Ogni giorno c’è un George Floyd in Palestina e la vergogna è che tutti noi non siamo ancora insorti con indignazione, ira, rabbia, con la volontà di eliminare il sionismo, portare i sionisti nei tribunali internazionali e processarli per i loro crimini.
Fonte: Versión Española
Pablo Jofré Leal – 6 giugno 2020
Immagine di copertina: Soldato israeliano blocca un palestinese durante un raid ad Hebron – 20 Settembre 2016 (Wisam Hashlamoun/Flash90)
Oggi milioni di persone piangono l’omicidio del cittadino americano George Floyd e questo è giusto e necessario. Ma dobbiamo anche piangere e rendere giustizia alle migliaia e migliaia di assassinati palestinesi, uomini, donne, bambini. La Palestina ha migliaia di George Floyd, quello che è successo contro il cittadino americano a Minneapolis è pane quotidiano per i palestinesi, ma nessuno lo sa!
Non vi è alcun dubbio sulla perversità e sull’atrocità del crimine perpetrato nella città di Minneapolis contro il cittadino americano nero, George Floyd, per mano del poliziotto bianco Derek Chauvin, già segnalato per precedenti episodi di brutalità.
Un omicidio che dimostra che il razzismo regna con forza negli Stati Uniti, che ha svegliato una società addormentata governata da un’amministrazione che disprezza tutte le minoranze. Disprezza i neri, i latini, i cinesi, gli arabi, adottando una posizione suprematista e discriminatoria contro tutto ciò che si discosta da quella narrazione mitologica di una nazione creata dai WASP (White Anglo Saxon Protestant). Una nazione americana, giudicata una proprietà dei bianchi, con un presunto destino manifesto, costruita non solo sul sangue delle popolazioni native, ma anche sulla schiavitù e sulla sottomissione di milioni di esseri umani portati come merce dall’Africa.
Pertanto, è giusto e necessario che questa società, contrassegnata da un governo la cui politica interna opera per esercitare il dominio su minoranze generalmente povere e prigioniere delle loro contraddizioni di classe, insorga con forza, indignazione e volontà di distruzione terrorizzando i detentori del potere. Non dovremmo essere sorpresi dai livelli di violenza raggiunti in una società già violenta, dove le armi sono a portata di mano, dove 340 milioni di armi da fuoco circolano nel Paese, dove il secondo emendamento ribadisce il diritto di trasportarle, lo stesso emendamento che rappresenta il pilastro per esercitare importanti pressioni politiche e finanziarie, pressioni che nessun candidato presidenziale americano ha mai osato ignorare.
Vedere milioni di persone che marciano per la difesa della vita, condannando i crimini d’odio da parte della polizia che tradizionalmente difende i gruppi di potere negli Stati Uniti. Osservare e ascoltare lo sdegno della folla che canta il nome della vittima ed esige giustizia, mi rende orgoglioso come essere umano. Ma … solleva anche domande sulla differenza che esiste quando si scende in strada per la morte degli afro-americani assassinati negli ultimi cinque anni,George Floyd, Eric Garner, Alton Sterling, Breonar Taylor, Tamir Rice, Philando Castile, Cedric Chatman , Stephon Clarck, Keith Scott, Emantic Bradford, Vonderrit Myers, Terence Crutcher, Antonio Martin, Freddie Grey. Normal Cooper, Michael Brown, uccisi tra gli altri dalla brutalità della polizia per il colore della loro pelle, e altri esseri umani, provenienti da altre parti del pianeta, che non sono neri, ma sono anch’essi esseri umani, di qualsiasi razza o credo. Una situazione del genere fa nascere in me una sensazione di grande amarezza.
Sento la necessità di interrogarmi sul perché quella rabbia, quell’esplosione sociale per esigere rispetto, non si vede, ad esempio, per lo Yemen attaccato dalla monarchia saudita, per la Siria, attaccata da gruppi terroristici e per la Palestina, dove l’assassino è vestito con un’uniforme dell’esercito occupante, mosso da un’ideologia criminale che usurpa e colonizza una terra che non gli appartiene, così come riconosciuto dalle risoluzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite attraverso il suo Consiglio di Sicurezza e la sua Assemblea Generale.
Un usurpatore che, sotto il segno dei miti fondanti e deliranti del sionismo, uccide, stermina, distrugge, perché si considera il popolo eletto, designato tale da un dio che avrebbe loro concesso di possedere una terra senza dover esibire alcun titolo di proprietà e che su quella base considera chiunque non professi la sua religione o non appartenga al presunto status di popolo ebraico, un goy, e quindi una specie di subumano, contro il quale è possibile compiere le atrocità più barbare, sebbene il sionismo in senso stretto sia un’ideologia atea ma … tutto vale se favorisce l’espansione, inclusa la rivendicazione di una credenza.
La morte di George Floyd a Minneapolis, nel Minnesota, ha mobilitato un Paese, cittadini di altri continenti e gran parte dei media per rendere conto di questo omicidio – per nulla strano o accidentale – con una diffusione urbi et orbi delle notizie sulle rivolte negli Stati Uniti. Cosa ha fatto sì che questo crimine, causato da una tecnica di soffocamento praticata dalla polizia americana, abbia generato queste mobilitazioni? Lo chiedo nel senso che non è stato un evento isolato, atti del genere fanno normalmente parte del panorama repressivo negli Stati Uniti. Situazioni simili sono state frequentemente adottate contro la comunità nera della nazione nordamericana.
Forse la causa deve essere trovata nel fatto che gli agnelli non desiderano più far la parte degli animali macellati. O forse questa amministrazione, guidata da un megalomane suprematista, ha ormai stancato gran parte degli americani, che devono anche affrontare la pandemia di COVID-19, che ha già causato 1.800.000 infetti e 110.000 morti. Una malattia, che insieme alla crisi sanitaria comporta una grave crisi economica, con 41 milioni di cittadini che chiedono sussidi di disoccupazione. Tutto ciò, oltre a un governo incentrato primariamente sul blocco e sulle sanzione verso altri Paesi, la pianificazione di invasioni contro il Venezuela, la persecuzione degli immigrati, le guerre commerciali con la Cina e la violazione dei suoi accordi internazionali, come è accaduto con il cosiddetto Piano d’Azione Comune globale o l’accordo nucleare con l’Iran. Può essere…
Spiego la mia amarezza attraverso alcuni esempi. E uso il concetto di sopraffazione e tristezza, perché un paio di giorni dopo l’assassinio di George Floyd, a 12 mila chilometri a est attraverso l’Atlantico, il 29 maggio, in un piccolo villaggio della Cisgiordania nella Palestina occupata, un ragazzo palestinese di 32 anni, Iyad al Halak, autistico, è stato ucciso a sangue freddo da un soldato sionista, sulla strada verso il suo centro educativo. Colpi sparati con impunità da soldati israeliani, che hanno giustificato la loro azione sostenendo che un pacchetto tenuto in mano da Iyad sembrava un’arma che avrebbe potuto essere usata contro di loro.
Il ministro della guerra israeliano Benny Gantz si è scusato per il “deplorevole errore” affermando che ci sarebbe stata un’indagine, ma due giorni dopo l’omicidio, il criminale coinvolto è stato rilasciato. Lo stesso giorno, nel villaggio di Nabi Saleh, vicino alla città di Ramallah in Cisgiordania, anche il 41enne Fadi Samara è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco da soldati israeliani mentre guidava attraverso il villaggio. A corollario di quell’azione criminale, un ragazzo palestinese con sindrome di Down è stato ferito senza motivo. Due settimane prima, il quindicenne Zaid Fadl Qasya era stato ucciso dopo essere stato colpito alla testa dalle truppe occupanti nel campo profughi di Al-Fawar nelle vicinanze di Al-Jalil, a sud di Al-Quds ( Gerusalemme) nella Cisgiordania occupata.
Il 6 febbraio di quest’anno, quattro giovani palestinesi sono stati uccisi nella città di Jenin per mano dei soldati israeliani, che generalmente sparano alla testa delle loro vittime. Yazan Abu, un ragazzo di 19 anni, è stato colpito da un proiettile mentre protestava per la demolizione di una casa. A pochi metri di distanza, anche un membro delle forze di sicurezza palestinesi, il 25enne Tarek Badwane, è stato colpito da un proiettile. Il 7 febbraio, ad Al-Jalil, l’adolescente diciassettenne Mohammad Salman Tama al-Hadad è stato trovato morto colpito al cuore da un soldato sionista, dopo che era stato detenuto insieme ad altri quattordici giovani. Il 23 febbraio, nella Striscia di Gaza, il giovane Mohammad al-Naem, 27 anni, dopo essere stato ucciso con un proiettile alla testa, è stato sfregiato appendendo il suo corpo alle lame di una escavatrice israeliana.
Nel 2019, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, 149 sono stati i figli e le figlie della terra palestinese uccisi dai criminali soldati sionisti e dalla polizia. Del totale, 12 erano donne e 32 bambini di età inferiore a 14 anni. Aggiungete a questa strage la perversità del regime israeliano, che non ha ancora consegnato alle famiglie i corpi di 306 martiri palestinesi assassinati nel corso degli anni. Secondo un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), nel 2018 sono stati uccisi trecento palestinesi e ne sono stati feriti 29.718. Questi numeri sono stati i più alti dall’attacco a Gaza nel 2014, quando le forze sioniste, nel quadro di quella che chiamarono “Operazione Bordo Protettivo” dall’8 luglio al 26 agosto uccisero indiscriminatamente 2.310 palestinesi e ne ferirono 1.062 invadendo e bombardando l’enclave costiera via terra, mare e aria.
Come esempio della disparità di forze, l’assalto a Gaza provocò la morte di 66 soldati sionisti e di cinque civili. Non vi è alcuna possibilità di parlare di guerra o di equilibrio delle forze, quando la potenza occupante possiede carri armati, artiglieria, aeroplani, navi da guerra, sottomarini, droni, armi nucleari contro pietre e dignità. Quello che succede in Palestina è uno sterminio, è il lavoro di annientamento di una popolazione per mano di un’entità criminale razzista, anch’essa , come la nazione dei suprematisti WASP, costruita sul sangue e sulle ossa di una popolazione nativa, sopra le macerie delle città e dei villaggi palestinesi da cui furono espulsi i suoi abitanti, dall’estremismo sionista con il suo Plan Dalet e le successive guerre di annientamento contro la Palestina. Un piano di sterminio che non si ferma.
La Palestina ha migliaia di George Floyd, quello che è successo contro il cittadino americano a Minneapolis è pane quotidiano per i palestinesi. È la normalità, ciò che viene vissuto giorno dopo giorno in quelle terre millenarie in cui i palestinesi, siano essi bambini, giovani e vecchi, sono sottoposti dalle forze di occupazione a procedure simili a quelle utilizzate dalle forze di polizia americane. Soffocano fisicamente le persone, ma strangolano anche la terra palestinese: economicamente, socialmente, nella vita di tutti i giorni. Questa condotta criminale fa parte delle principali linee d’azione della politica sionista, sia a livello regionale che mondiale, al contempo cercando, con tutti i mezzi a sua disposizione, di rendere invisibili i crimini commessi contro il popolo palestinese, crimini perpetrati attraverso un processo di occupazione, colonizzazione e sterminio.
Per concretizzare questa strategia criminale, i sionisti usano il sostegno degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali, che conferiscono loro l’impunità politica non approvando risoluzioni vincolanti che condannino questi crimini, grazie soprattutto al diritto di veto che Stati Uniti,Francia e Gran Bretagna possiedono all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un fondamentale sostegno politico rafforzato da quei grandi media internazionali che sono nelle mani di gruppi editoriali i cui proprietari rappresentano una parte costituente del sionismo. Conseguentemente, il modo di trattare le informazioni, di farle conoscere, di analizzarle e trasmetterle fanno chiaramente parte della strategia di manipolazione dei media, di cui l’Hasbara è parte integrante.
Così come a Minneapolis la brutalità della polizia ha stancato la popolazione e ha permesso di mostrare al mondo che il razzismo e la violenza della polizia non possono più essere accettati, così constatiamo la passività del mondo, il silenzio brutale sulle tecniche di soffocamento adottate verso esseri umani disarmati, l’impunità, la cecità e il non sentire il grido di aiuto da parte di un intero popolo che vive sotto l’occupazione e la colonizzazione sionista, la più criminale di quest’ultimo periodo storico. Un Paese dove sono stati creati due campi di concentramento in cui la popolazione palestinese è ammassata: Gaza e la Cisgiordania. Laddove gli insediamenti sionisti in Cisgiordania significano invasione di orde terroristiche, suprematisti armati fino ai denti, razzisti che ogni giorno esercitano violenza contro il popolo palestinese. Azioni brutali e vergognose che proprio come quelle brutali e vergognose della polizia americana su neri e latini non possono essere accettate o normalizzate. Non dobbiamo accettare che i crimini sionisti in Palestina vengano normalizzati .
Solo in questo modo saremo finalmente in grado di sollevarci nelle città americane e in tutte le parti del mondo, per gridare con tutte le forze della storia “Niente più sionismo!” E se sarà necessario bruciare nel fuoco ogni simbolo di quel regime brutale, allora sarà fatto. Un regime che potrebbe essere chiamato nazionalsionismo, un regime che deve essere combattuto con tutte le forme di lotta. Ogni giorno c’è un George Floyd in Palestina e la vergogna è che tutti noi non siamo ancora insorti con indignazione, ira, rabbia, con la volontà di eliminare il sionismo, portarli nei tribunali internazionali e processarli per i loro crimini, come è stato fatto contro i nazisti a Norimberga, o davanti al tribunale penale internazionale istituito a Tokyo per giudicare le atrocità giapponesi in Estremo Oriente. O quello contro i crimini in Ruanda. Tutto quel gruppo di politici, militari, polizia, coloni, sionisti, che hanno violato i diritti del popolo palestinese, dovrebbero addormentarsi pensando che l’indomani svegliandosi potrebbero dover rispondere dei loro crimini.
Oggi milioni di persone piangono per l’omicidio del cittadino americano George Floyd e questo è giusto e necessario. Ma dobbiamo anche piangere e rendere giustizia per le migliaia e migliaia di assassinati palestinesi, uomini, donne, bambini e anziani massacrati a Deir Yassin e ad Ein Al Zeitune. Nella Striscia di Gaza e ad Al-Quds, ad Al-Jalil e a Jenin. Ad Ariha e a Beit Jala. A Tulkarem e a Beth Lehem. Dobbiamo piangere e rendere giustizia per le case distrutte, demolite, per le case e le terre separate da un muro di segregazione. Per coloro che non possono tornare nella loro terra. Per quelli uccisi dai cecchini su quella barriera che separa la Striscia di Gaza dalla Palestina storica.
Per coloro che dieci anni fa sono stati uccisi dalle truppe d’assalto israeliane sulla Mavi Marmara, flottiglia di libertà. Per coloro che giorno dopo giorno vengono soffocati nelle carceri sioniste.
È vero, la Palestina ha milioni di George Floyd, sono come il pane quotidiano, lo vivono quotidianamente. Dovremmo finalmente alzarci in tutto il mondo, dire basta e iniziare a marciare fino a quando non espelleremo quell’erba cattiva, quell’ideologia perversa, coloro che antepongono i loro privilegi alla vita e ai diritti di milioni di esseri umani.
Pablo Jofré Leal è giornalista e scrittore cileno. Analista internazionale con un Master in Relazioni internazionali presso l’Università Complutense di Madrid. Specialista in tematiche riguardanti l’America Latina, l’Asia occidentale e il Maghreb. Collabora a diverse reti di notizie internazionali.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schaivitù” –Invictapalestina.org