L’esercito israeliano, rapinatori al servizio dell’occupazione 

I soldati hanno sequestrato decine di migliaia di shekel in un villaggio della West Bank la scorsa settimana. Un uomo ha dovuto annullare il suo matrimonio e un altro ha perso il denaro ricevuto per la vendita di una macchina. Poco importa che avessero una documentazione regolare.

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Di Gideon Levy e Alex Levac – 12 Marzo 2020

Ahmed Musalah avrebbe dovuto sposarsi venerdì 13 marzo, nella sala per cerimonie di Burhan nel suo villaggio, Az-Zawiya. Sono stati invitati circa 2.000 ospiti, quasi l’intero villaggio, che si trova nella Cisgiordania settentrionale, e il programma era quello di festeggiare con gli sposi fino a notte.

Musalah è un bell’uomo di 30 anni con una barba curata; la sua sposa, Hoda, è anch’essa di Az-Zawiya. Tutto era pronto per il grande giorno; dopo tutto, ci sono poche altre occasioni per festeggiare. Tutto ciò che doveva essere fatto in anticipo era pagare, in contanti, come è consuetudine tra i palestinesi in Cisgiordania, per la sala cerimoniale, il salone di bellezza per la sposa e l’abito dello sposo.

Ma il 4 marzo, il sogno della coppia di un matrimonio felice è stato interrotto bruscamente. Un gran numero di soldati israeliani dell’IDF fece irruzione nella casa di Musalah confiscando tutto il denaro che aveva, 13.000 sicli (circa 3.700 dollari), che, ci dice, servivano per pagare il matrimonio. “Mabruk, mabruk”, alcuni soldati si sono congratulati beffardi con l’aspirante sposo, mentre cercava di spiegare al comandante dell’operazione di confisca che i soldi erano per il suo matrimonio.

La domenica, dopo tanto tormento, decise di annullare il matrimonio, o almeno di rimandarlo a tempo indeterminato, non è sicuro, dice. In ogni caso, non c’è modo di pagare la cerimonia.

Lo stesso giorno, un’unità IDF ha fatto irruzione in un’altra casa del villaggio, dove hanno sequestrato decine di migliaia di shekel da due fratelli, Rafat e Alian Mukadi, con la motivazione che si trattava del “denaro dei Terroristi”. Alian è un ingegnere e un uomo d’affari; i suoi soldi erano destinati al pagamento di una macchina industriale che aveva acquistato a Tel Aviv che aveva in programma di vendere nel villaggio, abbiamo mostrato le ricevute e i documenti di autorizzazione, ma questo non ha fatto alcuna differenza per i soldati. Hanno preso tutti i soldi. Né ha fatto la differenza per Rafat, che ha mostrato ai soldati i documenti che attestavano la sua vendita di terreni nel villaggio per conto di suo zio, che vive in Giordania. I soldati hanno confiscato tutto il denaro della transazione, tutti sequestrati in nome dello stato.

La somma totale confiscata quella notte in Az-Zawiya era di 51.262 shekel (14.645 dollari), dalle case di Musalah e Mukadi. Il loro è un villaggio abbastanza piccolo nel distretto di Salfit, non lontano dalla Linea Verde, vicino alle città di Biddya e Mas’ha. Tutti e tre sono noti per i loro vasti legami commerciali con Israele. Ma ora, in Az-Zawiya, l’ondata di azioni inquietanti e vergognose svolte dai soldati israeliani nella loro missione, come poliziotti dell’occupazione, è ridotta a questo: operare come ufficiali giudiziari e rapinatori per conto dei loro responsabili del servizio di sicurezza Shin Bet, per i quali agiscono come intermediari.

Rafat Mukadi, 40 anni e padre di due figli, ci accoglie nel salotto di casa sua. Nel 2016, è stato rilasciato dopo aver scontato una condanna a 14 anni in una prigione israeliana, ma non ha ancora trovato un lavoro adeguato. L’11 ottobre 2002, al culmine della seconda intifada, indossò una cintura esplosiva e si recò a Tel Aviv per effettuare un attacco suicida. Racconta di essere entrato in un ristorante a caso e affollato sul lungomare, non ricorda come si chiamasse, con l’intenzione di farsi esplodere. Ma poi, disse, vide “dei normali esseri umani”. Una di loro era una giovane madre con la figlia seduta di fronte a lei e un bambino in braccio. Quell’apparizione fu decisiva. All’ultimo momento, indietreggiò, corse in strada, fu investito da un’auto, arrestato, processato e condannato. L’accusa ha chiesto l’ergastolo, ma dopo aver dimostrato il suo pentimento gli è stata inflitta una condanna di 14 anni.

Circa un mese dopo il suo rilascio, sposò Aslam, originaria di un villaggio vicino a Nablus. Mukadi, muscoloso e tarchiato, afferma di essersi cimentato in tutti i tipi di lavori, ma ha avuto difficoltà ad riadattarsi alla vita normale negli ultimi anni, lui e la sua famiglia vivono con un sussidio di indennità che l’Autorità Palestinese concede ai prigionieri liberati. Ha deciso di dedicare la sua vita esclusivamente a se stesso e alla sua famiglia e di evitare qualsiasi attività politica o pubblica. Circa un anno e mezzo dopo il suo rilascio, il personale dell’esercito e lo Shin Bet andarono a casa sua per controllarlo, non erano mai tornati da allora, fino a quella sera.

All’1:30 era in salotto con il figlio maggiore, 3 anni, Mohammed, che si era svegliato. Il piccolo Nur a-Din dormiva con sua madre nell’altra stanza. All’improvviso Rafat sentì dei rumori all’esterno dell’abitazione. Vive al terzo piano della casa di famiglia; Alian, 29 anni, vive al primo piano con sua moglie e il loro figlio di 2 anni.

I soldati entrarono nell’appartamento di Alian e, pochi minuti dopo, gli ordinarono di chiamare Rafat e di farlo scendere. Alian era seduto in salotto, circondato da soldati, e soldatesse, alcuni mascherati. Alian ha studiato ingegneria a Cipro e quando è tornato a casa fu recluso in detenzione amministrativa, incarcerato senza processo, per un anno, anche se non gli fu mai notificata la motivazione. Circa un mese fa, Alian è stato convocato al checkpoint di Eyal per un incontro con “Marjan”, l’agente dello Shin Bet responsabile della regione; il loro incontro è durato due ore. “Perché non collabori con noi?”. Suggerì Marjan. Secondo Alian, Marjan ha cercato di reclutarlo come informatore, ma ha rifiutato. Marjan lo ha minacciato: “Anche tra altri cento anni, non sarai in grado di espatriare”. Quindi, i soldati fecero irruzione nell’appartamento di Alian.

Inizialmente dissero di essere venuti per un’auto rubata. Quindi dissero ad Alian: “Ci sono troppi soldi in casa tua”. L’ufficiale comandante disse che le truppe avrebbero perquisito i locali e chiese ad Alian se avesse soldi in casa. Alian rispose: “Ehi, mica mi stai chiedendo dei fucili? Ovviamente ci sono soldi in casa. È proibito? Non hai soldi a casa tua? È normale. Tutti tengono i soldi a casa.” L’ufficiale disse ad Alian di portarglieli; c’erano 32.000 shekel (9.140 dollari) in mazzette legate con elastici, e altri 2.600 shekel in contanti sciolti.

Durante la nostra visita, Alian spiega che acquista vari tipi di macchine industriali per i clienti nei territori. Mostra il documento riguardante una recente transazione ad Abdulkarim Sadi, un ricercatore sul campo dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, che ci sta accompagnando. Alian afferma di aver mostrato gli stessi documenti all’ufficiale IDF: un contratto per la vendita di una macchina da taglio al plasma CNC (utilizzata per il taglio di precisione di vari tipi di metalli), per conto di un cliente di nome Bashar Daraas. Alian ci mostra un video che mostra il funzionamento della macchina di produzione italiana, che costa 114.000 shekel. Daraas diede un anticipo di 18.000 shekel per questo, e altri 32.000 shekel, la somma esatta posseduta, quando il contratto fu firmato il 2 marzo. Due giorni prima delle incursioni notturne in Az-Zawiya.

L’ufficiale ha esaminato il contratto e si è consultato al telefono con l’agente dello Shin Bet Marjan, prima di procedere alla confisca dei soldi di Alian. Perché li stai prendendo, ha chiesto. L’ufficiale rispose solo che era illegale. Se non è legale, disse Alian incalzandolo, perché non mi arresti? La domanda non ottenne risposta, forse perché non c’è nera una. Un’altra domanda senza risposta è “come si suppone che Alian possa condurre ancora affari d’ora in poi, poiché le transazioni vengono generalmente effettuate in contanti nei territori?”.

Nel frattempo, Rafat era sceso al piano di sotto, dove gli era stato ordinato dall’ufficiale di tornare nel suo appartamento e portare tutto il denaro che aveva. “Abbiamo informazioni che hai 8.170 dollari in casa”, ha detto l’ufficiale, minacciando di condurre una perquisizione. Ma nessuna ricerca è stata condotta in nessuno dei due appartamenti. Rafat ha consegnato la borsa di sua moglie con tutto il denaro che avevano: 3.000 dinari giordani (4.230 dollari) e altri 800 shekel. L’ufficiale gli ha lasciato 200 shekel (57 dollari), per “umanità” confiscando il rimanente.

Naim Kadad, zio rifugiato di Rafat in Giordania, possedeva un appezzamento di terra in Az-Zawiya e qualche tempo fa aveva chiesto a suo nipote di venderlo e di inviargli il ricavato. Rafat esegui la vendita e trasferì il denaro tramite Western Union, in più fasi. Ci mostra l’accordo per la vendita, ad Ahmed Abd al-Al di Qalqilyah, datato 16 settembre 2019. Ha anche il documento di procura di Kadad. Ci mostra le ricevute della Western Union: pagamenti di 1.400 dinari il 29 dicembre, altri 2.100 dinari il giorno successivo, 2000 in più l’8 gennaio 2020 e 2000 il 19 febbraio. L’importo finale doveva ancora essere inviato, ci dice Alian, i soldi che sono stati confiscati.

I soldati se ne andarono alle 4 del mattino.

Lo sposo il cui matrimonio è stato annullato, Ahmed Musalah, si presenta a casa di Alian durante la nostra visita. Lavora in un negozio di mobili a Biddya e anche lui è stato in una prigione israeliana, dal 2013 al 2017, ma non è disposto a raccontarci perché, dicendo che non lo ricorda. Si svegliò una notte trovando dei soldati nel suo salotto, che stavano interrogando suo padre, Hamdan. Dapprima i soldati dissero di essere venuti a cercare armi, ma nessuna ricerca fu effettuata, nemmeno in casa sua. Volevano solo soldi. Mentre l’ufficiale contava i 13.000 sicli in contanti, Musalah cercò di spiegare che erano per il suo matrimonio. L’ufficiale gli lasciò, come fece con Rafat, 200 sicli per “umanità”. Mezz’ora dopo il loro arrivo, i soldati se ne andarono con il “bottino”.

Alla domanda di chiarimenti sulla razzia, l’Ufficio del portavoce dell’IDF ha rilasciato questa dichiarazione ad Haaretz: “Nella notte tra il 3 marzo e il 4 marzo 2020, è stata effettuata un’operazione per sequestrare denaro proveniente da fondi del terrorismo nel villaggio di Azawiya. Il sequestro è stato effettuato in base alla legge applicabile nella regione e ha comportato la confisca di una somma equivalente alla quantità di denaro che i palestinesi hanno ricevuto dall’organizzazione terroristica di Hamas. L’IDF continuerà la sua campagna contro il trasferimento di fondi del terrorismo nell’area al fine di prevenire e scoraggiare il mantenimento di legami di qualsiasi tipo con l’organizzazione di Hamas”.

Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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