In che modo il “razzismo culturale” aiuta gli israeliani a razionalizzare la disuguaglianza e la discriminazione.

Il “razzismo culturale” incolpa le minoranze per la loro disuguaglianza, suggerendo che la loro bassa posizione sociale è dovuta alla mancanza di sforzi o al mancato adattamento a uno stile di vita occidentale. Ma il vero colpevole è il razzismo attivo e istituzionale.

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Rachel Shenhav-Goldberg – 29 luglio 2019

Immagine di copertina: la polizia circonda una donna israeliana etiope durante una protesta per  l’uccisione da parte della polizia di un giovane uomo nero pochi giorni prima, Gerusalemme, 15 luglio 2019. (Yonatan Sindel / Flash90)

Sono trascorsi 35 anni da quando gli etiopi sono emigrati in Israele, dopo aver lasciato le loro forti e affiatate comunità di diaspora dove  avevano mantenuto viva la tradizione ebraica. Eppure, quasi quattro decenni dopo, questa comunità sta ancora lottando per l’uguaglianza in un Paese in cui molti non sono riusciti a guardare oltre il colore della pelle e all’abbigliamento tradizionale.

Prima di immigrare in Israele, la parte più consistente della comunità ebraica dell’Etiopia viveva  in villaggi agricoli tradizionali e, fino al 1980, solo circa 250 ebrei avevano lasciato l’Etiopia per Israele. La maggior parte degli ebrei etiopi arrivò nel paese negli anni ’80, dopo un lungo e pericoloso viaggio a piedi in Sudan, durante il quale subirono molte perdite. Dopo essere stati  sistemati in campi profughi in attesa  del permesso per entrare in Israele, furono segretamente trasportati nel paese dall’aeronautica israeliana e dal Mossad.

Eppure, nonostante la politica profondamente radicata di incoraggiare l’immigrazione di ebrei da tutto il mondo, il trattamento dei nuovi immigrati etiopi da parte di Israele ha disilluso molti.

Nella mia ricerca, ho analizzato quel processo di integrazione. Prima dell’arrivo della comunità ebraica etiope, i funzionari israeliani elaborarono piani attentamente studiati per integrarli nella società israeliana. La loro intenzione era di evitare gli errori avvenuti  decenni prima con l’arrivo degli ebrei Mizrahi. Purtroppo, ancora una volta, nonostante le buone intenzioni, il razzismo ha  influenzato sia il processo che le conseguenze.

Nel suo libro “Burocrazia e immigrati etiopi”, la professoressa Esther Hertzog ha descritto come dal suo arrivo in Israele le istituzioni israeliane abbiano percepito la comunità ebraica etiope come un gruppo  che  nel processo di integrazione necessitava di una speciale assistenza. Queste istituzioni consideravano gli ebrei etiopi particolarmente problematici,  e destinatari di un trattamento speciale prima di poter muovere i primi passi in Israele. Inoltre, le autorità  scoprirono che ai nuovi immigrati, come genitori, mancavano le competenze di base, il che significa che la maggior parte dei loro figli  fu mandata in collegio senza che i genitori avessero voce in capitolo.

Tali pratiche furono giustificate sulla base di ciò che gli studiosi chiamano “razzismo culturale”, il che presuppone che la cultura, al contrario della biologia, sostenga spiegazioni “razionali” della disuguaglianza. Questo tipo di razzismo incolpa le minoranze per la loro disuguaglianza, suggerendo che la loro bassa posizione sociale è dovuta alla mancanza di sforzi  da parte loro o al fallimento nell’adattarsi allo stile di vita occidentale.

Il razzismo culturale è stato rapidamente istituzionalizzato in Israele.

Eduardo Bonilla-Silva, ricercatore di spicco ed ex presidente dell’American Sociological Association, ha scritto che il razzismo istituzionale – che perpetua la supremazia del gruppo di maggioranza sul gruppo di minoranza – è facilmente identificabile semplicemente osservando la struttura sociale di una determinata società. I dati rivelano ciò che può essere inteso come razzismo attivo da parte delle istituzioni israeliane contro gli ebrei etiopi.

Nel solo sistema di giustizia penale, gli israeliani etiopi hanno molte più probabilità di essere incriminati o imprigionati rispetto alla popolazione generale. Gli israeliani etiopi comprendono solo il 2 percento dei cittadini israeliani, ma nel 2018 ben il 18 percento di tutti i minori imprigionati nel paese erano di origine etiopica ed avevano tre volte più probabilità di trovarsi sotto accusa. Nel 2016, gli adulti israeliani etiopi avevano quasi il doppio delle probabilità di essere incriminati rispetto alla popolazione generale. Sono anche il gruppo più povero in Israele,  occupando il gradino più basso della scala del reddito.

Inoltre, la Commissione Israeliana per le Pari Opportunità Lavorative, il Central Bureau of Statistics e l’Università di Tel Aviv hanno recentemente pubblicato uno studio che evidenzia un sorprendente modello di segregazione etnica nel mercato del lavoro. Gli israeliani etiopi con titoli accademici sono quasi completamente assenti in settori come l’editoria,  la radio e la televisione, l’architettura, l’ingegneria e l’industria automobilistica.

D’altra parte, in quasi la metà dei settori in cui sono impiegati israeliani etiopi con titoli accademici, questi sono ampiamente sovrarappresentati. Sono principalmente i settori dei servizi, delle vendite e dei prodotti alimentari, dove i salari sono in genere molto bassi e, anche allora, il loro stipendio non supera il 75% dello stipendio di altri ebrei con un titolo accademico.

Questi risultati mostrano che anche avere un titolo accademico non aiuta a integrare gli etiopi in termini di inserimento lavorativo o di reddito. La spiegazione maggiormente probabile di questa disparità è la discriminazione razziale nelle pratiche di assunzione.

Gli studiosi sostengono che, al fine  ottenere un cambiamento sociale, le minoranze dovrebbero difendersi e lottare per i loro diritti. Ma è più probabile che si verifichino cambiamenti sociali se la maggioranza  diventa consapevole del razzismo e della discriminazione a cui è sottoposta la minoranza. Ciò significa che i veterani israeliani dovrebbero aprire gli occhi e le orecchie per capire come vengono mantenute le relazioni di potere nella loro società sulla base della razza.

Nutriamo tutti vari gradi di atteggiamenti razzisti nei confronti di diversi gruppi. La differenza sta nella consapevolezza di questi atteggiamenti e nel modo in cui li esprimiamo o li giustifichiamo. Una volta che siamo diventati consapevoli, dobbiamo chiederci: siamo disposti a cedere alcuni dei nostri privilegi al fine di stabilire una società morale ed equa?

 

Rachel Shenhav-Goldberg è un israeliana che vive nel Nord America. Ha un dottorato di ricerca in lavoro sociale presso l’Università di Tel Aviv e un post-dottorato presso l’Università di Toronto. La sua ricerca si concentra sull’antirazzismo in Israele e sull’antisemitismo in Nord America. È anche facilitatrice di gruppo, ed è volontaria nel New Israel Fund in Canada.

Trad Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” -Invictapalestina.org

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