La comunità internazionale e le sue deboli condanne non aiuteranno i palestinesi. È tempo di una nuova strategia.
Fonte: English version
Yara Hawari – 26 aprile 2020
Immagine di copertina: manifestanti palestinesi si radunano su una collina durante una protesta contro gli insediamenti israeliani nella città di Beita nella Cisgiordania occupata il 2 marzo 2020 [File: Reuteres / Mohamad Torokman]
Mercoledì, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha dichiarato in una nota informativa che l’annessione della Cisgiordania è stata essenzialmente una “decisione israeliana” e che gli Stati Uniti avrebbero condiviso con Israele le loro opinioni su questo argomento privatamente. La sua dichiarazione è arrivata appena due giorni dopo che un nuovo governo di unità israeliano è stato inaugurato a seguito di un accordo tra il primo ministro israeliano in carica Benjamin Netanyahu e il suo rivale politico e capo dell’alleanza blu e bianca, Benny Gantz.
Come parte dell’accordo, Netanyahu ricoprirà la carica di primo ministro per altri 18 mesi, dopodiché Gantz gli succederà. Gli verrà anche consentito di approvare la legge per annettere dal 1 ° luglio grandi aree della Cisgiordania.
Ai sensi del diritto internazionale l’annessione della terra palestinese occupata nel 1967 è illegale, ma in realtà l’occupazione della Cisgiordania è ormai diventata di fatto un’annessione. Il regime israeliano sta ora cercando di estendere la sua sovranità attraverso l’annessione de jure, che porrebbe gran parte della Cisgiordania sotto la legge israeliana, lasciando solo poche piccole sacche di bantustan palestinesi densamente popolati.
Molti sionisti liberali vedevano la coalizione blu e bianca di Gantz come una valida alternativa al regno corrotto di Netanyahu, mentre molti diplomatici stranieri speravano che sarebbe stato un “partner per la pace”. Questo nonostante il fatto che Gantz durante le sue campagne elettorali avesse chiarito che avrebbe perseguito l’annessione.
In risposta alla volontà di annessione dichiarata dal governo unitario e al commento di Pompeo, diversi stati membri dell’UE hanno ammonito e “fortemente messo in guardia “ contro l’annessione israeliana di terre palestinesi in Cisgiordania. Nel frattempo, anche la Giordania ha ripetutamente dichiarato di “respingere” qualsiasi passo verso l’annessione.
Queste recenti condanne seguono il noto modello di deboli dichiarazioni che vengono emesse ogni volta che il regime israeliano viola il diritto internazionale, senza alcuna minaccia di ripercussioni. In effetti, commettere crimini di guerra è sempre una decisione israeliana e la risposta della comunità internazionale è sempre di ignorarli.
Il fatto che i leader politici israeliani di tutto lo spettro politico stiano perseguendo l’annessione non è sorprendente. L’espansionismo in terra palestinese è la ragion d’essere del regime israeliano e lo è stato sin dalla sua fondazione. La costruzione di insediamenti israeliani non è mai cessata dal 1948, quando iniziò la pulizia etnica della storica Palestina. Ed è stato un cosiddetto governo israeliano di sinistra a guidare l’impresa insediativa in Cisgiordania e Gaza dopo la loro occupazione nel 1967.
La leadership palestinese ha reagito a questi ultimi sviluppi con un po’più della usuale retorica infuocata e vuote minacce. Il presidente dell’Autorità Palestinese (PA) Mahmoud Abbas ha nuovamente minacciato di “annullare completamente” gli accordi con Israele e gli Stati Uniti se Israele procedesse all’annessione e ha dichiarato che i palestinesi “non sarebbero stati ammanettati”.
Con l’AP fortemente dipendente dai donatori internazionali e dal governo israeliano per la sua sopravvivenza, è improbabile che sarà mai in grado di presentare una vera sfida all’annessione. Decenni di discussioni su capitolazioni mascherate da “negoziati di pace” hanno lasciato i palestinesi in questa situazione storicamente vulnerabile.
In effetti, nonostante la spavalderia del presidente dell’AP, i palestinesi sono già “ammanettati” e messi in gabbia in una prigione a cielo aperto dove persino lo stesso Abbas, per lasciare Ramallah, deve chiedere il permesso agli israeliani. Inoltre, la pandemia COVID-19 ha bloccato i palestinesi, stretti tra la paura dell’infezione e l’incapacità di affrontare la sfida dell’acquisizione israeliana della loro terra.
Ciò, tuttavia, non significa che il popolo palestinese abbia ceduto. La lotta contro il regime israeliano continua attraverso il movimento BDS e l’indagine del Tribunale Penale Internazionale sui suoi crimini di guerra, nel tentativo di smascherare le sue responsabilità e fargli pagare il costo economico e legale dell’oppressione,
Tutto questo è importante ma non è sufficiente. È giunto il momento di rifocalizzare gli sforzi e cambiare la strategia politica. I palestinesi devono ripulire la propria casa e chiedere una nuova leadership legittima e rappresentativa che non si inchini più a una comunità internazionale che permette l’espansionismo israeliano. Mentre le elezioni sono un’importante pratica democratica, in Cisgiordania e Gaza servirebbero solo a sostenere le autorità attuali.
Ciò che è necessario è una revisione completa dell’attuale sistema politico che, negli ultimi due decenni, si è concentrato esclusivamente sul mantenere i palestinesi sottomessi e controllati. Tale revisione richiede il ritorno a un consenso rivoluzionario raggiunto attraverso la pluralità e la riconciliazione di gruppi politici, frammenti geografici e collettivi e con una mobilitazione popolare attorno a un’agenda politica di liberazione. Solo allora avremo la possibilità di fermare il furto della terra palestinese.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.
Yara Hawari è Palestine Policy Fellow in Al-Shabaka, the Palestinian Policy Network.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org