Quel migliaio di volontari arabi che combatterono contro Franco nel ’36.

La regista egiziana Amal Ramsis  racconta una storia inedita conosciuta solo da pochi . Il documentario “Tu vieni da lontano”, parla di migliaia di Arabi che tra il 1936 e il 1937 calcarono il suolo repubblicano per aderire alle Brigate Internazionali. E come sfondo, racconta la storia dell’unico brigatista palestinese in Spagna, oltre che giornalista, Najati Sidqi.

Versión española

Marìa Serrano – 19 maggio 2019

Immagine di copertina: Najati Sidiq in un ‘immagine di archivio.

“L’idea del film è nata dopo aver letto sulla rivista Nación Árabe un articolo scritto da Salvador Bufaroll sugli Arabi che combatterono nella guerra civile contro Franco e le truppe fasciste”. Era l’anno 2003. Fino a quel momento, non si sapeva quasi nulla di  una partecipazione araba alla lotta repubblicana contro il fascismo.

In quei giorni di ricerche convulse, Amal Ramsis ricevette un indizio sulla storia dei brigatisti arabi in Spagna da un fotogramma del film “Sierra de Teruel” di André Malraux. Prima di allora nessuno sapeva di quei brigatisti, né dell’esperienza di questi soldati venuti da molto lontano, come dice il titolo del documentario. Per combattere il fascismo, quei soldati sarebbero arrivati ​​ dall’Algeria, dalla Siria, dal Libano, dall’Iraq, dall’Egitto e dal Marocco.

Ramsis dice a Public che”In Spagna arrivarono un migliaio di volontari, alcuni si unirono alle Brigate Internazionali, altri appartenevano al movimento anarchico e un terzo gruppo al POUM”. Anche l’itinerario di arrivo fu diverso. Ad esempio, “circa 500 volontari anarchici algerini arrivarono ​​in barca dal porto di Orano, altri vennero individualmente,  per lo più provenienti dalla Francia, con passaporti falsi”, come è il caso del brigatista  palestinese Najati Sidqui, che iniziò a usare come pseudonimo il nome  Moustafa Ben Jala.

 “Sono un volontario arabo, sono venuto a difendere la libertà”.

Per  i brigatisti arabi , la lotta per la rivoluzione in Spagna e la sconfitta del fascismo significava “non solo la liberazione dei loro Paesi dal colonialismo, ma anche l’avvicinamento al raggiungimento di una società più giusta a livello sociale”. Amal racconta come tutte le notizie di soldati arabi in Spagna ruotino attorno alla partecipazione della “Guardia Mora” marocchina all’esercito di Franco. Questi soldati, arruolati nelle colonie, “furono portati in prima linea per morire”. Dopo aver visto quel primo fotogramma, Amal trovò le memorie del brigatista palestinese Najati Sidqi, arrivato in Spagna durante la guerra civile nell’agosto del 1936 come giornalista, in solidarietà con l’esercito repubblicano e per combattere al fronte. “Quando  lessi il suo libro, sentii di aver finalmente trovato la storia che stavo cercando, ma negli ultimi anni ho scoperto anche la storia della famiglia di Najati Sidqi e soprattutto la storia di sua figlia Dulia, arrivando a poter raccontare molto di più di quanto mi aspettassi.” E aggiunge, sottolineandolo, che  : “La storia palestinese ci dice che il sionismo è la continuazione del progetto fascista in Europa negli anni Trenta”.

 Najati Sidqi arrivò a Barcellona per raccontare la rivoluzione nell’estate del 1936.

Najati Sidqi  arrivò a Barcellona per raccontare la rivoluzione nell’estate del 1936. Non fu la fine del viaggio, ma l’inizio di uno molto più lungo che, alla fine dei suoi giorni, l’avrebbe poi riportato nuovamente in patria, in Palestina. Di quei suoi giorni nella rivoluzionaria Barcellona ​​scriveva, con appunti conservati in un taccuino: “Sono un volontario arabo e sono venuto a difendere Damasco a Guadalajara,  Gerusalemme a Cordoba, Baghdad a Toledo, Il Cairo a Cadice e Tetuan a Burgos”.

Della città “La magnifica Barcellona”, scrive in modo dettagliato. “Una città civilizzata”. Di quei giorni racconta: “Stavo vagando per le strade, quando mi sono imbattuto  in un gruppo di miliziani. Un comandante repubblicano è venuto da me e pensando che fossi spagnolo mi ha chiesto: ” Perché non ti unisci alle  fila delle milizie?” Ho sorriso e ho risposto in francese. “Sono un volontario arabo. Sono venuto per difendere la libertà sul fronte di Madrid. ”

Cinque mesi combattendo il fascismo in Spagna.

Sidqi arrivò  a Madrid il giorno in cui le truppe di Franco, a fianco dei Marocchini oppressi, avanzavano dall’estremità est della Spagna verso il Nord, attraverso il Guadalquivir e il sud-est, e attraverso Badajoz. “Sono venuto a Madrid  mentre la guerra infuria su tutti i fronti. Due giorni dopo il mio arrivo, sono stato trasferito in Via Serrano, nell’ufficio dove ho scritto i manifesti per i soldati marocchini e gli articoli per alcune riviste spagnole pubblicate a Madrid. Ho scritto anche alcuni articoli per le riviste arabe. ”

Sotto lo pseudonimo di Moustafa ben Jala, scrisse per il giornale “Mundo Obrero”, esortando i Marocchini a lasciare l’esercito fascista. Tuttavia, la maggior parte della sua attività si concentrava sulle trasmissioni radiofoniche, scrivendo opuscoli in arabo che venivano distribuiti tra i soldati del Nord Africa per promuovere la loro diserzione. I messaggi venivano letti  avvicinandosi alle trincee, in modo che i soldati potessero sentirli attraverso un megafono. La missione di Sidqi  tuttavia suscitò forti divergenze con i suoi compagni comunisti. Sidqi lasciò la Spagna verso la fine del 36. Per il resto della sua vita continuò a lavorare come giornalista, traduttore e critico letterario, morendo ad Atene nel 1979.

La vicinanza tra città bombardate.

La regista Amal Ramsis  fa una pausa a metà del documentario per parlare delle somiglianze e dei ricorsi presenti  negli ultimi conflitti armati degli ultimi ottanta anni. Nel film narra la vicinanza tra tutte le città che vengono bombardate. “Se pur in bianco e nero, sono gli stessi suoni e gli  stessi colori.  La foto di Madrid potrebbe essere questa foto di Baghdad nel 2003. Madrid fu abbandonata al suo destino nel 1936. Ma Madrid divenne un mito  grazie alla resistenza dei Repubblicani, diventata un’autentica leggenda”.

Il documentario non parla solo della storia personale di Najati Sidiq. “Mi sono avvicinata alla storia di una famiglia palestinese, e in quella narrazione possiamo vedere la relazione dialettica tra quella storia e le vite delle persone, come entrambe si influenzano a vicenda e come la volontà umana e  le nostre convinzioni entrano in gioco come fattori di quella storia”.

 Dulia ha vissuto la durezza della guerra e la malinconia del vivere durante tutti i suoi 26 anni di esilio.

Amal  è andata ad Atene, dove il brigatista Sidqui morì nel 1979, per incontrare sua figlia Hind Sidqui. “Ho mantenuto uno stretto rapporto con tutta la famiglia, tramite e-mail, telefonate e alcune visite”. Amal voleva ricostruire l’immagine di quella guerra e il dramma di quella famiglia “attraverso frammenti di Paesi, lingue, emozioni e segreti”. Nessuno aveva il quadro completo e la storia completa. Il lavoro della regista si è concentrato sul “ricostruire l’intera storia dall’inizio, non solo come storia familiare individuale, ma nel suo rapporto con eventi politici e storici”.

L’altra figlia di Najati, Dulia ha vissuto la durezza della guerra e la malinconia del vivere durante tutti i suoi 26 anni di esilio. Il documentario ruota intorno alla sua figura e di come Najati  impiegò decenni per riuscire a rivederla. “Ho vissuto e ho imparato ad essere felice nel collegio russo”. Dulia trascorse solo un breve periodo della sua infanzia con sua madre. Tra il 1936 e il 1939 vissero nell’hotel Luxe di Mosca. “Più tardi, sua madre tornò in Palestina e fino all’età di 26 anni non la vide più.”

Dulia Sidiq in uno dei momenti del documentario

Dei suoi giorni in Spagna, Nayati  ricorda l’edificio del Telefono e l’Hotel Colón. Quell’eredità e tutti i suoi ricordi  li  ha trasmessi anche ai suoi figli, attraverso le sue memorie. In esse racconta come “i miliziani socialisti e comunisti venivano registrati all’angolo di Plaça de Catalunya.   Qui venivano registrati i brigatisti internazionali e si sentivano parlare tutte le lingue del mondo”.

Per il documentario “Venís de Lejos” ,  Amal ha ricevuto il premio Tanit de Plata al Festival di Cartagine, in Tunisia, nel 2018. La sensibilità degli eventi che racconta lascia un forte segno nello spettatore, così come lancia un chiaro messaggio sulla grande mancanza di memoria storica, non solo in Europa, ma anche nel mondo arabo. “Non sto parlando dell’ignoranza dei fatti, ma della mancanza di uno sguardo analitico sulla storia, una visione che cerchi di costruire una nostra comune memoria come popolo, non importa se del Nord o del Sud.”

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù”  – Invictapalestina.org

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