A partire dal 2003 numerosi sono stati i colpi inflitti ai palestinesi che vivono in Iraq, il più recente dei quali è la privazione a molti di loro dell’indennità di alloggio, su cui facevano affidamento per pagare l’affitto.
Rafed Al-Jabouri – 6 marzo 2020
Immagine di copertina: il presidente palestinese Mahmoud Abbas incontra il primo ministro iracheno Adil Abdul-Mahdi a Baghdad, in Iraq, il 3 marzo 2019 [Thaer Ghanaim / Palestinian Presidenct / Anadolu Agency]
A partire dal 2003 numerosi sono stati i colpi inflitti ai palestinesi che vivono in Iraq, il più recente dei quali è la privazione a molti di loro dell’indennità di alloggio, su cui facevano affidamento per pagare l’affitto. La decisione prevede la cancellazione degli aiuti per l’affitto a circa 300 famiglie, prendendo in questo modo di mira la parte più povera e più indigente della popolazione palestinese in Iraq.
La decisione è stata giustificata dalle difficoltà finanziarie incontrate dall’UNHCR. La notizia non ha ricevuto molta attenzione, così come accaduto con le precedenti disposizioni a sfavore dei palestinesi iracheni. Nonostante le lunghe sofferenze patite e l’entità della violenza e della distruzione a cui tutta la società irachena è stata sottoposta, la tragedia dei palestinesi richiede una speciale attenzione.
Il numero di palestinesi residenti in Iraq non è mai stato significativo, rispetto ad altri Paesi arabi vicini. Tuttavia, è diminuito drasticamente passando dai circa 40.000 presenti prima dell’occupazione americana del 2003 a meno dei 4.000 attuali. Le ragioni sono ben note. Nei primi anni dell’occupazione, i palestinesi furono oggetto di campagne di violenza e di uccisioni da parte di milizie che approfittarono della loro posizione pacifica, milizie che non poterono essere contrastate, non essendoci, in un Paese in cui il governo centrale era crollato, forze armate che se ne potessero assumere il compito.
L’accusa contro di loro era che avevano simpatizzato con il regime dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein. Criminali e sciovinisti fecero proprie queste accuse, giustificando in tal modo le loro azioni senza tener conto del fatto che la stragrande maggioranza dei palestinesi iracheni, nel corso della loro storia, avevano preso le distanze dalla politica interna irachena. Inoltre, in Iraq le organizzazioni palestinesi non erano ugualmente attive come negli altri Paesi arabi.
È noto che la violenza e le uccisioni presero di mira anche gli iracheni, infatti molti di loro fuggirono in Siria, in Giordania e in altri Paesi. Ma le porte di quei Paesi arabi erano chiuse ai palestinesi e un grande numero di essi rimase bloccato lungo i confini, nel deserto, fino a quando Paesi molto lontani, come Paesi dell’America Latina e l’Islanda, garantirono loro il diritto d’asilo.
Oggi, le forze armate sostenute dall’Iran che controllano l’Iraq si dichiarano ostili a Israele, e alcuni dei più importanti leader della milizia irachena hanno definito le manifestazioni che chiedevano riforme e la fine della corruzione e del settarismo come una cospirazione ideata da Israele. I leader di questi gruppi conoscono l’attrazione gravitazionale della causa palestinese e per questo motivo hanno unito le loro forze a una lunga serie di realtà che sfruttano la causa palestinese, inclusi regimi, partiti e persino individui.
La prova si è avuta ogniqualvolta le questioni erano legate ai diritti umani dei palestinesi. In Iraq, le stesse forze e milizie che ora dichiarano la loro ostilità nei confronti di Israele e raccontano dei loro presunti scontri con esso, sono quelle che hanno preso di mira i palestinesi e li hanno uccisi. Ciò accadde davanti agli occhi di questi gruppi e con la loro benedizione. Ad esempio, il distretto dei comuni, che comprende il noto complesso residenziale che era il più grande raggruppamento di palestinesi in Iraq, dopo il 2003 è sempre stato sotto il controllo della milizia.
Queste forze controllano oggi il parlamento iracheno, così come hanno il controllo della situazione sul campo in tutto l’Iraq, ad eccezione della regione del Kurdistan. Mentre anni di uccisioni di palestinesi iracheni si sono conclusi con una riduzione del loro numero da 40.000 a un decimo di essi, nell’ultimo periodo le misure economiche adottate hanno iniziato a privarli di vitali sussidi economici.
La misura più severa è stata quella di negare ai palestinesi il diritto di ricevere generi alimentari di base a un prezzo agevolato (noti in Iraq come razione) e di negare loro l’istruzione gratuita, il lavoro nel settore governativo e i diritti pensionistici. Ciò venne stabilito attraverso la legge sulla cittadinanza e residenza emessa dal parlamento iracheno più di due anni fa, con l’approvazione della maggioranza dei gruppi sciiti, sunniti e curdi. Questo fu reso possibile perché, abrogando la Legge 202 emessa nel 2001 che conferiva ai palestinesi diritti uguali agli iracheni, ad eccezione del diritto alla cittadinanza, questi furono privati del loro status legale che era uguale a quello degli iracheni
Va notato qui che questa presunta uguaglianza venne stabilita per legge solo alla fine del regime di Saddam Hussein. All’epoca includeva una clausola piuttosto strana, che minacciava di punire severamente i funzionari che non riconoscevano ai palestinesi i loro diritti. Questo nonostante il fatto che tale riconoscimento avrebbe dovuto essere ovvio. Questa clausola chiarisce tuttavia l’entità della sofferenza dei palestinesi, con la giurisprudenza e i pregiudizi di coloro che odiavano la loro presenza che si manifestavano anche sotto un regime più severo e dominante.
Uno sguardo veloce ed equo alla storia dei palestinesi in Iraq prima della sua occupazione mostra che questi hanno condiviso con gli iracheni la miseria e la sofferenza generata dalle guerre e dai lunghi e amari anni dell’embargo economico. Da quando giunsero in Iraq, la maggior parte dopo la prima Nakba nel 1948, hanno lavorato nel campo dell’istruzione e in altri settori, al servizio della società e delle sue generazioni.
Per quanto riguarda la cultura, Jabra Ibrahim Jabra è stato un vero capostipite della cultura in Iraq, traducendo Shakespeare e Falkner, scrivendo critiche su di loro tanto quanto sulla poesia di Al-Jawaheri o sulle opere dei grandi artisti iracheni che contribuì a sostenere sostenne e diffondere. Anche Khaled Ali Mustafa ha lasciato un’eredità poetica, critica e accademica, mentre Rawhi Al-Khamash era un musicista e generazioni di musicisti o studenti di musica orientale si sono diplomati presso di lui.
Muhammad Hussein Abdul Rahim ha invece lasciato un’impronta molto significativa nel teatro della commedia irachena. L’elenco potrebbe continuare, rischiando di tralasciare nomi che non dovrebbero essere tralasciati. Il punto non è volerli glorificare, ma piuttosto stilare un promemoria dei legami, dei principi e dei significati che collegano le persone. Dopo la decisione di privare i palestinesi degli aiuti per la casa, è stato riportato che alcuni di loro hanno partecipato alle manifestazioni di protesta in Piazza Tahrir a Baghdad. Spero sia vero.
Se la presenza palestinese in Iraq è quasi estinta a causa delle politiche e delle forze che controllano l’Iraq, le proteste irachene dovrebbero allargarsi ad includere parte della sofferenza dei palestinesi, poiché la causa della rivolta contro l’oppressione è una e la lotta in corso è a favore di diritti che non muoiono mai.
Questo articolo è apparso per la prima volta in arabo in Al-Araby Al-Jadeed il 5 marzo 2020
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org