L’impegno e lo sforzo profuso dalle donne palestinesi in questo duro esilio, unitamente al lavoro degli uomini con cui vivono, sono riusciti a sostenere e promuovere sia l’uguaglianza delle donne e delle ragazze, sia l’anelito del diritto al ritorno del popolo palestinese.
Koldo Salazar López – 22 Aprile 2019
Foto di copertina: Houria Alfar (Koldo Salazar López)
Il popolo palestinese in Libano vive un secondo apartheid, il primo dei quali è quello nei Territori Occupati.Tuttavia, la sofferenza da loro patita nel Paese dei cedri è piuttosto pesante. Alla dura vita in esilio si aggiunge il divieto di lavorare fuori dai campi o di avere proprietà in territorio libanese.
A fronteggiare questa situazione disperata ci sono le donne palestinesi, figlie degli esuli, che si sono unite e lottano ogni giorno per conquistarsi un posto nella società dei campi profughi e per migliorare la situazione della loro gente. Maltrattato dentro e fuori i suoi confini, questo popolo resiste alle ingiustizie storiche che lo bloccano nell’attuale situazione. In Libano, senza andare troppo lontano, a sole poche ore dalle capitali europee, è in atto un’ingiustizia.
Palestinos, los olvidados del Líbano, documental completo.
Sono bloccati da decenni in campi profughi sparsi per il Paese, hanno subito massacri, guerre civili, attacchi israeliani e dozzine di altre tragedie. Questo popolo vive ignorato e isolato. Per esempio, nei campi di Ain el Hilwe (Sidone) o ad Al Rasidiyeh ( Tiro) gli ingressi sono sorvegliati da militari libanesi che controllano tutto e tutti. Nessuno straniero può accedere a questi campi senza l’accreditamento da parte del governo e dei militari.
Ma in questo dramma sociale la figura delle donne si staglia con forza, ben lontana dagli stereotipi sulla sottomissione femminile che in Occidente vengono ripetuti all’infinito. La realtà è molto diversa: sono donne forti, determinate, che con grande sforzo hanno conquistato spazi in campo educativo, sanitario, commerciale, culturale e diplomatico. Nel mio giro nei campi profughi del Libano centrale e meridionale ho conosciuto molte di queste donne che con il loro impegno quotidiano, affrontano il sionismo che le ha espulse dalla loro terra e relegate all’oblio cui sono sottoposte in Libano.
Questo viaggio mi ha portato innanzitutto nel campo profughi di Ain el Hilwe, a Sidone. Questo campo è la capitale della diaspora palestinese e uno dei luoghi più pericolosi del Paese. Dopo diverse ore di pratiche burocratiche nella caserma della città, posso finalmente entrare nel campo passando attraverso un checkpoint che nulla ha da invidiare a quelli israeliani nella Palestina occupata.
Fa caldo e il posto è pericoloso ma non ho paura. Sono accompagnato da Fayiz Bibi, un medico e uno dei dirigenti dell’ospedale Al-Hamshari che, essendosi laureato a Cuba, sarà il mio traduttore.
In questo viaggio incontrerò Huda Suleiman, direttrice della scuola “Huda Shaalan” e, allo stesso tempo, importante dirigente dell’Unione delle Donne Palestinesi; Im Ayman, amministratrice dell’ospedale “Al-Nidaa” e Fatima Al Issa e Sali al Hassan, due giovani membri del gruppo culturale di ballo “Al Kufiyeh” diretto da Houria Al Alfar.
Huda Suleiman lavora da diciotto anni presso il centro scolastico “Huda Shaalan” di Ain el Hilwe. Il centro è un edificio che al primo piano ospita un programma di supporto educativo per gli studenti UNRWA, al secondo un circolo per bambini e al terzo un’area di supporto psicologico per bambini che ne hanno bisogno e che subiscono abusi o maltrattamenti. Questa parte del centro ospita anche dei logopedisti che aiutano gli studenti con difficoltà di apprendimento o minori che hanno problemi di udito. Vi è inoltre un programma che cerca di responsabilizzare i giovani sulle conseguenze dell’uso di droghe, fenomeno questo che colpisce duramente la gioventù palestinese, così come si svolgono conferenze per bambini e follow-up e monitoraggi della violenza contro le donne, che si cerca di combattere con sessioni di sostegno.
I bambini, nonostante la loro giovane età, sono influenzati della realtà in cui vivono: il loro Paese occupato e il loro esilio in Libano in condizioni molte dure. La situazione è così difficile che alcuni sviluppano anemia a causa di una cattiva alimentazione. Altri hanno conseguenze psicologiche per avere i loro genitori in prigione o per essere rimasti orfani, tuttavia l’Unione delle Donne Palestinesi monitora questi casi uno per uno.
In questo centro però non ci sono solo i bambini palestinesi del Libano, ma anche i bambini palestinesi provenienti dalla Siria o i bambini siriani in fuga dalla guerra, così come bambini libanesi appartenenti a famiglie povere che frequentano il Centro perché è l’unico modo in cui possono accedere all’istruzione, che qui è totalmente gratuita e senza alcuna discriminazione.
Huda difende il suo programma educativo come una parte importante del processo di integrazione delle donne nella società palestinese in esilio. Ci sono molte donne laureate che non trovano lavoro nella società libanese e necessitano aiuto per essere integrate nel mercato del lavoro. Dando loro questo supporto riescono a emanciparsi socialmente.
Il viaggio continua fino all’ospedale “Al-Nidaa”, appartenente alla Human Call Association. Qui incontro Im Ayman, amministratrice del Centro. Questo è l’unico ospedale del campo, che conta circa 120.000 abitanti tra Palestinesi e Siriani. Al-Nidaa offre visite, cure primarie, secondarie e terziarie quando vi sono interventi complicati. L’ospedale dipende dai contributi delle persone curate, ma nonostante le tariffe siano simboliche, Im Ayman sottolinea che ad Ain el Hilwe molte persone sono molto povere e non possono pagare, ma nonostante ciò tutti sono trattati nello stesso modo.
La più grande sfida che devono affrontare è quella del finanziamento dell’ospedale, poiché dipendono dall’aiuto di diverse organizzazioni internazionali attraverso progetti medici che svolgono e che li aiutano a poter continuare il lavoro ospedaliero.
Un’altra sfida è la sicurezza, dal momento che gli scontri armati tra gli islamisti e le forze dell’OLP per il controllo del campo sono periodici, ma si sono raggiunti accordi con le parti in modo che l’ospedale non sia un obiettivo militare, così come gli operatori sanitari non siano attaccati quando devono spostarsi per raccogliere dei feriti o per recarsi in qualche abitazione.
All’uscita del centro medico, la tappa successiva è incontrare i bambini che fanno parte del gruppo ”El Kufiyeh”, fondato nel 1994 e gestito da Houria Alfar. Houria al momento non c’è e ad accompagnarci sono Fatima El Issa e Sali Al Hassan, due giovanissime ballerine di questo gruppo composto da ragazzi e ragazze di diverse età.
Mostrano con orgoglio i trofei che hanno vinto e spiegano di aver partecipato a eventi in Medio Oriente, Europa e America Latina, facendo conoscere la cultura tradizionale della Palestina. L’obiettivo di questo progetto è infatti quello di salvaguardare la cultura palestinese tramandandola da una generazione all’altra.
Grazie a questo gruppo i bambini nati ad Ain el Hilwe conoscono i costumi e le tradizioni del loro Paese.
Fatima, che ha studiato matematica all’università, afferma: “Tutti i bambini del mondo hanno un Paese in cui vivere, il nostro Paese vive dentro di noi” e quando le chiedo come si sente nel vedere che Israele si appropria della loro cultura, risponde senza mezzi termini, con uno sguardo fiero dei suoi occhi scuri e profondi: “la terra è nostra e la patria è nostra”.
Qualche giorno dopo, finalmente, posso incontrare Houria Alfar, fondatrice e direttrice di questo gruppo culturale. È una donna davvero forte e determinata, che trasmette un’energia straordinaria. Spiega che il gruppo, oltre a permettere ai bambini di conoscere le loro tradizioni, li tiene lontano dai problemi del campo, come la violenza o la droga, oltre ad incoraggiarli a studiare e a formarsi. Inoltre li disciplina e li aiuta a rafforzare la loro autostima e la fiducia in sé stessi. A volte questi bambini si esibiscono davanti a centinaia o migliaia di persone, il che è positivo per loro.
Sottolinea inoltre che nel campo le donne hanno più potere degli uomini, poiché sono loro che portano avanti tutto nella società, specialmente nelle relazioni sociali e familiari. L’esempio è che lei stessa svolge un lavoro che ha a che fare con la conservazione culturale della società, il tutto con il sostegno dell’Unione delle Donne Palestinesi.
Il giorno dopo mi sposto a sud, precisamente nella storica città di Tiro, vicino al confine con Israele. C’è il campo profughi di Al Rasidiyeh, e un altro checkpoint. Aspetto all’ospedale di Balsam, appartenente alla Mezzaluna Rossa palestinese, la dottoressa Alia Zeydan Elmasri, ventisette anni, medico generico, che lavora in questo campo da un anno e mezzo.
Spiega che l’ospedale tratta tra le venti e quaranta persone al giorno, ma il numero è in aumento a causa dell’incremento delle dimensioni del campo profughi di Al Rasidiyeh, che negli ultimi cinque anni è cresciuto molto. Ora, in questo clima freddo e piovoso, cura soprattutto malattie stagionali come la bronchite o la broncopolmonite. Fa notare come i rifugiati siriani in fuga dalla guerra sono in condizioni sanitarie peggiori rispetto ai Palestinesi a causa delle cattive condizioni di vita e di alimentazione. Molti arrivano con anemia, bassi livelli di emoglobina e infezioni.
Sottolinea che molti farmaci che utilizzano provengono dall’UNRWA e possono essere ottenuti gratuitamente, mentre altri hanno sconti che li rendono accessibili a tutti i rifugiati, sia Palestinesi che Palestinesi siriani, Siriani o Libanesi poveri.
Durante l’intervista si avvicina Aya, una bambina di otto anni che frequenta la terza elementare nella scuola UNRWA e che vuole diventare insegnante. C’è speranza con bambine del genere! Sorride quando gli chiedo se vuole tornare in Palestina.
Una volta a Beirut visito il campo profughi di Burj el-Barajneh e i famosi campi di Sabra e Shatila. A Shatila sono invitato a un evento del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina che sarà il giorno successivo. Lì, tra la folla, ci sono centinaia di donne che ascoltano i diversi interventi che si dipanano per diverse ore. Rivendicano il loro.
All’evento arriva Nabila Mounib e pronuncia un discorso molto forte, ma non è Palestinese, è Marocchina, segretaria generale del Partito Socialista Unito del Marocco. Nella politica palestinese, tutte le donne, comprese le straniere , sono le benvenute. Un’altra donna di spicco è Leila Refaat, un’attivista femminista palestinese.
A Shatila entro in un vecchio negozio gestito da una donna molto timida che a malapena mi racconta la sua situazione. La sua azienda non sta andando bene, ogni giorno vende merce per un valore tra le 5.000 e le 10.000 lire libanesi (da 3 a 6 dollari), ma rende ben chiaro come qui a Shatila le donne combattono con la stessa determinazione degli uomini per guadagnare il pane quotidiano in un luogo dove non c’è luce e acqua.
L’ultimo giorno, mentre all’ambasciata palestinese a Beirut aspetto di incontrarmi con Dabbour Ashraf, l’ambasciatore, vengo accolto da Lakki Hiba Hassan Omar, segretaria dell’ambasciata. E’ una ragazza che parla perfettamente inglese e svolge un ruolo di vitale importanza qui in ambasciata.
A causa della sua giovane età non ha ancora fatto carriera, ma certamente diventerà ambasciatrice per il suo Paese, come è accaduto a Marwan Burini, segretaria dell’ambasciata palestinese a Madrid, promossa ambasciatrice a El Salvador. Il futuro di Hiba sarà lo stesso.
Hiba cita molti esempi di donne importanti nella diplomazia palestinese: Hanan Ashrawi (legislatore, negoziatrice, attivista e accademica), Haifa Nasereddine (ministra palestinese della tecnologia) e Kholoud Dairbes (ambasciatrice palestinese in Germania).
Sottolinea che il lavoro di empowerment delle donne palestinesi nei campi profughi libanesi viene svolto attraverso il supporto psicologico ed educativo, con la creazione di piccole e medie imprese in cui le donne raggiungono la loro indipendenza economica, con il sostegno alle donne abusate o con speciali necessità.
L’impegno e lo sforzo profuso dalle donne palestinesi in questo duro esilio, unitamente al lavoro degli uomini con cui vivono, sono riusciti a sostenere e promuovere sia l’uguaglianza delle donne e delle ragazze, sia l’anelito del diritto al ritorno del popolo palestinese.
E’ proibito l’uso delle foto senza il consenso scritto dell’autore Koldo Salazar López
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org.