FOTO – Dipendenti dell’Autorità Palestinese in fila per ritirare contanti da un bancomat all’esterno di una filiale della Banca di Palestina a Khan Younis nel sud della striscia di Gaza, 2 aprile 2020. (Foto:ASRARA AMRA / IMMAGINI APA)
di Sam Bahour, 29 maggio 2020
La prossima crepa nel conflitto israelo-palestinese arriva da un angolo senza pretese, il sistema bancario. Con le spalle coperte dall’amministrazione Trump, Israele ha legiferato per commettere crimini in pieno giorno. L’ultimo sforzo arriva sotto forma di un ordine militare, uno delle migliaia emessi durante l’occupazione militare israeliana in Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza. Oggi, per quanto riguarda i registri israeliani, qualsiasi soldato israeliano ha il diritto di entrare in qualsiasi banca palestinese e confiscare fondi che si presume siano associati a particolari conti bancari.
In qualsiasi altra parte del mondo questo si chiamerebbe “rapina in banca”, ma in Palestina è solo un altro giorno sotto occupazione militare israeliana.
Israele chiede che le banche palestinesi chiudano i conti di palestinesi sconosciuti che siano nella loro lista nera. Questa flagrante violazione del settore privato palestinese, per non parlare della giurisdizione del governo palestinese, è stata intrapresa in pieno giorno senza alcun pretesto legale, senza due diligence e senza giusto processo. Invece, Israele, come ha fatto per oltre cinque decenni, semplicemente emette un ordine militare attraverso il suo Ministero della Difesa, responsabile del territorio palestinese occupato.
Come forza occupante, Israele si è autonominato giudice e giuria, nonché carceriere e torturatore in questo caso, sfidando totalmente gli obblighi definiti a livello internazionale, richiesti dalle leggi di occupazione.
Quest’ultimo ordine militare israeliano, # 67 (2020), è un emendamento a un precedente ordine militare, # 1651 (2009), ed è stato emesso il 9 febbraio 2020. È entrato in vigore il 1° maggio 2020. In breve, il nuovo ordine aggiunge una nuova definizione all’ordine originale e spiega [in ebraico, tradotto]:
“Gestione del denaro”
“Dare il diritto o la revoca del diritto di proprietà dei fondi o di qualsiasi diritto ai fondi, nel caso in cui essi siano mobili o immobili, ad un prezzo o senza un prezzo, e ogni procedimento che comprende il reclutamento, consegna, prelievo, possesso, cambio, operazioni bancarie, investimenti, scambi in borsa, intermediazione, sovvenzioni o acquisizione di crediti, importazione, esportazione, creazione di credito o mescolando denaro del terrorismo con altri fondi, anche quelli non collegati al terrorismo”.
Usando questa definizione, l’esercito israeliano minaccia di ritenere responsabile chiunque sia coinvolto in una delle operazioni di cui sopra, direttamente o indirettamente, di essere colpevole e soggetto a una pena detentiva di sette anni e/o ad un’ammenda che può raggiungere dieci volte l’importo della transazione.
La motivazione politica alla base di questo imbroglio “legale” è il desiderio israeliano di punire la leadership palestinese per aver rifiutato di smettere di versare contributi sociali a quei palestinesi che erano o continuano a essere detenuti nelle carceri israeliane — prigionieri politici — oltre alle prestazioni sociali fatte a famiglie di martiri. È importante notare che quasi un milione di palestinesi è passato attraverso il sistema carcerario israeliano dall’inizio dell’occupazione militare israeliana nel 1967. Questi arresti sono molto arbitrari e i tribunali investiti di questi casi sono tribunali militari con un tasso di condanne del 99,74%. Migliaia di palestinesi sono stati anche incarcerati da Israele nella cosiddetta “detenzione amministrativa” grazie alla quale sono detenuti senza alcuna accusa nei loro confronti.
Con questo ultimo attacco al settore bancario, Israele sta minacciando direttamente tutte le 14 banche palestinesi, che comprendono una rete di 370 filiali e uffici e quasi 7.000 impiegati bancari, gestendo depositi per 14,8 miliardi di dollari, un portafoglio crediti di 9 miliardi di dollari e un’attività totale di 17,3 miliardi di dollari. In poche parole, questo è un tentativo di minare l’economia palestinese dalle fondamenta.
L’istituzione responsabile delle banche in Palestina è la Palestine Monetary Authority (PMA), una delle poche storie di successo relative al periodo degli Accordi di Oslo. La PMA è l’organizzazione che presumibilmente si trasformerà nella Banca centrale palestinese, una volta ottenuta l’indipendenza e con la Palestina che potrà emettere propria valuta. Fino ad allora, il suo ruolo si limita a disciplinare le banche in base al diritto palestinese.
Assegnare ruoli
L’esercito israeliano è stato aiutato in quest’ultima aggressione contro le banche palestinesi. Un’organizzazione non governativa (ONG) di destra, legata all’intelligence israeliana, il 20 aprile ha inviato lettere di avvertimento personalizzate alle banche palestinesi per avvertirle della nuova legislazione. La lettera è stata firmata dal direttore del gruppo e dal suo capo delle strategie legali, un ex direttore dell’azione penale militare delle “Forze di difesa” israeliane in Cisgiordania, e avvisava:
“Se la tua banca ha conti di terroristi incarcerati […] devi ordinare il congelamento immediato di quei conti.”
E’ stato inviato in arabo, a differenza dell’ordine militare stesso rilasciato in ebraico. Come le banche dovrebbero essere in grado di classificare un cliente come “terrorista” o no è irrilevante per coloro che cercano di perseguire frivole azioni legali.
Lo stato di Israele e le sue ONG quasi-governative si sono storicamente divise tra loro il ruolo di oppressori. Anche prima della fondazione di Israele, i suoi fondatori impiegarono gli uffici del Jewish National Fund (JNF) per spogliare i palestinesi della loro terra. Questo accordo con il JNF continua ancora oggi. Esternalizzando le attività illegali a organizzazioni su cui ha il controllo, la strategia di Israele è simile a quella di una società commerciale che esternalizza i suoi sforzi di raccolta clienti alla mafia, così quando un cliente delinquente viene trovato con due gambe rotte e senza unghie, può sempre affermare di non esserne a conoscenza e di non aver fatto nulla di male.
Déjà Vu
Questa non è la prima volta che Israele scatena i suoi militari per razziare le banche palestinesi e gli uffici di cambio. Al-Haq, un’organizzazione palestinese per i diritti umani con sede a Ramallah, Cisgiordania, ha riferito: “Il 25 febbraio 2004, la polizia israeliana, gli ufficiali dell’Agenzia di sicurezza interna (Shabak) e la polizia di frontiera fecero irruzione in filiali della Banca Araba con sede in Giordania e della Cairo Amman Bank nella città di Ramallah, in Cisgiordania, sequestrando contanti dalle casse delle banche per oltre 35 milioni di NIS (l’equivalente di 7 milioni di dollari). La somma corrispondeva alla quantità di denaro tenuta in oltre 200 conti appartenenti a privati, enti di beneficenza e organizzazioni non governative.” Alla faccia della necessità di un ordine militare per rapinare una banca.
Naturalmente, il settore bancario non è stato l’unico nel mirino di Israele. L’ufficio dell’editore della principale pubblicazione inglese palestinese, This Week in Palestine, è stato saccheggiato diversi anni fa e i computer confiscati. Fino ad oggi, l’editore non ha avuto successo negli sforzi fatti per riavere le apparecchiature per ufficio.
Con l’incessante devastazione della società palestinese, ora con l’ulteriore minaccia di altra annessione di terra, Israele ha bisogno della scusa della violenza per coprire la propria aggressività. Quando i palestinesi non reagiscono ad una questione violenta, Israele si agita e incita, come con quest’ultima minaccia bancaria.
Quando uno stato canaglia come Israele, impegnato in una belligerante occupazione militare che va avanti da 53 anni, raggiunge il punto di assoluta impunità, sembra che tutto vada bene. Purtroppo, per tutti noi “tutto va bene” è una strada a doppio senso su cui nessuna parte può legiferare.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org