12 novembre 2019 – dalla pagina Facebook di Roberto Prinzi
I media italiani possono usare tutti gli anglismi fighi che vogliono per descrivere la “missione di pace” dei militari italiani impegnati in Iraq, ma ciò non cambierà la sostanza dei fatti. Possono dire che siamo impegnati lì per fare “training” (addestramento in poligono) e “mentoring” (addestramento in azione), ma la realtà è che siamo banalmente in guerra e che siamo giustamente percepiti come forza occupante. L’attacco bomba di ieri in cui sono rimasti feriti 5 soldati – avvenuto a 16 anni da quello più devastante a Nassiriya, sud dell’Iraq – che ce l’ha ricordato violentemente. Noi siamo in guerra in Iraq dal 2003 quando, seguendo i diktat degli Usa di Bush junior come fa un buon Paese colonizzato che si rispetti, abbiamo preso parte ad una guerra terroristica contro il popolo iracheno venduta all’opinione pubblica mondiale con una clamorosa bugia (“le armi di distruzione di massa di Saddam”). Un guerra i cui effetti disastrosi sono ancora evidenti oggi: le migliaia di iracheni che protestano con coraggio da ottobre (oltre 300 morti) ce lo urlano giustamente in faccia.
Nelle idiozie che si leggono e si sentono da ieri sera sui nostri media, l’unica cosa intelligente e sensata l’ha detta il sindacato dei militari italiani: “È ora di ritirare tutti i contingenti militari italiani dalle missioni all’estero perché l’impegno delle forze armate, in questo modo, è chiaramente contrario all’articolo 11 della Costituzione”. Ancora più importante questo suo passaggio: “Esprimiamo vicinanza ai colleghi feriti e alle loro famiglie ma non possiamo tacere di fronte all’ipocrisia di chi rappresenta le istituzioni e continua a definire la guerra combattuta dai nostri soldati all’estero come ‘missioni di pace'”.
Ecco, piuttosto che esprimere solidarietà ai feriti e alle loro famiglie con articoli e servizi strappalacrime magari facendo qualche edizione straordinaria, ritiriamo tutti i militari dalle “missioni di pace” all’estero. Partendo da una cosa semplice: smetterla di usare anglismi per confondere le persone e nascondere la verità: siamo in guerra. E non solo in Iraq