Questo testo mette in parole ciò che i manifestanti di Gaza hanno comunicato attraverso le loro azioni per un anno intero.
Esther Rappaport – 3 aprile 2019
Foto di copertina: la vincitrice del concorso musicale Eurovision 2018, Netta Barzilai, si esibisce a Rabin Square a Tel Aviv, il 14 maggio 2018. (Foto: Tomer Neuberg / Flash90)
L’Eurovision, ci viene detto, è un evento apolitico. Le regole della competizione, presenti sul sito web ufficiale dell’Eurovision Song Contest (ESC), recitano: “ESC è un evento non politico. Tutte le emittenti partecipanti, compresa l’emittente ospitante, devono assicurarsi che all’interno delle rispettive delegazioni e squadre siano prese tutte le misure necessarie al fine di garantire che il CES non sia in alcun caso politicizzato e / o strumentalizzato. […] Nessun testo, discorso, gesto di carattere politico sarà permesso durante l’ESC “.
Se mai esista un concorrente nel cui interesse il mantenimento del principio “non politico”della manifestazione debba essere religiosamente mantenuto , quello è proprio Israele, il padrone di casa dell’Eurovision 2019. Con l’appello palestinese per il boicottaggio culturale giunto al suo secondo decennio e una numerosa serie di eventi culturali cancellati in seguito agli appelli rivolti agli artisti, affermare l’essenza apolitica dell’Eurovisione è chiaramente la migliore scommessa di Israele per assicurarsi che il festival proceda indisturbato nonostante tutto. E gli inviti a contestare Eurovision 2019, come l’appello degli artisti alla BBC affinché facesse pressione per far spostare l’Eurovisione da Israele o la petizione irlandese, che ha raccolto oltre 11-000 firme, affinché l’Irlanda boicottasse l’evento, rendono ancora più urgente il bisogno del Paese ospitante di sottolineare la clausola “non politica”. Aggiungete a questo i sentimenti pro-Palestina espressi dai membri di Hatari, la band anti-establishment che ha promesso “di offendere la sensibilità di molte persone” mentre rappresenterà l’Islanda nella competizione, e vi sentirete quasi tenuti a simpatizzare con la squadra organizzatrice israeliana – starà riuscendo a dormire bene?
Alla luce di tutte le pressioni che gli organizzatori stanno affrontando e del loro comprensibile desiderio di assicurare che il concorso proceda senza intoppi, la scelta della canzone che rappresenterà Israele all’Eurovision di Tel Aviv è davvero sorprendente. La canzone, di Inbar Weitzman e Ohad Shargai, interpretata da Kobi Marimi, è intitolata “Home” , difficilmente un titolo apolitico in una terra con narrative nazionali in competizione, e in uno Stato che offre il privilegio del “rimpatrio” a chiunque abbia un parente di secondo grado ebreo e contemporaneamente nega il diritto al ritorno ai rifugiati palestinesi espulsi quando Israele fu fondato nel 1948.
Il 30 marzo 2019 si è celebrato il primo anniversario delle manifestazioni settimanali della Grande Marcia del Ritorno nella Striscia di Gaza assediata. Come suggerisce il nome, le dimostrazioni mirano a richiamare l’attenzione sul desiderio di molti Palestinesi di Gaza (la maggior parte dei quali sono rifugiati) di poter tornare ai loro luoghi di residenza originali – le loro case, possibilità fino ad ora loro negata.La politica di Israele dall’inizio delle proteste di marzo è stata quella di sparare,ogni venerdì,contro i manifestanti disarmati. Finora, secondo le Nazioni Unite, circa 200 manifestanti sono stati uccisi e più di 7.000 sono stati feriti da armi da fuoco.
Incidentalmente (o no), il maggior numero di vittime verificatesi in un solo giorno fu registrato il 14 maggio 2018, due giorni dopo la vittoria della cantante israeliana Netta Barzilai nell’Eurovision 2018, che coincise con il trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme . Quel giorno, almeno 58 manifestanti palestinesi disarmati (molti dei quali furono in seguito rivendicati da Hamas come suoi membri) furono uccisi da soldati israeliani da distanza ravvicinata e ben oltre un migliaio furono feriti. Sorprendentemente, nonostante l’enormità della tragedia, si scelse di procedere comunque con il piano per organizzare, in quello stesso giorno, una celebrazione pubblica di massa della vittoria dell’Eurovision di Netta Barzilai in una grande piazza di Tel Aviv, solo a breve distanza da Gaza. Alla estatica celebrazione parteciparono circa 30.000 Israeliani.
Quindi, di cosa parlano i testi della canzone scelta per rappresentare Israele nell’Eurovision di quest’anno? Ecco un estratto:
“La casa era così lontana, collezionava ferite, io mi rifiuto
Un altro tocco non sarà un altro livido
Sento il sole sulla mia pelle
E io sono qualcuno, sono qualcuno
Mi hai strappato il cuore, io l’ho ripreso
Mi ha reso qualcuno, sono qualcuno
Sono a testa alta e non cederò
Perché io sono qualcuno, sono qualcuno
E ora ho finito, vengo
Ora ho finito, vengo
Ora ho finito, sto tornando a casa. ”
Questo testo mette in parole ciò che i manifestanti di Gaza hanno comunicato attraverso le loro azioni per un anno intero. Decine di migliaia di persone sono state disposte a rischiare la propria vita per affermare la propria identità di rifugiati che desiderano tornare a casa. Mentre il loro diritto al ritorno non è stato loro concesso, la loro narrativa torna, senza ostacoli, nei testi della canzone israeliana dell’Eurovision. È riuscito a trovare la sua strada nell’immagine contemporanea di sé che Israele desidera mostrare. “Ora ho finito, sto tornando a casa.” Torna a casa sul palco dell’Eurovision di Tel Aviv.
Come possiamo spiegare un errore di tale portata da parte del team israeliano di Eurovision? Come mai nessuno se n’è accorto? La spiegazione sta nel fatto che alla maggior parte degli Israeliani non viene in mente di pensare alle azioni dei Palestinesi come azioni interpretabili e potenzialmente significative. Piuttosto, sono intese solo come azioni, insignificanti nel migliore dei casi, irritanti nel peggiore: si gettano sulla recinzione perché glie lo ha detto Hamas, o perché sono pazzi, o perché vogliono fare di tutto per infastidirli. La narrativa che stimola queste azioni, che si presume non esista affatto, non è familiare e quindi è irriconoscibile.
Nel lavoro di Sigmund Freud, il ritorno del rimosso è il processo attraverso il quale esperienze e pensieri repressi, conservati nell’inconscio, tendono a riemergere, nella coscienza o nel comportamento, sotto forma di “derivati dell’inconscio” più o meno irriconoscibili. Errori nel linguaggio o azioni sintomatiche sono entrambi esempi di tali derivati.
Il rimosso, o la dissociazione, non hanno bisogno di un permesso per poter tornare. L’inconscio ritorna perché il suo diritto al ritorno è inalienabile. Cosa dovremmo fare con questi suoi ritorni? Che tipi di armi innovative ci vorranno per ucciderli una volta per tutte?
Esther Rappaport : Dr. Esther Rappaport è una psicologa clinico che pratica in modo indipendente a Tel Aviv. Insegna e scrive su psicologia critica, teoria psicoanalitica, cultura e genere. È un’attivista anti-occupazione con la Coalition of Women for Peace (CWP) e membro del consiglio di amministrazione, nonché attivista con Psychoactive – Mental Health Professionals for Human Rights.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org