La lobby israeliana vede il movimento “Black Lives Matter” come una grande minaccia strategica.

I gruppi della lobby israeliana hanno da tempo visto il movimento Black Lives Matter come una minaccia al sostegno verso Israele.

Fonte: English Version

Ali Abunimah  – 8 giugno 2020

Immagine di copertina: Gruppi della lobby israeliana hanno da tempo visto il movimento Black Lives Matter come una minaccia e hanno cercato sia di interromperlo, che di cooptarlo. (Nicola MarfisiAvalon.red)

Mentre sulla scia dell’omicidio di George Floyd da parte della  polizia di Minneapolis le proteste spazzano il mondo, gruppi della lobby israeliana stanno cercando di unirsi al movimento Black Lives Matter pur continuando a sostenere  il razzismo israeliano.

Mentre alcuni stanno provando a saltare sul carro dell’anti-razzismo, altri se ne allontanano completamente adottando fini sottigliezze.

Morton Klein, capo dell’Organizzazione Sionista d’America, ha richiesto che il Southern Poverty Law Center, un’organizzazione per i diritti civili, “inserisca  immediatamente Black Lives Matter nella loro lista di gruppi che incitano all’odio”.

“BLM è un gruppo di pericolosi estremisti neri conservatori finanziati da Soros che incita all’odio, odio verso i bianchi, odio verso gli israeliani e che promuove la violenza ” ha affermato Klein su Twitter.

Il tweet di Klein non è solo contro i neri, ma è anche antisemita , promuovendo la diffusa calunnia di destra che il miliardario ebreo George Soros sarebbe il burattinaio del mondo.

Non è una sorpresa trovare un sionista che promuove tale antisemitismo: la teoria della cospirazione è stata originata da due dei principali consiglieri elettorali del Primo Ministro israeliano.

E nel Regno Unito, il gruppo “Sussex Friends of Israel” non ha potuto nascondere la sua rabbia per il fatto che a Bristol un gruppo di manifestanti abbia finalmente rimosso la statua di Edward Colston, un noto commerciante di schiavi del 17 ° secolo responsabile della morte di decine di migliaia di africani rapiti dalla loro patria .

Come essere un razzista antirazzista

Ma per la Anti-Defamation League, un grande gruppo di lobby israeliane che si maschera da organizzazione per i diritti civili,  l’equilibrismo è ancora più difficile.

Nel contesto americano, molti gruppi di lobby israeliane vogliono apparire progressisti e antirazzisti, anche se – come organizzazioni sioniste – sono profondamente razziste contro i palestinesi.

Il sionismo è razzismo, perché crede che gli ebrei di qualsiasi parte del mondo abbiano il diritto di stabilirsi nella storica Palestina e di mantenervi uno Stato a maggioranza ebraica che vince su qualsiasi diritto del popolo palestinese indigeno.

Questa pretesa superiorità è sancita dalla legge costituzionale israeliana.

Praticamente tutte le persone che si identificano come sioniste si oppongono al ritorno dei rifugiati palestinesi nelle case da cui sono stati espulsi, solo ed esclusivamente perché non sono ebrei.

I sionisti sostengono che i palestinesi, semplicemente  per essere nati e per continuare a vivere nella loro patria, costituiscono una “minaccia demografica” per Israele.

L’ADL condivide questa esecrabile visione sostenendo che ai rifugiati palestinesi non dovrebbe essere permesso di tornare nelle loro case perché “un afflusso di milioni di palestinesi in Israele costituirebbe una minaccia alla sua sicurezza nazionale e sconvolgerebbe la struttura demografica del Paese”.

L’ADL, inoltre, ha una lunga  storia di sostegno  alla supremazia bianca: negli anni ’80, il gruppo spiò gli attivisti anti-apartheid statunitensi per conto del regime razzista del Sudafrica.

Apparire come alleati

I gruppi della lobby israeliana hanno da tempo visto il movimento Black Lives Matter come una minaccia al sostegno verso Israele.

Il campanello d’allarme cominciò a suonare nel 2016, quando il Movement for Black Lives, una coalizione di dozzine di organizzazioni, appoggiò la richiesta palestinese di boicottare Israele.

Tuttavia, valutando la situazione attuale, la Lega Anti-Diffamazione e gruppi simili stanno lavorando duramente per cooptare il BLM, piuttosto che condannarlo apertamente.

Perfino AIPAC, il potente gruppo di lobby israeliano di Capitol Hill, è entrato in azione, twittando che sulla scia dell’uccisione di Floyd, “il flagello del razzismo, dell’intolleranza e della disuguaglianza deve finire”.

Nei giorni scorsi, il feed Twitter della Lega Anti-Diffamazione ha fornito un sostenuto flusso di sostegno alle proteste, chiedendo la fine della violenza della polizia e auspicando delle “riforme”.

L’ADL sta compiendo uno sforzo concordato per apparire come un alleato.

Tuttavia, mentre sollecita la gente a pronunciare i nomi delle vittime della violenza razzista della polizia americana, l’ADL rimane consapevolmente silenziosa sulle innumerevoli vittime palestinesi della violenza militare e poliziesca israeliana, come la recente uccisione di Iyad Hallaq, un ragazzo  autistico che nonostante implorasse per la sua vita è stato ucciso mentre con la sua care-giver stava andando alla sua scuola di educazione speciale nella Gerusalemme est occupata.

L’uccisione di Hallaq è stata così eclatante e terribile, anche per gli standard israeliani, che il governo israeliano  si è ipocritamente scusato e l’ambasciatore americano in Israele ha espresso il suo rammarico.

Paura e disprezzo  per Black Lives Matter

La messaggistica di ADL a favore di un cambiamento  fa parte di una strategia delineata dai gruppi di pressione israeliani negli ultimi anni per prevenire la crescente solidarietà tra attivisti per i diritti dei palestinesi e gli attivisti anti-razzismo, in particolare dall’insurrezione di Ferguson del 2014 scatenata dall’uccisione dell’adolescente nero Michael Brown, sempre da parte della polizia

La scorsa settimana, l’American Jewish Committee, un importante gruppo di lobby israeliano, si è lamentato del fatto che “il tuo punto di vista su Israele è quasi diventato una cartina di tornasole per stabilire se sei abbastanza progressista”.

Ma questa è una preoccupazione di lunga data per i gruppi di pressione israeliani che si sono progressivamente visti esaurire il sostegno.

Nel 2017 è trapelato un rapporto scritto dall’ADL e dal Reut Institute, un influente think tank israeliano, che lamentava il modo in cui gli attivisti sono stati “in grado di inquadrare con successo la lotta palestinese contro Israele come parte della lotta di altre minoranze come gli afroamericani, i latinos e la comunità LGBTQ. ”

Il rapporto raccomandava ai gruppi sionisti di tentare di interrompere questa dinamica “Collaborando con comunità di minoranze basate su valori condivisi e interessi comuni come la riforma della giustizia penale, i diritti di immigrazione o nella lotta contro il razzismo e i crimini di odio”.

E l’anno scorso, il Reut Institute e il Jewish Council for Public Affairs, con sede negli Stati Uniti, hanno pubblicato un altro rapporto che consigliava ai gruppi di pressione israeliani come dividere la sinistra in modo da indebolire i crescenti legami di solidarietà con i Palestinesi.

Tale rapporto si concentrava in particolare sulla percepita minaccia dell’intersezionalità.

Il termine intersezionalità è stato coniato nel 1989 dalla studiosa femminista nera Kimberlé Crenshaw per spiegare come gli individui o le comunità sperimentino sistemi di oppressione sovrapposti basati su genere, razza, etnia e altri fattori socioeconomici.

Il rapporto avvertiva che l’intersezionalità “mina le agende delle comunità ebraiche, incluso il sostegno allo Stato di Israele”.

L’intersezionalità è diventata un principio guida per gli organizzatori, per costruire coalizioni più potenti  nel combattere la supremazia bianca, la detenzione di massa, la violenza della polizia, la disuguaglianza economica e le politiche anti-immigrazione.

Il rapporto ha notato con sgomento che l’attacco di Israele a Gaza del 2014, che uccise più di 2.200 palestinesi tra cui 550 bambini, era coinciso con la rivolta di Ferguson, nel Missouri.

Ciò generò forti espressioni di solidarietà, simboleggiate dall’hashtag  #Palestine2Ferguson.

La rivolta di Ferguson del 2014 è stata, secondo il rapporto, “un punto di riferimento strategico nell’evoluzione delle agende anti-israeliane all’interno degli spazi intersezionali”.

Ora, il Jewish Council on Public Affairs sta  mettendo in pratica il suo stesso consiglio: la scorsa settimana ha rilasciato una dichiarazione insieme ad altri gruppi ebrei impegnandosi a sostenere le comunità nere per “promuovere  cambiamenti radicali nell’applicazione della legge e porre fine al razzismo sistemico”.

Tuttavia, lungi dal sostenere i movimenti antirazzisti, il Jewish Council on Public Affairs considera antisemita il movimento per i diritti dei palestinesi.

Ha infatti sostenuto la legislazione repressiva per cercare di fermare la crescita del BDS – il movimento non violento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni per i diritti dei palestinesi che si ispira alla riuscita campagna globale  che contribuì a porre fine all’apartheid in Sudafrica.

L’Anti-Defamation League non è più credibile come partner contro il razzismo, in particolare contro la brutalità della polizia americana.

È stato infatti uno dei principali attori nel portare la polizia degli Stati Uniti in “visita” in Israele per addestramenti congiunti contro il terrorismo.

Questo è diventato un obiettivo centrale della campagna Deadly Exchange che mira a porre fine ai legami tra le forze di repressione degli Stati Uniti e quelle israeliane.

Sostegno alla violenza della polizia

Un esempio notevole dei valori condivisi dall’occupazione militare e di polizia israeliana e americana è arrivato sulla scia dell’orrendo attacco  a Martin Gugino, un attivista per la pace di 75 anni a Buffalo, New York.

Due agenti di polizia sono stati accusati del reato di aggressione.

Il video mostra come  giovedì notte Gugino sia stato bruscamente spintonato dalla polizia antisommossa, che l’ha fatto cadere a terra battendo la testa, sotto la quale si è allargata una larga macchia di sangue.

Il dipartimento di polizia di Buffalo inizialmente aveva dichiarato che  Gugino era semplicemente “inciampato, cadendo “.

Da sabato, Gugino è in ospedale in gravi condizioni.

Il Buffalo News ha chiesto a diversi “esperti” cosa ne pensassero dell’incidente.

Maria Haberfeld, professoressa al John Jay College of Criminal Justice di New York City ed ex membro dell’esercito israeliano e della polizia nazionale israeliana, ha giustificato l’aggressione.

“Sono molto delusa dal fatto che gli agenti siano stati sospesi, molto, molto delusa”, ha detto.

“L’età in sé non ti dà l’immunità”, ha aggiunto Haberfeld, “chiunque, da un adolescente a un anziano, può potenzialmente fare del male”.

Haberfeld si vanta di aver “fornito addestramento alla leadership di un certo numero di agenzie di polizia”.

L’atteggiamento secondo il quale l’intera popolazione è una minaccia militare da affrontare con forza brutale, ha da tempo unito le élite americane e israeliane.

È uno status quo che i gruppi di pressione israeliani hanno rafforzato per decenni. Il razzismo passato e presente della lobby sionista non può essere cancellato con alcuni tweet a sostegno di Black Lives Matter.

Tattiche spietate

Israele e la sua lobby hanno anche dimostrato che laddove la cooptazione di Black Lives Matter non ha successo, sono pronti a usare le stesse tattiche prevaricatrici da tempo schierate contro il movimento di solidarietà palestinese.

Nel 2018, il documentario sotto copertura “The Lobby – USA” , svelato da Al Jazeera, , rivelò come il governo israeliano e la sua lobby  stavano lavorando per distruggere il movimento Black Lives Matter in rappresaglia per la solidarietà dei neri con la Palestina.

I filmati sotto copertura mostrano un ufficiale israeliano che si lamenta del “problema” di Black Lives Matter.

Ha anche rivelato come The Israel Project, un’organizzazione ormai defunta,  avesse lavorato dietro le quinte per ottenere che una raccolta fondi a favore di Black Lives Matter in una discoteca di New York City, fosse cancellata.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org

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