Gli artisti sono i più dotati per sentire il battito delle nazioni, e in seguito trasformano queste vibrazioni in grande arte
Di Naima Morelli – 5 Aprile 2020
Per l’artista multimediale Steve Sabella, questi tempi difficili ci richiedono di accedere al potenziale della nostra immaginazione per evocare il nostro futuro collettivo. Le sue opere d’arte che riflettono le difficoltà dei palestinesi diventano metafore universali per la rinascita globale.
“Siamo nell’era di qualcosa di nuovo”, afferma l’artista palestinese. “Di cambiamento, opportunità, creatività, immaginazione. Quindi dobbiamo dire addio all’era della guerra e dell’odio. Nell’apocalisse post-coronavirus, qualsiasi leader al mondo che non avalla per primo la pura consapevolezza di proteggere il pianeta, seguito da un uguale benessere per tutti i suoi cittadini, alla fine non avrà alcuna possibilità”.
Quando la crisi di Covid-19 colpì, l’artista stava per mettere all’asta il suo trittico fotografico largo sei metri chiamato “No Man’s Land” a Sotheby’s, donando tutto il ricavato al programma di educazione museale palestinese di Birzeit.
Ironia della sorte, “No Man’s Land”, che presenta un caleidoscopio del residuo della vita, è un lavoro molto appropriato per questi tempi. È quasi un ammonimento, che rappresenta la catastrofe che potrebbe accadere se non spostassimo radicalmente i nostri valori. Nel pezzo, foglie in putrefazione, piume, polline e polvere volante creano un nuovo paesaggio, dove vediamo figure perdute simili ad esseri umani che vagano, annegano.
“In molti modi, questo è lo stato fisico e mentale in cui vivono molti palestinesi, anche quelli che sono rimasti nella loro terra”, dice l’artista, che in origine era stato ispirato per il lavoro dalle condizioni dei suoi concittadini. “E ora, questa è una realtà che potrebbe colpire tutte le persone in un battito di ciglia.”
Come sempre nel lavoro di Sabella, la speranza contrasta gli aspetti più oscuri: “Questo pezzo, No Man’s Land”, ci ispira a immaginare la bellezza del nostro mondo e vedere oltre la sua superficie, specialmente oggi quando tutto è in evoluzione”.
L’artista, ora residente a Berlino, è nato nella Città Vecchia di Gerusalemme e vi è rimasto fino al 2007. All’epoca, si sentiva in esilio mentre era a casa: “Ho sperimentato in prima persona come l’occupazione israeliana paralizza e controlla il corpo. Ho sentito l’estremo impatto psicologico di ciò che significa nascere sotto l’occupazione e vivere poi una realtà intrappolata”.
Nel suo corpus di lavori un tema ricorrente è proprio l’“immaginazione colonizzata”. Questo si basa sull’osservazione che molti palestinesi hanno raggiunto un punto in cui non riescono nemmeno a immaginare di vivere in libertà, e tanto meno di liberare la loro terra.
“Mi sono svegliato per rendermi conto che ciò che impediva la liberazione della propria terra era che le persone erano bloccate nella loro immaginazione. Così ho ripulito la mia immaginazione, dichiarato la mia indipendenza e dato a me stesso una rinascita.” L’artista crede che ciò sia possibile non solo per i palestinesi, ma anche per tutti gli altri: “Alla fine, è Un Mondo Un Cuore.”
Mentre viveva all’estero, Sabella ha sempre mantenuto stretti legami con la scena artistica in Palestina. Tra il 1998 e il 2007 ha organizzato 11 mostre personali. Dopo aver lasciato Gerusalemme iniziò a considerarsi un ambasciatore per le sue origini. È un ruolo che considera particolarmente adatto agli artisti.
“Gli artisti sono i più dotati per sentire il battito delle nazioni, e in seguito trasformano queste vibrazioni in grande arte, arte senza identità, in modo che tutti possano identificarsi con essa”, osserva. “Solo tale arte può sopravvivere allo scorrere del tempo.”
Ha molte idee su come impostare l’arte palestinese in grande movimento, aumentarne il valore e portarla all’attenzione internazionale attraverso diversi percorsi di validazione. Ha iniziato a pianificare collaborazioni con influencer locali palestinesi per creare una collezione d’arte collettiva sostenibile in Palestina. Considerando che i tempi a venire saranno economicamente difficili, è consapevole che è tempo di sinergie.
“Va sempre ricordato che il crollo è nel valore monetario, non nel valore intrinseco dell’arte, anche se esiste una correlazione”. Sabella è consapevole che gli artisti pagheranno un prezzo enorme, ma non li vede diventare meno creativi in alcun modo. “È giunto il momento della chiarezza e della pulizia e che tutti i creativi diventino super creativi”.
L’esilio palestinese si sente fortemente, perché il ruolo dell’artista nella disgregazione del mondo come lo conosciamo è quello di immaginare e creare insieme questa nuova realtà.
“È giunto il momento di smettere di disegnare i confini e iniziare a disegnare il nostro futuro. E il futuro è adesso. Siamo tutti interconnessi, parte di uno scenario molto più ampio. Dobbiamo iniettare in noi stessi l’immagine di un mondo migliore e questa volta non averlo come un’utopia. Siamo nell’era dell’essenza, del duro lavoro, come mai prima d’ora.”
Sabella sta lavorando sodo, avendo creato nelle ultime settimane ciò che di solito produce in cinque anni: “Credo che fintanto che farai ciò che ami, l’universo ti porterà sempre con sè. E forse sentivo l’urgenza di creare un corpo di lavoro sull’essenza della vita e dell’essere.”
Che si tratti di un dipinto, un’installazione, una scrittura o una fotografia, tutte le creazioni di Sabella derivano da un’intensa attenzione. Lavora eliminando tutto il disordine, il rumore e la distorsione, per arrivare a un viaggio interiore alla ricerca di quelli che lui chiama “i minerali della nostra essenza. La nostra anima. E poiché all’anima non piace essere ingannata, ho imparato rapidamente ad essere onesto con me stesso e non a perdere tempo elaborando cose superficiali.”
Da queste riflessioni derivano la sua nuova serie di opere d’arte chiamate “Everland”, “Endless”, “A Short Story”, “Palestine UNSETTLED”, “The Sound of Jerusalem” e il suo nuovo libro, The Secrets of Life. L’opera d’arte “Everland”, in particolare, celebra tutta la bellezza che esce dalla Palestina e si basa sulle immagini di ricami che ha scattato durante i suoi viaggi passati.
Nascere a Gerusalemme o in qualsiasi altra parte del mondo -conclude- vuol dire che stiamo diventando cittadini del pianeta Terra. Proveniamo tutti da qualsiasi parte e da nessuna parte. Poeticamente parlando, proveniamo tutti da qualche altra parte! E quel nessuna parte é in realtá la “Terra dei sogni” che tutti stiamo cercando. Quel suolo che stiamo cercando é giusto sotto i nostri piedi.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org