FOTO – Dimostrante palestinese a Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, 5 ottobre 2018. (Foto: Ramez Habboub / Immagini APA)
Peter F. Cohen, 9 ottobre 2018
Anche se alla fine il villaggio di Khan Al-Ahmar è stato sgomberato per essere distrutto questa settimana, la sua difesa ci ha ricordato che il volto della lotta palestinese è diventato sempre più non violento, con i palestinesi a cui si è unita la solidarietà di internazionali – compresi molti ebrei internazionali – e anche israeliani.
Allo stesso tempo, Ahed Tamimi, l’attivista palestinese di 18 anni che è stata recentemente rilasciata dal carcere israeliano, a Madrid è stata onorata dal Real Madrid.
La grande Marcia del Ritorno, iniziata il 30 marzo, è stato un tentativo di un ampio spettro della società di Gaza per montare un’azione pacifica che il mondo non avrebbe potuto fare a meno di riconoscere come tale. Dopo 6 mesi, la Marcia è di gran lunga calata nei titoli dei giornali, anche se il bilancio delle vittime continua a salire. Ma la Marcia è comunque continuata e alcuni dei semi che ha piantato stanno già dando frutti.
Il 6 agosto Hillel Garmi, 19 anni, ha rifiutato di prestare servizio nell’esercito israeliano. Nella sua dichiarazione di rifiuto, Garmi ha scritto: “Quest’anno, durante l’ondata di dimostrazioni disarmate che hanno avuto luogo vicino alla recinzione della striscia di Gaza, ho letto quello che Ahmed Abu Artema, che ha organizzato le dimostrazioni, ha scritto, e sono rimasto colpito nello scoprire persone che affrontano la situazione tra il mare e il Giordano senza usare una pistola.”
Il 19 settembre Artema ha risposto con una lettera aperta a Garmi su +972 Magazine, in cui lo ringrazia per aver dato speranza ai palestinesi e ha scritto: “Combattiamo insieme per i diritti umani, per un paese che sia democratico per tutti i suoi cittadini.”
Il 2 ottobre, Garmi ha risposto ad Artema nella sua lettera aperta su +972 Magazine, accettando e facendo eco alla sfida amichevole di Artema: “Viviamo tutti sotto un unico sistema non democratico, quindi dobbiamo lottare insieme”.
Questi due uomini provengono da mondi diversi – Garmi in prigione per alcuni mesi per sua stessa volontà, Artema intrappolato in una prigione per tutta la sua vita adulta, nato rifugiato apolide, privato di accesso regolare a cose come acqua ed elettricità, e soggetto a ripetuti bombardamenti devastanti – e la distanza fra loro perchè possano comprendersi è ampia. Ma, dopo anni di scambi di fuoco attraverso la “barriera di separazione”, questo amichevole scambio di lettere è un atto di sfida contro un sistema progettato per tenerli separati.
“Hafrada” (“separazione”, “segregazione”, “apartness”) è il nome israeliano del complesso e brutale regime di separazione etnica che regna in Israele-Palestina controllata da Israele: una deliberata politica di separazione forzata, ufficialmente giustificata da Israele come necessaria per la sua sicurezza, che rende praticamente impossibile per questi due uomini incontrarsi fisicamente, a meno che attraverso la canna del fucile di un cecchino. Rifiutando il fucile e scegliendo di prendere la penna, Garmi si è trovato faccia a faccia con la cosa più vicina alla personificazione vivente della Grande Marcia del Ritorno. Rifiutarsi di uccidere è un primo passo. Accettare un dialogo onesto e rispettoso è un secondo. Solo il tempo dirà se questo può portare alla definizione di una visione comune a cui questi due uomini possano lavorare e che a loro volta possa ispirare altri, ma almeno la promessa c’è.
Allo stesso tempo, crescono anche gli appelli per un unico stato democratico per tutti dal fiume al mare. Diverse importanti iniziative congiunte israelo-palestinesi stanno emergendo per svelare l’agenda dell’One State. La One State Foundation lanciata a marzo e la One Democratic State Campaign (ODSC) ad aprile. L’idea sta guadagnando terreno tra i palestinesi e Ahmed Abu Artema stesso l’ha abbracciata in un pezzo uscito su Mondoweiss del 17 agosto.
La combinazione di un’azione popolare palestinese, un fermo impegno per la non violenza anche di fronte alla brutale oppressione israeliana e un obiettivo chiaramente definito di uguali diritti all’interno di uno stato è una cosa potente che ha il potenziale per diventare una forza inarrestabile. Se il tradizionale inquadramento della lotta palestinese come conflitto tra popoli per il controllo della terra viene sostituito da quello di una lotta di persone per l’uguaglianza e i diritti umani e civili fondamentali, sarà una visione cui sarà davvero difficile opporsi.
Peter F. Cohenha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia applicata alla Columbia University. Ha insegnato, tenuto conferenze, scritto diverse pubblicazioni e lavorato nello sviluppo internazionale in quattro continenti. Durante l’attacco del 2014 ‘Operation Protective Edge’ su Gaza, ha iniziato l’organizzazione di Humanity for Palestine dalla sua pagina Facebook. E’ un cittadino americano che attualmente vive in Brasile.
Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org
Fonte: https://mondoweiss.net/2018/10/why-hopeful-palestine/