In una lettera dalla prigione, l’obiettore di coscienza israeliano Hillel Garmi risponde ad Ahmed Abu Artema, uno dei leader della Grande Marcia del Ritorno a Gaza. “Anche se non saremo d’accordo su tutto, ho scoperto in ciò che scrivi una visione di giustizia.”
Hillel Garmi – 2 Ottobre 2018
Foto di copertina: Una donna palestinese fotografata dopo aver attraversato una recinzione danneggiata dai manifestanti durante la protesta vicino al confine tra Gaza e Israele, Striscia di Gaza, 28 settembre 2018. (Mohammed Zaanoun / Activestills.org)
Ahmed,
Ti scrivo da una prigione militare israeliana, dopo che la lettera aperta che hai pubblicato la scorsa settimana mi è stata letta per telefono. Non è facile per me scrivere dal carcere, all’inizio avevo pensato di aspettare fino a quando non fossi stato in grado di farlo dalla comodità di casa mia. Alla fine, tuttavia, ho deciso di rispondere ora con una lettera breve e semplice. Negli ultimi anni ho riflettuto molto. All’inizio, rimuginavo se arruolarmi o no nell’esercito. Quando iniziai a rendermi conto che avrei rifiutato il servizio militare, iniziai a pensare a come farlo. Ero mentalmente inadatto a servire. Pensai di rifiutare in modo anonimo.
Alla fine, decisi per un rifiuto pubblico. Mentre stavo facendo i conti con la mia decisione, iniziai a pensare a come massimizzare il mio esempio con lo scopo di favorire una pubblica consapevolezza. Avevo letto degli obiettori di coscienza del passato e cercai di immaginare a come avrei potuto dare nuova vita a una tale scelta, a cosa avrei potuto dire per renderla reale e rilevante anche per gli altri
Mentre stavo soppesando le varie possibilità, a Gaza iniziò la Grande Marcia del Ritorno. Da un lato, vidi come le proteste venivano coperte dai media mainstream israeliani, che le presentavano come una provocazione intelligente e violenta da parte di Hamas, gettando una luce positiva sulla risposta violenta e sproporzionata dell’esercito israeliano. Dall’altro lato, nei media alternativi e internazionali, lessi analisi differenti. A parte alcune eccezioni, inevitabili in quasi ogni lotta popolare, vi riconobbi un’iniziativa civile straordinaria e nonviolenta. Nella mia ricerca della verità, trovai dei tuoi articoli, che riflettevano una visione allineata alla mia.
Coloro che da entrambe le parti promuovono la pace, hanno cercato un partner pragmatico con cui poter condividere alcune condizioni con cui porre fine alla violenza – condizioni su cui entrambe le parti possono scendere a compromessi, invece di cercare principi universali di giustizia su cui tutti, almeno teoricamente , possono essere d’accordo. Nonostante non possiamo ovviamente essere d’accordo su tutto, nei tuoi scritti ho scoperto proprio quella visione di giustizia. Giustizia, democrazia e principi di uguaglianza e libertà per tutti. È un’aspirazione alla giustizia che tiene conto dell’ingiustizia storica contro i Palestinesi e non tenta di creare un’ennesima ingiustizia a scapito di un altro gruppo. Questa è una forma di giustizia per cui si può lottare, non è solo un compromesso.
Oggi, tra il fiume e il mare, vivono più di 13 milioni di persone sotto tre diversi governi con complessi rapporti di autorità. Nessuno di questi governi è soddisfatto dei propri confini, e nessuno di questi governi è democratico – due di loro non hanno tenuto elezioni da oltre un decennio, e uno governa sugli altri due e su milioni di suoi cittadini senza considerarli tali. Ognuno di questi governi è disposto a rendere miserabile la vita di milioni di persone in nome delle loro ingiuste aspirazioni. Poiché viviamo tutti sotto un sistema ingiusto e antidemocratico, dobbiamo lottare insieme.
Sosterrò qualsiasi formula che metta fine alla violenza, ma sono d’accordo con te sul fatto che la soluzione più giusta e legittima sia uno stato democratico per tutti i suoi cittadini. Per quanto banale possa sembrare, dobbiamo ricordare che l’ostacolo principale a ciascuna delle soluzioni proposte è una massa critica di persone che, da entrambe le parti, non sono disposte ad accettarle e che non credono di riuscire a resistere. Preferiscono invece raddoppiare gli interessi della propria nazione a scapito dell’altra.
Credo che il modo per superare queste masse critiche sia attraverso una lotta congiunta transnazionale, che non porti le persone a raggiungere un compromesso, ma piuttosto una soluzione che tragga la sua legittimità dai principi universali di giustizia. Questo è il motivo per cui ho scelto di trarre ispirazione dalla Great Return March e da queste proteste popolari, per cercare di dare più significato alla mia obiezione di coscienza. Ho cercato di tracciare un confronto tra la nonviolenza dei leader della marcia e la mia stessa disobbedienza civile. Mi sono commosso nel vedere che il mio messaggio ti ha raggiunto e spero che possa costituire la base per iniziative ancora più grandi.
Hillel
Hillel Garmi è un obiettore di coscienza israeliano di 18 anni di Yodfat. Attualmente sta scontando il suo quarto mandato in un carcere militare per essersi rifiutato di arruolarsi nell’esercito. Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in ebraico su Local Call.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invictapalestina.org
Fonte: ttps://972mag.com/we-all-live-under-one-undemocratic-system-so-we-must-struggle-together/137988/