La vita e il lavoro dell’artista palestinese islamo-pop Laila Shawa

I migliori artisti sono quelli che ti fanno scoprire qualcosa di te che non conoscevi; come se qualcuno indicasse un’app che non sapevi fosse sul tuo telefono da sempre, e che in qualche modo ti rivoluziona la vita. Laila Shawa fa parte dei migliori.

English version

 

di Naima Morelli,  aprile 2019

Copertina – L’artista palestinese Laila Shawa

 

Un gruppo di donne che indossano niqab di diversi colori e tengono in mano gelati altrettanto colorati. Gli occhi chiusi come se stessero per gustare i diversi sapori. Ma naturalmente non possono, le loro bocche sono coperte da un velo. Questo dipinto è una potente affermazione non solo del discorso sulle donne in Medio Oriente, ma anche del desiderio di occidentalizzazione da parte di una parte della società mediorientale. Entrambi sono racchiusi in “Impossible Dream”, dell’artista Laila Shawa, nata a Gaza.

Non tutti gli artisti dalle vite intense ottengono un risultato con tali interessanti caratteristiche. Mentre Shawa è stata capace di sposare arte e vita in un’opera originale e unica. Tirandosi fuori da qualsiasi genere di etichetta, l’artista ha dedicato la sua carriera ad esprimere le complesse realtà della vita per i palestinesi dando voce alle donne della regione. E’ così che ha saputo creare un’arte che è politica senza essere semplice retorica; pop senza essere superficiale. Si è immersa nel discorso artistico e nell’attivismo sociale, ed è intimamente in sintonia con lo spirito dei tempi pur essendo senza tempo. Non c’è da stupirsi, quindi, se le nuove generazioni di artisti guardano verso di lei come ad un faro.

Nata a Gaza nel 1940, Laila aveva solo 8 anni quando nella sua terra natale Palestina fu fondato lo Stato di Israele. Discendente di una delle più antiche famiglie di proprietari terrieri palestinesi, proviene da una lunga stirpe di donne forti e intellettuali. Importante è stata l’influenza del padre, Rashad Al-Shawa, un attivista e sindaco di Gaza dal 1971 al 1982. L’attitudine rivoluzionaria a cui è stata esposta fin da giovane è rimasta con l’artista fino ad oggi.

La gioventù di Laila Shawa è stata cosmopolita. Frequenta il collegio e l’università al Cairo, poi vola in Italia per frequentare l’Accademia d’arte a Roma. Era lì negli anni Sessanta, quando l’atmosfera nella Città Eterna era straordinaria e molto glamour, con artist-star di Piazza del Popolo appese ai Caffè Rosati e Canova con i Rolling Stones e Simone de Beauvoir e Jean -Paul Sartre. Questo deve essere stato un contrasto sorprendente per l’artista, considerato ciò che stava accadendo nel suo paese in quel momento.

Opera d’arte dell’artista palestinese Laila Shawa che mostra niqab di diversi colori che reggono il gelato

Questo scontro di mondi molto diversi si riverbera ancora nel suo stile artistico, definito dalla critica “islamo-pop”. Il suo approccio non può fare a meno di essere postmoderno, guardando sia agli intellettuali che alle persone di media cultura, sia alle sparse influenze culturali. Tuttavia, è guidato da un forte senso di scopo che in molti artisti postmodernisti manca. È la riflessione socio-politica affrontata con una sana dose di ironia e umorismo. L’immagine di quella donna musulmana che cerca di assaggiare quei gelati è, in questo senso, emblematica.

In effetti, se c’è qualcosa che Shawa ha assorbito dalla sua esistenza nomade, è la consapevolezza che problemi complessi danno luogo a spiegazioni multiple, che spesso si escludono a vicenda. Tuttavia, considera che gli artisti hanno un punto di vista privilegiato sulla vita. Lei stessa cerca di considerare tutti i lati di ogni questione, di trovare una sorta di prospettiva espansa quando affronta temi socio-politici. Attraverso le sue opere multimediali, incoraggia gli spettatori a sviluppare empatia e ad allontanarsi da pregiudizi e stereotipi.

Un esempio di questo modo di lavorare di Laila è “Walls of Gaza III, Fashionista Terorrista” del 2010, una serigrafia che prende forma dalle sue fotografie. L’immagine mostra una persona che indossa una keffiya e un maglione decorato con una scritta New York in cristalli Swarovski. L’immagine mostra come la keffiya, un simbolo di resistenza in Palestina, sia oggi considerata una affermazione alla moda da parte delle persone in Occidente. Giocando con il kitsch, il divertimento e l’ironia, l’artista mostra come le immagini siano continuamente strumentalizzate, interpretate e ricontestualizzate nei media. Il lavoro commenta anche l’immaginario popolare su uomini o donne palestinesi e il modo in cui le persone vengono classificate secondo dove si trovano.

È la combinazione dello stile Pop-Art con un contenuto altamente politico che rende il suo lavoro artistico affascinante e scioccante allo stesso tempo. Un altro lavoro in cui questo emerge chiaramente è “L’altro lato del paradiso”, con manichini senza testa, senza braccia e senza piedi, dipinti in colori vivaci e adornati con pietre preziose. Uno sguardo più attento rivela catene e cinture di munizioni e dinamite sui torsi. Vediamo in che consiste l’altro lato del paradiso a Gaza.

Conosciamo il ruolo svolto dai graffiti durante il blackout mediatico attuato da Israele durante la prima intifada palestinese (Uprising del 1987-1993). Essendo in perfetta sintonia con tutte le diverse espressioni del tempo, Shawa creò uno dei suoi lavori più sorprendenti ispirato proprio ai graffiti. In “Trapped I-III”, ad esempio, le parole in arabo nascondono una donna che urla nello sfondo. I messaggi sono passati dalla comunicazione personale agli slogan politici e alle richieste di sciopero. La serie “Trapped” esprime la necessità di comunicazione umana, mentre coglie un momento cruciale nella storia palestinese.

Rappresentando l’unione di etica ed estetica, l’artista non solo è stata presente nel corso degli anni nelle maggiori fiere d’arte e esposta dalle maggiori gallerie, ma è stata anche costantemente impegnata sul campo. Ciò l’ha portata dalla sua prima supervisione dell’educazione artistica e artigianale nei campi profughi per l’UN Relief and Works Agency (UNRWA) a quello che considera il suo più grande progetto, il Rashad Shawa Cultural Center. Un centro polivalente per l’arte e la cultura che prende il nome da suo padre, che ha iniziato a costruire dopo essersi trasferita a Gaza dopo un periodo vissuto a Beirut. Purtroppo, nel corso degli anni il centro è stato confiscato da Arafat e bombardato dagli israeliani; oggi è controllato da Hamas. Tuttavia, l’artista non ha perso la speranza che un giorno possa essere di nuovo attivo.

 

Questa speranza, questo impegno a lungo termine per l’arte, la cultura e l’impegno politico non può che venire da una fiducia nel potere di trasformazione, o nell’arte e nella cultura. In ogni opera di Laila Shawa, possiamo vedere chiaramente questa forte fede nella capacità dell’umanità di riflettere su se stessa e, una volta pronta, di correggere il suo corso.

I migliori artisti sono quelli che ti fanno scoprire qualcosa di te che non conoscevi; come se qualcuno indicasse un’app che non sapevi fosse sul tuo telefono da sempre, e che in qualche modo ti rivoluziona la vita. Laila Shawa fa parte dei migliori.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Protected by WP Anti Spam