Il primo ministro israeliano continua a fornire sostegno incondizionato al presidente brasiliano, ampiamente criticato per la sua gestione degli incendi in Amazzonia. Copertina – Netanyahu a Brasilia per l’investitura del presidente Bolsonaro il 1° gennaio 2019
di Jean-Pierre Filiu, 1 settembre 2019
Il presidente Jair Bolsonaro deve sentirsi molto solo da quando enormi incendi devastano l’Amazzonia e suscitano un’ondata di indignazione internazionale. È stato denunciato per le sue “bugie” in pieno G7 da Emmanuel Macron, il 23 agosto, e la sua gestione irresponsabile – per non dire complice – della crisi, è stata criticata da molti leader occidentali. Perfino Donald Trump non ha potuto nascondere la sua preoccupazione davanti all’entità di una tale catastrofe ecologica. Ma Bolsonaro può consolarsi grazie all’incrollabile sostegno che Benjamin Netanyahu continua a offrirgli: il Primo Ministro israeliano ha “accolto con favore gli sforzi del Brasile per combattere gli incendi in Amazzonia”, il 25 agosto, offrendo in questa occasione l’aiuto di Israele, immediatamente accettato da Brasilia. Bolsonaro, al contrario, il giorno successivo ha rifiutato il sostanziale aiuto che gli era stato proposto dal G7, esigendo in anticipo il “ritiro degli insulti” (sic) del suo omologo francese.
UNA POTENTE LOBBY EVANGELICA
Netanyahu era già stato uno dei rari leader stranieri ad assistere all’investitura del presidente Bolsonaro a Brasilia il 1° gennaio. Vi aveva trovato Viktor Orban, il Primo Ministro ungherese, alleato di lunga data di Netanyahu contro i cosiddetti “diktat” dell’Unione europea, nonché contro il filantropo americano George Soros. Il presidente Trump, tanto atteso da Bolsonaro, che si presenta come il suo migliore discepolo nel continente americano, aveva scelto di essere rappresentato dal suo segretario di Stato Mike Pompeo. Netanyahu era rimasto cinque lunghi giorni in Brasile per la prima visita ufficiale di un capo del governo israeliano nel paese. La famiglia Bolsonaro, i cui figli sono felici di presentarsi con magliette del Mossad e dell’esercito israeliano, aveva organizzato per lui, a Rio come a Brasilia, un vero tour da “pop star”.
Netanyahu aveva poi tenuto a incontrarsi con personalità della potente corrente evangelica in Brasile, base della vittoria di Bolsonaro: “Non abbiamo migliore amico al mondo della comunità evangelica e la comunità evangelica non ha migliore amico al mondo di Israele”. Questa professione di fede aveva coronato il cambiamento strategico di Netanyahu, preferendo scommettere negli Stati Uniti, in Brasile e altrove, sull’ondata fondamentalista dell’evangelismo piuttosto che su una diaspora ebraica che è ai suoi occhi allo stesso tempo troppo critica e troppo divisa. In questo spirito, il Primo Ministro israeliano aveva spazzato via le preoccupazioni dei suoi correligionari brasiliani di fronte alla spinta storica dell’estrema destra.
UN SOSTEGNO RIPAGATO
Bolsonaro non ha fatto attendere la restituzione del favore a Netanyahu effettuando, a partire dal 31 marzo scorso, una “visita di Stato” in Israele. Questo viaggio ufficiale aveva tutta l’apparenza di un sostegno elettorale al Primo Ministro israeliano, poco prima delle elezioni legislative del 9 aprile. Netanyahu, dopo aver esaurito le figure retoriche su “l’amicizia” e poi “l’alleanza” tra Israele e Brasile, ha allora celebrato la “nuova fratellanza” tra i due paesi. Bolsonaro da parte sua ha affermato “senza alcun dubbio” la filiazione “di sinistra” del nazismo, facendo eco a ripetute manovre da parte del suo ospite per riscrivere la storia dell’Olocausto. Il presidente brasiliano, tuttavia, non ha mantenuto la promessa elettorale di spostare l’ambasciata del suo paese in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, a immagine del precedente di Trump nel maggio 2018. È vero che un tale impegno, guidato dalla corrente evangelica, è combattuto da un altro cruciale sostegno di Bolsonaro, i pezzi grossi dell’industria agro-alimentare (il Brasile, primo esportatore mondiale di carne halal, sarebbe particolarmente vulnerabile a eventuali ritorsioni arabe).
Nonostante questa relativa delusione, Netanyahu, durante la crisi degli incendi in Amazzonia, ha scelto di mostrare la sua solidarietà all’alleato Bolsonaro. Il presidente brasiliano rimane coerente con la sua dichiarazione dello scorso gennaio, a Rio a fianco di Netanyahu, quando aveva sostenuto un riavvicinamento strategico con Israele “e altri paesi, come gli Stati Uniti, con un’ideologia vicina alla nostra”. Tra i due leader, non si trattava più un’unione di circostanza, ma di un’alleanza radicata su di un’ideologia condivisa. Le recenti bordate anti-francesi del capo dello Stato brasiliano hanno rivelato una delle parti più oscure di questa ideologia. Quanto a Netanyahu, impegnato in una nuova campagna elettorale a causa della sua decisione di sciogliere la Knesset eletta ad aprile, riserva per il momento le sue bordate ai suoi avversari israeliani.
Le elezioni del prossimo 17 settembre in Israele, al di là delle complesse questioni per il Paese e il Medio Oriente, si ammantano ora di una dimensione internazionale inedita: Bolsonaro manterrà uno dei suoi più forti alleati, mentre l’isolamento internazionale del Brasile nella crisi amazzonica non ha precedenti?
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org