Nazionalisti ebrei che difendono l’Europa cristiana e attaccano il globalismo malvagio? Per Benjamin Netanyahu e il figlio cospiratore Yair, l’etno-nazionalismo islamofobico illiberale della destra radicale europea è troppo attraente.
Di Toby Greene – 13 Maggio 2020
Copertina: Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il figlio Yair incontrano il presidente russo Vladimir Putin (non nella foto) a Gerusalemme, il 23 gennaio 2020 Credito: Alexei Nikolskyi / SPUTNIK / RE
Quando Yair Netanyahu ha recentemente twittato che la “malvagia globalista UE” era nemica di “tutti i paesi cristiani europei”, ha ricevuto un’approvazione entusiasta da Joachim Kuhs, deputato del Parlamento europeo per la destra radicale tedesca AfD. Questo ha ulteriormente consolidato la sua posizione come esponente della linea dura di un crescente movimento internazionale, radicale di destra.
I tweet furiosi di un estremista marginale non meriterebbero molta attenzione, se non per il fatto che Netanyahu Senior sembra condividere gran parte di questo programma. Quindi questa strana situazione, in cui un nazionalista ebreo di estrema destra difende una visione “dell’Europa cristiana”, riflette una tendenza più ampia e significativa.
L’Unione europea simboleggia, per i suoi ascendenti, tutto ciò gli etno-nazionalisti della destra radicale europea e americana odiano: un disprezzato “globalismo” che vedono come il trasferimento della sovranità dalle comunità nazionali a un regime liberale governato da istituzioni internazionali. Tra le creazioni dell’Unione europea più prese di mira c’è il sistema di frontiere aperte Schengen, che incolpano per l’immigrazione incontrollata, comprese le recenti ondate dal Medio Oriente.
Mentre le minoranze musulmane sono cresciute, la destra radicale europea si è concentrata sull’affermazione che “l’islamizzazione” minaccia l’identità dell’Europa. In questo contesto, essi definiscono sempre più i valori europei con riferimento alle radici cristiane. Ciò contrasta con i trattati dell’UE, che definiscono i valori europei in termini inclusivi, secolari e liberali. In generale, il programma della destra radicale europea non è quello di ripristinare le credenze religiose, ma definire l’identità culturale delle nazioni europee per escludere le culture “non-native”, in particolare l’Islam.
Questa storia ha una svolta. Mentre la destra radicale proclama la minaccia che l’Islam rappresenta per l’Europa, essa cerca di prendere le distanze dall’antisemitismo. Questo include vecchi partiti come il Front National in Francia e il Partito della Libertà austriaco, con storie politicamente violente e antisemite. I partiti radicali di destra in genere ora pretendono di difendere gli ebrei contro coloro che marchiano i veri antisemiti europei, i musulmani.
Fino a poco tempo fa, Israele era comunemente disprezzato nei circoli radicali di destra come un braccio del maligno potere ebraico e americano. Ora comunemente abbracciano Israele come un modello di stato etno-nazionale, considerandolo la linea del fronte dell’Europa contro l’Islam radicale.
Infatti, i partiti di destra radicali spesso ora si riferiscono ai valori europei come “giudeo-cristiani”, desiderosi di respingere i sospetti di antisemitismo, pur sottolineando la loro affermazione che l’Islam è incompatibile con la civiltà occidentale.
Le comunità ebraiche europee non sono impressionate. Temono l’ascesa della destra radicale che rompe i tabù sull’intolleranza ed evidenzia esempi di persistente antisemitismo tra gli attivisti del partito. Ciò trattiene il governo israeliano dal impegnarsi con partiti e associazioni con inconfondibili precedenti di antisemitismo.
Ma per Netanyahu Senior e la destra israeliana, la destra radicale europea, come Donald Trump, è fonte di grande tentazione. Ecco un movimento politico che respinge l’insistenza dell’UE sui diritti umani, è intriso di islamofobia, e può aiutare a eliminare la pressione dell’UE sulla questione palestinese. Cosa c’è di male?
Intellettuali e attivisti israeliani di destra si associano sempre più spesso con figure di destra radicali europee e americane. Il teorico politico israeliano Yoram Hazony presiede conferenze sul “Conservatorismo Nazionale” con protagonisti del calibro di Salvini e Orban, leader accusati di promuovere teorie cospirazioniste sul filantropo ebreo americano George Soros che riecheggiano miti antisemiti, e sono ambigui riguardo alle storie antisemite dei loro paesi. L’ultimo libro di Hazony sostiene che il nazionalismo è la chiave dell’ordine mondiale, in opposizione al globalismo esemplificato dall’Unione “imperialista”.
Il giovane Netanyahu sembra abbracciare le versioni più estreme e cospiratorie di questa visione del mondo. Per lui, l’Unione europea non è solo fuorviante o esagerata, ma anche malvagia. Non si preoccupa nemmeno del prefisso “giudeo” quando si riferisce alla cultura “autentica” dell’Europa. Egli sostiene una nozione di “Europa cristiana” come rifiuto del multiculturalismo liberale. Non c’è da meravigliarsi che il signor Kuhs dell’AFD ne fosse entusiasto.
Non è noto se il primo ministro israeliano sia pienamente d’accordo con le opinioni di suo figlio, ma la sua agenda interna illiberale rispecchia le controparti europee di destra radicale, e si relaziona felicemente con la politica dell’identità culturale e di civiltà. Quando si è lamentato dell’UE con Orban e altri leader dell’Europa orientale, ha detto loro: “Ad est di Israele, non c’è più Europa. Non abbiamo amici migliori dei cristiani”.
Molti, incluso il presidente Rivlin, resistono a questo allineamento per principio e per preoccupazione verso gli ebrei della diaspora. In una lettera del 2017 ai leader ebrei austriaci ha citato le sue stesse parole dal Giorno della memoria dell’Olocausto, in cui ha detto: “Nessun interesse di alcun tipo può giustificare una vergognosa alleanza con i gruppi che intendono ricreare tali crimini contro qualsiasi straniero, rifugiato o migrante che osi, secondo loro, contaminare il loro spazio vitale”.
Ma anche mettendo da parte queste questioni, ci sono motivi per dubitare che questa politica serva gli interessi strategici di Israele.
Innanzitutto, l’affermazione secondo cui l’UE è anti-israeliana è un mito. Israele gode di un accesso eccezionale ai mercati e alle istituzioni integrati dell’UE, e la sua economia orientata all’innovazione e all’esportazione ne trae enormi benefici.
Inoltre, questo rapporto è aiutato dalla responsabilità e ascendenza che i principali liberali occidentali sentono verso Israele sulla base della storia ebraica in Europa, e dei valori democratici condivisi.
Al contrario, i nazionalisti della destra radicale rifiutano gli impegni internazionali basati su qualcosa di diverso da interessi nazionali strettamente definiti. Respingendo anche gli oneri della sicurezza internazionale. Questo lascia un vuoto da riempire per gli altri. Un esempio è la Siria, dove Trump ha lasciato il campo aperto per la Turchia, la Russia e l’Iran.
Allo stesso tempo, associarsi alla destra radicale rischia di rendere Israele una questione spinosa in Europa, come sta diventando negli Stati Uniti. Poiché nessuno può prevedere le oscillazioni politiche in Occidente, Israele può essere meglio servito da politiche che mantengono un’ampia base di sostegno attraverso gli schieramenti.
Questo significa mantenere un impegno per la democrazia liberale, e non precludere l’opzione di pace negoziata con i palestinesi. Significa anche non escludere l’integrazione politica, non ultimo in Francia e Germania, che rifiutano l’Etna-nazionalismo e che considerano l’UE come il pilastro centrale della loro sicurezza e prosperità.
Toby Greene è un ricercatore presso la School of Politics and International Relations, Queen Mary University di Londra. Twitter: @toby_greene_
Trad: Beniamino Rocchetto