Amos Oz: il mito duraturo del sionista liberale

Il profilo politico di Oz in Occidente riguarda il persistente romanticismo del kibbutz e il profondamente radicato sostegno al colonialismo d’insediamento in Palestina

 

Ben White, 31 dicembre 2018

 

A lungo emarginata in Israele da una destra nazionalista in ascesa, la cosiddetta “sinistra sionista” ha mantenuto un’influenza morale e intellettuale significativa all’estero. Lo scrittore Amos Oz, morto all’età di 79 anni il 28 dicembre, è forse stato la più famosa incarnazione di questa corrente politica, e largamente venerato a livello internazionale – come lo definì The New Yorker nel 2004 – come “il padrino dei pacifisti israeliani”.

Eppure questa immagine dell’artista liberale o profeta – aiutata in gran parte da cambiamenti politici in Israele per cui anche critici accomodanti sono ora denunciati come “traditori” – è in netto contrasto con le opinioni di Oz sugli eventi passati e presenti e, in particolare, su ciò che il sionismo ha significato per i palestinesi.

 

Imbiancare la Nakba

 

La sinistra sionista di cui Oz ha fatto parte ha speso energie significative per giustificare la pulizia etnica della Palestina. Al cuore del contributo di Oz a questi sforzi c’era la seguente metafora: “La giustificazione [del sionismo] per gli arabi che dimorano in questa terra è la legittimità dell’uomo che sta per annegare che si aggrappa all’unica tavola che ha a disposizione”, scrisse nel suo libro In the Land of Israel.

“E l’uomo che sta per annegare, aggrappato a questa tavola, è autorizzato, con tutte le norme di una giustizia naturale, obiettiva e universale, a farsi spazio sulla tavola, anche se così facendo deve costringere un po’ da una parte gli altri. Anche se gli altri, seduti su quell’asse, non gli lasciano altre alternative se non la forza.”

Se non fosse per il particolare che ai palestinesi non fu chiesto di “condividere una tavola”; furono espulsi in massa, i loro villaggi rasi al suolo e i centri urbani spopolati, e continuano a rimanere esclusi dalla loro patria semplicemente perché non sono ebrei. Inoltre, chi, a parte un mostro, rifiuterebbe un posto sul pezzo di legno galleggiante a un uomo che sta per annegare? La metafora di Oz assolve così un duplice compito: da una parte la Nakba sparisce e dall’altra si incolpano le sue vittime di essere bestie crudeli che dovettero essere “forzate” a “condividere una tavola”.

Falsa simmetria

Oz ha usato metafore per promuovere una falsa simmetria e abdicare alla responsabilità politica. Palestinesi e israeliani sono “vicini” bisognosi di “buone recinzioni”, una coppia sposata che ha bisogno di un “equo divorzio”, un paziente che necessita di un intervento chirurgico “doloroso”. Nel 2005, dichiarò a Libération:

“Israele e Palestina … sono come il carceriere e il suo prigioniero, ammanettati l’un all’altro. Dopo tanti anni, non c’è quasi differenza tra loro: il carceriere non è più libero del suo prigioniero.”

Questa cancellazione delle strutture di potere e l’equiparazione della realtà degli occupati con la soggettività dell’occupante, era tipica.

“Il confronto tra gli ebrei che tornano a Sion e gli abitanti arabi del paese non è come un western o un film epico, ma assomiglia più a una tragedia greca”, ha scritto (il corsivo è mio). Ha ripetuto ancora e ancora varianti di questa formulazione: “lo scontro tra ebrei israeliani e arabi palestinesi … è uno scontro tra giusto e giusto … un conflitto tra vittime”.

Parlare di “tragedia” significa deliberatamente confondere le linee di causalità, sostituire responsabilità con lamentevole disgrazia e, presumibilmente, assegnare al movimento sionista (o anche allo stesso Oz) la parte dell’eroe tragico che, sebbene le sue azioni abbiano in realtà deleterie conseguenze per altri, è nobilitato dalla sua stessa coscienza di sé.

In effetti, come ha osservato Saree Makdisi, “non è del tutto vero che per Oz ci sono due parti più o meno ugualmente colpevoli di questo conflitto. In definitiva, i veri cattivi nella versione della storia di Oz sono i palestinesi, che avrebbero dovuto riconoscere il sionismo come un movimento di liberazione nazionale, [e] accoglierlo a braccia aperte”.

In un articolo di qualche anno fa, Oz ha affermato che “l’esistenza o la distruzione di Israele non è mai stata una questione di vita o di morte” per soggetti come Siria, Libia, Egitto o Iran. Ma poi ha aggiunto una frase esplicita: “Forse lo è stata per i palestinesi – ma per nostra fortuna sono troppo piccoli per sconfiggerci.” Il colonialismo è sempre una “questione di vita o di morte” per i colonizzati – e Oz lo sapeva.

Proteggere Israele dalle critiche all’estero

Nonostante la sua reputazione di critico delle azioni del governo israeliano, sul palcoscenico globale, Oz ha svolto un ruolo importante nel giustificare i crimini di guerra. Come fu scritto in un necrologio, durante l’invasione israeliana del Libano e il soffocamento di due intifada palestinesi, “Israele aveva bisogno di voci che parlassero al mondo offrendo un volto più umano di quello di Ariel Sharon”. Tre settimane dopo la Seconda Intifada – quando circa 90 palestinesi erano già stati uccisi – Oz usò un editoriale su The Guardian per attaccare “il popolo palestinese” come “soffocato e avvelenato da cieco odio”.

Durante il devastante attacco israeliano alla Striscia di Gaza, Oz condivise con entusiasmo gli argomenti del suo governo con i media internazionali: “cosa faresti se il tuo vicino di casa dall’altro lato della strada si sedesse sul balcone, si mettesse sulle ginocchia il suo bambino e iniziasse a sparare con la mitragliatrice nella stanza dei tuoi bambini?”

Oz ha inoltre respinto anche sforzi modesti per chiedere conto a Israele del suo operato: nel 2010, scrisse una lettera contro un tentativo di studenti ebrei e palestinesi perché l’UC Berkeley disinvestisse da due società che forniscono armi all’esercito israeliano. Oz accusò persino la risoluzione disinvestimento di antisemitismo.

Argomenti familiari

In definitiva, Oz ha tenuto per buoni e ripetuto molti degli stessi argomenti anti-palestinesi portati avanti dai successivi governi israeliani e dai nazionalisti di destra. In un poscritto del 1993 in The Land of Israel, Oz denuncia “il Movimento nazionale palestinese … come uno dei movimenti nazionali più estremisti e intransigenti del nostro tempo”, che ha causato miseria “al proprio popolo”.

FOTO – Durante il devastante assalto israeliano alla Striscia di Gaza, Oz ha condiviso con entusiasmo gli argomenti del suo governo con i media internazionali (Reuters)

 

Nello stesso poscritto, Oz respinge le rivendicazioni palestinesi secondo cui il sionismo è stato un “fenomeno coloniale” con involontaria ironia, scrivendo: “i primi sionisti che arrivarono nella terra di Israele all’inizio del secolo non avevano nulla da colonizzare lì”. Nel 2013, Oz ha dichiarato: “i kibbutznik non volevano portare via la terra di nessuno. Si stabilirono deliberatamente negli spazi vuoti del paese, nelle tante parti e terre selvagge dove non c’era affatto popolazione”.

In un editoriale del 2015, Oz ha espresso il suo orrore all’idea di una maggioranza palestinese in un unico stato democratico: “Si inizia con una questione di vita o di morte. Se non ci sono due stati, ce ne sarà uno. Se ce n’è uno, sarà arabo. Se è arabo, non si può dire la sorte dei nostri figli e dei loro”.

Molto è stato fatto del “viaggio” politico di Oz dalla sua educazione in una famiglia di sionisti revisionisti, ma il rifiuto di Oz di una soluzione a uno stato ricorda le parole del leader revisionista Vladimir Jabotinsky, quando disse che “il nome della malattia è minoranza” e “il nome della cura è maggioranza”.

 

Colonialismo di insediamento

 

Il profilo politico di Oz in Occidente è molto più che la vita e il lavoro di una persona. Riguarda anche il persistente romanticismo del kibbutz e le illusioni sulla realtà degli accordi di Oslo e il processo di pace sponsorizzato dagli Stati Uniti. Soprattutto, forse, riguarda il sostegno profondamente radicato per il colonialismo di insediamento in Palestina e la forza persistente della mitologia sionista.

Un articolo sul New York Times sulla vita di Oz affermava che Israele era “nato da un sogno, una brama” e descriveva Oz come “per molti versi la quintessenza del nuovo ebreo che il sionismo aveva sperato di creare. Da adolescente lascia Gerusalemme per conto suo … e si trasferisce in un kibbutz, una delle comunità agricole socialiste in cui gli israeliani hanno vissuto le loro più vere fantasie di coltivare se stessi e la terra per diventare solidi e vigorosi”(il corsivo è mio).

Il colonialismo di insediamento ha sempre significato l’innalzamento della soggettività del colono e la violenta cancellazione dei colonizzati. La storia del movimento sionista in Palestina non è stata diversa. La Palestina non era un luogo reale nel tempo, con la sua storia, i suoi costumi, popolo e storie, ma piuttosto uno sfondo per la realizzazione della visione di “ristabilimento” dei coloni. I palestinesi non erano persone reali, viventi, che respiravano, ma nobili selvaggi, barbari e fanatici religiosi. Come ha affermato il regista israeliano Udi Aloni, “la sinistra israeliana-ebraica … non vede i palestinesi come soggetti nella lotta, vede solo se stessa”.

In una recensione appassionata del libro di Oz del 2017 Dear Zealots, l’ex speaker della Knesset Avraham Burg ha descritto Oz “come un fanatico sostenitore” della partizione, che “calpesta ogni cosa sulla strada verso la sua soluzione [a due stati] scaduta”. Per Oz, “un singolo stato arabo è inconcepibile”; le sue “opinioni sugli arabi fanno capolino qua e là – e non sono esattamente lusinghiere”. Come ha scritto Burg: “Ci sono molte domande e questo piccolo libro di Amos Oz non offre alcuna soluzione”.

 

Ben White è autore di ‘Israeli Apartheid: A Beginner’s Guide’ e ‘Palestinians in Israel: Segregation, Discrimination and Democracy’. Scrive per Middle East Monitor e i suoi articoli sono stati pubblicati da Al Jazeera, al-Araby, Huffington Post, Electronic Intifada, Comment is Free di The Guardian e altro.

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