definizione di antisemitismo:

“È chiaramente più importante per il leader laburista proteggere la libertà di parola di coloro che odiano Israele piuttosto che proteggere la comunità ebraica dalle vere minacce che deve affrontare”.

Privo di contesto

Ma questa è una prospettiva priva di contesto storico. Semplicemente non funziona per la situazione in cui noi come comunità ebraica ci troviamo ora e che i nostri leader si sono dati tanto da fare per creare.

Se definire “antisemitismo” è diventato, in larga misura, ciò che può e non può essere detto su Israele e il sionismo, allora come può essere questa una domanda alla quale solo (alcuni) ebrei possono rispondere?

E se è giusto per tutti il diritto di definire la propria oppressione, allora perché questa regola non si applica ai palestinesi?

È un po’ come cercare di definire il “colonialismo britannico” chiedendo solo l’opinione di un diplomatico inglese del XIX secolo. O lodare “libertà e valori americani” senza riconoscere l’esperienza dei nativi americani o degli afro-americani. Non ha senso perché si ottiene solo metà della storia, metà dell’esperienza vissuta (al massimo). Il linguaggio e le idee in questione hanno più di un proprietario.

Indissolubilmente legati

Per oltre 100 anni, la storia dei palestinesi e degli ebrei è stata inestricabilmente legata. Nessuno di noi può capire la nostra condizione passata o presente senza fare riferimento all’altro. Né la storia di un popolo è completa senza l’altro.

Naturalmente, la nostra relazione interconnessa non è di uguaglianza. La nostra storia è condivisa, ma le conseguenze del nostro coinvolgimento sono molto diverse.

Una parte ha diritti e autodeterminazione nazionale. All’altra sono negate le stesse cose nel nome della sicurezza ebraica e della sovranità nazionale ebraica. In breve, una parte è stata potenziata spossessando l’altra.

I palestinesi sono persino stati coinvolti nel raccontare l’Olocausto. Successive generazioni di giovani ebrei hanno imparato a vedere Israele, come è attualmente costituito, come l’unica risposta razionale alla nostra catastrofe del XX secolo. I palestinesi sono visti come un tentativo di contrastare quella risposta.

È questo intreccio di narrazioni e la necessità di difendere la legittimità di Israele che ha portato alla confusione e alla deliberata politicizzazione di “antisemitismo” come un concetto. E, in contrapposizione, ha portato alla spiritualizzazione del “sionismo”, così che è diventato non un progetto politico, ma un’espressione di fede ebraica.

Tutto ciò ha fatto sì che abbiamo perso il diritto di definire in modo indipendente la nostra oppressione senza dover consultare le vittime della nostra nuova fede nel nazionalismo ebraico. Il significato di “antisemitismo” e “sionismo” non è più solo nostro e non possiamo darne una definizione noi soli. Queste parole, e soprattutto le esperienze che portano con sé, ora appartengono anche al popolo palestinese.

Per andare oltre, noi, come comunità ebraica, dobbiamo affrontare il passato e il presente del sionismo. Dobbiamo ripensare la sicurezza ebraica in un mondo post-olocausto. Abbiamo bisogno di costruire ampie coalizioni per affrontare tutte le forme di discriminazione. Che deve includere l’antisemitismo da sinistra, e più spesso da destra, che utilizza miti e pregiudizi antiebraici per promuovere l’odio degli ebrei in quanto ebrei. E questo include chi usa tropi antiebraici per criticare Israele.

Soprattutto, se vogliamo essere seri, piuttosto che tribali su una giusta definizione del sionismo, dobbiamo chiedere al popolo palestinese cosa pensa, crede e sente al riguardo. E se ci dicono “il sionismo è un’impresa razzista” faremmo meglio a prestare attenzione.

Riflessione e pentimento

Le festività ebraiche stanno arrivando. Sono un momento di riflessione e pentimento come singolo ebreo e come parte di una comunità ebraica. Dubito che vedremo molti segni di riflessione o pentimento sulla questione Israele/Palestina. La negazione è troppo profonda. La paura dell'”altro” è troppo grande. Gli strati emotivi di autoconservazione sono troppi.

Non tutti gli ebrei possono o dovrebbero essere ritenuti responsabili di ciò che viene fatto in nome del sionismo o delle azioni dello stato di Israele. Questo è antisemitismo.

Ma tutti gli ebrei dovrebbero sentirsi obbligati a denunciare la discriminazione, i maltrattamenti e il razzismo compiuti in nome della protezione di Israele. Per me, è questo il giudaismo. E se non vedi discriminazione, maltrattamenti e razzismo – allora leggi più libri, ascolta più voci palestinesi, apri il tuo cuore.

Ma che noi scegliamo di affrontarlo o meno, il nostro rapporto con il popolo palestinese rimarrà l’unico più importante problema per gli ebrei e il giudaismo nel XXI secolo.

Ai miei lettori ebrei, “Shana Tova!” Un buon anno nuovo! Possano i nostri nomi essere scritti in un “Libro della vita” pieno di amore e giustizia per tutti coloro che chiamano la Terra Santa casa.

Postscript

Dieci domande al Presidente del Board of Deputies

Per chi non mi segue su Facebook o Twitter, mi è stato chiesto di riproporre le dieci domande che ho posto all’inizio di questa settimana a Marie van der Zyl, la Presidente del Board of Deputies degli ebrei britannici. Nessuna risposta finora disponibile.

IN UNA SETTIMANA CRITICA PER IL LABOUR E LA COMUNITÀ EBRAICA IN GRAN BRETAGNA, ECCO LE MIE DIECI DOMANDE ALLA PRESIDENTE DEL BOARD OF DEPUTIES – MARIE VAN DER ZYL

  1. Perché ignora gli esperti accademici ebrei, in particolare: David Feldman, direttore del Pears Institute for the Study of Antisemitism; Dr. Brian Klug della Oxford University; e Tony Lerman, l’ex direttore dell’Institute for Jewish Policy Research, che hanno tutti fatto studi critici del documento IHRA e l’hanno trovato in molti modi inadeguato e inutile?
  2. Perché ignora le preoccupazioni espresse dall’estensore originale della definizione IHRA e delle sue illustrazioni, Kenneth Stern, che ha detto che il documento è già in uso in tutto il mondo per limitare la libertà di parola?
  3. Perché ignora i pareri giuridici sul documento forniti da Sir Stephen Sedley, Hugh Tomlinson QC e Geoffrey Robertson QC, che hanno delineato i suoi difetti nel dettaglio?
  4. Perché difende i diritti degli ebrei a determinare l’antisemitismo, ma sostiene un documento che negherà al popolo palestinese il diritto di definire la propria esperienza di razzismo causata dal sionismo?
  5. Può spiegare perché pensa che l’occupazione israeliana della Cisgiordania lunga 51 anni non risponda alla definizione internazionale di apartheid?
  6. Riconoscerà i risultati del Home Affairs Select Committee report on antisemitism 2016 che ha rilevato che “non esistono prove empiriche affidabili per sostenere l’idea che esiste una maggiore prevalenza di atteggiamenti antisemiti all’interno del partito laburista rispetto a qualsiasi altro partito politico”?
  7. E’ in grado di dimostrare che l’antisemitismo è “diffuso” tra mezzo milione di membri del partito laburista?
  8. Può spiegare perché il Board ha scelto di portare avanti la sua campagna contro il Labour Party solo dopo che Jeremy Corbyn è diventato il suo leader e nonostante che un sondaggio YouGov indichi una caduta dell’antisemitismo tra gli elettori laburisti dal 2015?
  9. Siete tutti interessati al fatto che la campagna del Board contro Jeremy Corbyn sta creando un ambiente di paura all’interno della comunità ebraica in Gran Bretagna che è ingiustificato e sproporzionato?
  10. Dopo aver dichiarato il suo impegno “ad essere una leader per l’intera comunità”, quando pensa di incontrare formalmente Independent Jewish Voices, Jews for Justice for Palestinians, Jewdas, Jewish Voice for Labour, o Na’amod – British Jews Against Occupation?

 

Traduzione Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte:http://www.patheos.com/blogs/writingfromtheedge/2018/09/if-you-want-a-fair-definition-of-zionism-its-best-to-ask-a-palestinian/

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