La rivoluzione femminile libanese: gloria a coloro che dicono “No”.

Non temono gli scontri con le forze di sicurezza. La loro rabbia è esplosiva perché vogliono ciò che vogliono tutti i manifestanti, ma anche perché è la rabbia di chi è privato ​​dei propri diritti a causa del proprio genere.

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Zoya Darwish – 26 ottobre 2019

La rivoluzione dei libanesi è la rivoluzione dei repressi, la rivoluzione di coloro che sono stati messi a tacere e a cui è stato vietato di parlare delle necessità di base della vita e dell’esistenza … è la rivoluzione di un popolo che non aveva il diritto di apparire nell’immagine e sulla scena del Paese perché non  assomigliava al “volto civile del Libano”. Hanno abbattuto questa vuota definizione e sono loro ora diventati   il ​​volto del Libano. È anche la rivoluzione delle donne, che vengono represse e a cui è vietato di apparire.

In questa rivoluzione le donne libanesi si sono ribellate e hanno affermato la loro presenza nell’arena pubblica. “Siamo qui”, non solo come astanti, ma con piena consapevolezza  di come muoversi all’interno di questo spazio. Sono qui con le loro voci: il loro slogan “Siamo qui”,  è così convincente che anche gli uomini ora lo stanno scandendo.

Le donne stanno alzando la voce per la libertà, per l’uguaglianza e per la caduta di un regime repressivo. Quando necessario discutono pacatamente, o cantano e ballano e prendono l’iniziativa nel veicolare il messaggio. Alcuni giovani accendono un altoparlante per  diffondere le canzoni di Julia Boutros,  ma una delle donne si avvicina loro con calma e sicurezza, facendo spegnere l’altoparlante e accordandosi con i giovani uomini per silenziare la voce di chi  ritengono faccia parte del regime.

 # Le donne stanno alzando la voce per la libertà, per l’uguaglianza e per la caduta di un regime repressivo. Quando necessario discutono pacatamente, o cantano e ballano e prendono l’iniziativa nel veicolare il messaggio #LebanonProtest

La storia coraggiosa di una donna che si è opposta a un giudice che voleva  passare in auto attraverso il loro sit in. Gli uomini in Libano sono convinti che il mondo sia loro, che le donne non possano dire agli uomini cosa fare, soprattutto agli uomini privilegiati, ma questa rivoluzione è anche per le donne. #LebanonProtests

# Le donne libanesi  scandiscono slogan con insulti; la volgarità era la prerogativa degli uomini, mentre alle donne è sempre stato richiesto di mantenere un contegno educato. Altre donne protestano contro gli insulti maschilisti che usano le loro parti del corpo per offendere.

Donne in zone diverse e di diversa estrazione sociale sono scese in piazza per respingere le ingiustizie che devono affrontare ; alcune urlano contro il sistema giudiziario, altre combattono contro quello capitalista, confidando in un domani migliore, rifiutando un governo militare perché conoscono il significato della repressione.

Le donne libanesi  scandiscono slogan con insulti; la volgarità era la prerogativa degli uomini, mentre alle donne è sempre stato richiesto di mantenere un contegno educato. Altre donne  protestano contro gli insulti maschilisti che utilizzano  le loro parti del corpo per offendere.

Non temono gli scontri con le forze di sicurezza. La loro rabbia è esplosiva perché vogliono ciò che vogliono tutti i manifestanti, ma anche perché è la rabbia di chi è privato ​​dei propri diritti a causa del proprio genere. Una rabbia contro la violenza maschilista dei decenni passati, una rabbia per il divieto di trasmettere la propria nazionalità libanese ai figli e una rabbia per la privazione del diritto alla custodia degli stessi; una rabbia accumulata per l’impossibilità di camminare per le strade della città  in sicurezza; una rabbia per coloro che sono scomparsi durante la  guerra civile e  di cui lo Stato non è ancora in grado di rivelare il destino.

In ogni area e in ogni strada, le donne sono presenti per dire “no”, “no” a tutte le forme di repressione e di privazione. Formano gruppi, discutendo di cosa si potrebbe fare e consultandosi tra loro: “come  dovremmo agire per continuare il nostro percorso?”

Continuano a cantare slogan contro il regime mentre lodano e salutano le altre regioni del Paese in rivolta; organizzano manifestazioni in aree residenziali per raggiungere più persone; tengono sit-in davanti alle banche; non dimenticano gli operai morti  soffocati  nell’incendio di un edifico e invitano tutti a unirsi a una veglia simbolica per rifiutare lo sfruttamento dei lavoratori e il sistema della “kafala” (sponsorizzazione).

La loro rivoluzione è onnicomprensiva, una rivoluzione contro questo regime. Un gruppo prende l’iniziativa di preparare un pasto semplice per coloro che sono stati al sit-in per tutto il giorno; un gruppo si  sparpaglia nelle strade e nei quartieri della città per scrivere graffiti sui muri con slogan che rifiutano il dominio di Solidere e delle banche; un altro gruppo si coordina per bloccare le strade: nessun compito è difficile, ognuna di loro fa ciò che viene ritenuto necessario.

Si svegliano all’alba e  cominciano a bloccare le strade, organizzandosi in piccoli gruppi vicino ai loro luoghi di residenza.  Bloccano le strade con ogni mezzo possibile: sedendovisi in mezzo, trascinando pezzi di legno trovati  in zona,  tendendo cavi di acciaio dal lato della strada, usando bidoni della spazzatura per bloccarla e fermandosi poi a cantare slogan con volti sorridenti,  indirizzando i  loro concittadini verso precorsi alternativi.

In ogni luogo, in ogni area, gli uomini cercano di imporsi, cercano di zittirle dicendo: “Dobbiamo andare noi a chiudere le strade, il posto per le donne è a casa, non qui”. Non questa volta, questa volta non  può venir detto loro detto di andare a casa, loro erano lì prima degli uomini.

Una di loro si siede su di un pneumatico  in mezzo alla strada e dice “Sono qui, e  non permetterò a nessuno di passare”. Un giudice  del tribunale arriva in una macchina con i vetri oscurati , fermandosi di fronte a lei e insistendo per passare. Le sue compagne si uniscono per bloccarlo, gridando contro di lui. Il giudice insiste per   esser lasciato passare , nonostante gli indichino altre strade alternative. Lei continua a stare ostinatamente e con calma davanti a lui, e lui fa avanzare la macchina, cercando di spingere la ragazza con impudenza,  mentre lei rimane ferma davanti alla macchina con coraggio e fermezza. Rimane al suo posto e chiama in aiuto i poliziotti; la sua insistenza ora è una questione di  principio- non vuole muoversi e non vuole  scendere a compromessi. Arriva una pattuglia della polizia per cercare di convincere le manifestanti a lasciar passare il giudice ,  ma ora tutte si siedano in mezzo alla strada e iniziano a cantare slogan  contro le “connessioni” dei privilegiati. Testardamente il giudice non si muove per mezz’ora; le donne  sono  coloro che sostengono i loro diritti economici, sociali e di genere, lui è il rappresentante di un regime di repressione, familismo, favoritismo e patriarcato. Si ritira ma non si arrende, inviando loro uomini dall’agenzia di intelligence (mukhabarat).

Lui, che non si è mai confrontato con qualcuno che gli  si oppone e  gli dice “no”, non acconsentirà mai a scendere a compromessi con dei suoi concittadini, coloro per i quali dovrebbe lavorare nella ricerca della giustizia. Lui è un maschio che usa i suoi autorevoli privilegi sociali per esercitare tutte le possibili forme di repressione contro quelle donne in rivolta, donne che con il loro senso di libertà, audacia e coraggio, cui non è abituato, lo hanno provocato, facendogli temere che tutto ciò porterà alla perdita della sua  autorità, sia in termini di classe che di patriarcato.

Loro, le donne, si aiutano a vicenda, parlano di cosa occorre fare per proteggersi se la situazione dovesse aggravarsi; la loro unica preoccupazione è che una di loro sia arrestata e che perda ore di questi momenti belli e storici. Nessuna paura, mai. È la loro rivoluzione anche contro questa paura che è stata loro tramandata.

Gloria a coloro che hanno detto “NO”.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org

 

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