L’intellettuale scomparso Edward Said sosteneva nel 2002 che Israele stava distruggendo “l’esistenza civile del popolo palestinese nell’impunità”.
Mousa Tawfic, 10 ottobre 2018
FOTO – La Nessan Band si esibisce nel Centro culturale Said al-Mishal nel 2015. (Tamer Institute for Community Education)
Ricordo chiaramente la prima volta che ho saputo del Centro Culturale Said al-Mishal.
“Non l’hai ancora visto?” mi chiese Muhammad, un ragazzo più grande di me. “E’ il più bel palcoscenico di Gaza. Ha un pavimento di legno lucido con sedie rosse decorate. Quando si apre il sipario il pubblico fa completamente silenzo.”
La conversazione ebbe luogo nel 2008. Muhammad ed io suonavamo entrambi l’oud. Stavamo prendendo lezioni in un campo estivo gestito dall’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi.
Avevo un obiettivo quell’estate: esibirmi alla cerimonia di consegna del campo. Si sarebbe dovuta svolgere nel centro culturale.
Sfortunatamente il mio obiettivo non si realizzò. Per suonare alla cerimonia di Gaza City i coordinatori del campo dell’UNRWA scelsero alcuni musicisti con maggiore esperienza di me.
Nonostante la mia delusione ero entusiasta di partecipare alla cerimonia perché significava poter visitare il centro culturale. Mentre il sipario si apriva per l’inizio del concerto sentivo il battito del cuore accelerare.
Sei anni dopo formai la Nessan Band assieme ad alcuni amici. Insistetti per suonare il nostro primo spettacolo al Centro Culturale Said al-Mishal.
Questa volta vidi il sipario aprirsi dall’interno. Il mio cuore martellò rapidamente ancora una volta.
Libertà e speranza
So che molti altri la pensano come me sul centro culturale. Non è esagerato descriverlo come una seconda casa per ballerini, musicisti, poeti e pittori.
Qui c‘è stata data libertà per esprimerci ed essere creativi. Non abbiamo avuto la stessa libertà in nessun altro posto a Gaza.
Non penso che sia esagerato affermare che il centro ha portato alla nostra gente una speranza assolutamente necessaria.
Essere in grado di vedere un’opera teatrale o un concerto era uno stacco necessario dalla routine del vivere a Gaza, prigione a cielo aperto. Dava al pubblico la possibilità di immaginare una vita migliore.
Il centro ha portato numerosi benefici agli abitanti di Gaza. La maggior parte delle persone che conosco hanno partecipato ad un suo evento.
Ahmed al-Najjar, uno studente universitario di Gaza, ha riassunto il senso di perdita che tutti abbiamo provato quando abbiamo saputo che il centro culturale era stato distrutto da Israele il 9 agosto.
“Ognuno di noi ha lì un ricordo”, ha detto. “Tutti i concerti, gli spettacoli e le mostre che ho visto nella mia vita si sono svolti a al-Mishal. Questa è la parte difficile del perderlo. È una punizione collettiva. Tutti quei rari momenti gioiosi delle nostre vite sono stati rimossi. Se ne sono andati a causa di un attacco aereo”.
Tentativo di cancellare la memoria
L’intellettuale scomparso Edward Said sosteneva nel 2002 che Israele stava distruggendo “l’esistenza civile del popolo palestinese nell’impunità”.
Said si riferiva agli attacchi ordinati da Ariel Sharon, allora primo ministro israeliano, contro l’Ufficio centrale di statistica palestinese e il modo in cui i documenti furono rubati da altri organismi pubblici. Sharon, scriveva, stava cercando di “eliminare” i palestinesi come “un popolo con istituzioni nazionali”.
Il Said al-Mishal Center era un’istituzione vitale per il popolo di Gaza.
Il mio amico Mohamed Jabaly ha iniziato a insegnare dabke – una danza tradizionale palestinese – nel centro, nel 2008.
Per lui l’attacco di Israele è stato “un tentativo diretto di cancellare i nostri ricordi positivi e felici”.
Mohamed è il regista di Ambulance, un film su quanto il personale medico ha vissuto durante l’attacco israeliano del 2014 su Gaza.
L’anno scorso il film è stato proiettato in un festival tenutosi nel Centro culturale Said al-Mishal. Mohamed ora vive in Norvegia. Non aver potuto partecipare alla proiezione di Gaza è stato “uno dei momenti più difficili della mia vita”, ha detto.
“Ora stiamo parlando di al-Mishal e di tutti i nostri ricordi in quel luogo al passato”, ha aggiunto. “L’occupazione non è solo controllo delle nostre vite e del nostro futuro. Sta anche cercando di rimuovere la nostra eredità culturale. A mio parere, questo è più pericoloso.”
“Vita degna di essere vissuta”
I palestinesi di Gaza che vivono in esilio – come me – seguono da vicino le notizie da casa. Lo facciamo non solo perché abbiamo ancora parenti e amici a Gaza, ma perché è il luogo che ci ha plasmati. Le esperienze vissute crescendo ci hanno fatto le persone che siamo oggi.
Sono rimasto profondamente scioccato quando ho saputo che il centro Said al-Mishal era stato bombardato. Non riuscivo a capire perché un posto per me tanto importante fosse stato distrutto.
Poi un amico mi ha mostrato alcuni versi di una poesia di Mahmoud Darwish:
Hanno diritto su questa terra alla vita: il dubbio di
aprile, il profumo del pane nell’alba, le idee di una
donna sugli uomini, le opere di Eschilo, il
dischiudersi dell’amore, un’erba su una pietra, madri
in piedi sul filo del flauto, la paura di ricordare
negli invasori.
(trad.Wasim Dahmash)
Questi versi mi hanno fatto capire che Israele teme i nostri ricordi. I nostri ricordi sono per noi fonte di ispirazione e motivazione.
Ci aiutano a resistere. Rendono la vita degna di essere vissuta.
Mousa Tawfiq è un giornalista originario di Gaza, ora residente a Parigi.
Qui sotto la poesia citata da Tawfiq tradotta dall’arabo in italiano da Wasim Dahmash (ndt)
Su questa terra
Hanno diritto su questa terra alla vita: il dubbio di
aprile, il profumo del pane nell’alba, le idee di una
donna sugli uomini, le opere di Eschilo, il
dischiudersi dell’amore, un’erba su una pietra, madri
in piedi sul filo del flauto, la paura di ricordare
negli invasori.
Hanno diritto su questa terra alla vita: la fine di
settembre, una signora quasi quarantenne in tutto il
suo fulgore, l’ora di sole in prigione, nuvole che
imitano uno stormo di creature, le acclamazioni di un
popolo a coloro che sorridono alla morte, la paura dei
canti negli oppressori.
Su questa terra ha diritto alla vita, su questa terra,
signora alla terra, la madre dei princìpi madre delle
fini. Si chiamava Palestina si chiama Palestina. Mia
signora ho diritto, ché sei mia signora, ho diritto
alla vita.
Traduzione di Simonetta Lambertini: Invictapalestina.org
Fonte:https://electronicintifada.net/content/crime-against-culture/25681