La Palestina è un tema di primo piano delle Nazioni Unite dal 1949 ed è stata oggetto di almeno settecento risoluzioni, ma questo significa che l’ONU ce l’ha con Israele come molti dei suoi sostenitori affermano?
Di Kathryn Shihadah – 5 Agosto 2020
Il governo degli Stati Uniti ha forti legami con Israele, e in nessun luogo è più evidente che nelle sale delle Nazioni Unite. L’ex ambasciatore degli Stati Uniti all’ONU, Nikki Haley, una volta ha affermato: “Da nessuna parte il fallimento delle Nazioni Unite è stato più coerente e più oltraggioso del suo pregiudizio contro il nostro stretto alleato Israele”.
Infatti, dal 1949, tale Stato è stato oggetto di centinaia di risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quasi tutte critiche di Israele, “la potenza occupante”. Ogni anno l’agenda dell’Assemblea Generale include una dozzina o più discussioni sull’ingiustizia israeliana nei confronti dei palestinesi, ma raramente è il contrario.
Molti sostenitori di Israele concordano con Haley che questo indica una tendenza anti-israeliana o addirittura antisemita nelle Nazioni Unite. La Lega Anti-Diffamazione (Anti-defamation League – ADL) suggerisce che “gli stati arabi membri dell’ONU hanno usato l’Assemblea Generale come un forum per isolare e castigare Israele”. L’ADL ipotizza che le “nazioni del terzo mondo” aggiungano i loro voti a quelli degli stati arabi ostili per approvare misure contro Israele. Questa analisi è sia inverosimile che antistorica.
L’AGENDA DELLE NAZIONI UNITE
I temi trattati nell’Assemblea Generale non emergono da avversioni personali, ma dalle priorità delle Nazioni Unite e dai fatti geopolitici. Le Nazioni Unite si impegnano a promuovere la crescita economica, mantenere la pace, sostenere i paesi in via di sviluppo e promuovere i diritti umani, la giustizia e il diritto internazionale. Gli argomenti all’ordine del giorno dell’Assemblea generale riguardano questioni complesse. La maggior parte degli argomenti viene rivista automaticamente ogni anno fino a quando non vengono risolti; occasionalmente, ne viene aggiunto uno nuovo, oppure uno viene eliminato o accorpato ad un altro.
Le risoluzioni non derivano da sentenze o opinioni, ma da testimonianze oculari basate sui fatti, molte delle quali richieste dall’ONU. Esperti e membri dei comitati delle Nazioni Unite contribuiscono regolarmente a relazioni accuratamente documentate. A partire dalla fine degli anni ’60, ad esempio, le Nazioni Unite hanno approvato risoluzioni riguardanti il Sudafrica, chiedendo la fine dell’apartheid e incoraggiando tutti i paesi amanti della giustizia a boicottare, sanzionare e isolare il paese. Gli Stati membri dell’ONU hanno sostenuto a stragrande maggioranza gli sforzi per porre fine all’apartheid, non per un pregiudizio anti-sudafricano, ma per una passione per la giustizia. L’argomento: Politiche di apartheid del governo del Sudafrica, è stato ridiscusso anno dopo anno fino al 1994, quando il problema è stato risolto.
Israele, d’altra parte, non ha apportato nessuno dei cambiamenti richiesti dalla comunità internazionale. Sebbene non sorprenda che i paesi arabi sostengano la Palestina alle Nazioni Unite, non sono abbastanza numerosi per realizzare qualcosa autonomamente. Gli Stati membri di tutto il mondo votano a favore di risoluzioni che censurano Israele: i delegati esaminano i fatti e le raccomandazioni e decidono se sono convincenti.
Il fatto che l’Assemblea Generale approvi una dozzina o più di risoluzioni che affrontano la questione palestinese ogni anno non deve essere imputato a un pregiudizio contro Israele (o gli ebrei), ma all’enorme portata e alla lunga storia del problema. La situazione palestinese è stata una priorità dell’organizzazione per decenni ed è cresciuta nella portata, non solo perché il numero di palestinesi è cresciuto, ma perché la brutalità di Israele si è intensificata.
Vale la pena prendersi del tempo per rintracciare le radici della presunta preoccupazione dell’Assemblea Generale nei confronti della Palestina e determinare se è dannosa o costruttiva.
1948: I RIFUGIATI E L’UNRWA
Almeno 750.000 palestinesi sono fuggiti o sono stati esiliati dalle loro case e villaggi quando lo stato di Israele è stato istituito nel 1948 sul 78% della Palestina storica. Le Nazioni Unite hanno approvato una risoluzione che esprime la loro aspettativa che i rifugiati possano tornare. Israele ha rifiutato di ottemperare.
Nel 1949, l’ONU creò l’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), conferendole il mandato di prendersi cura di quei rifugiati e di aiutarli a tornare in patria. E poiché i profughi palestinesi dal 1948 sono ancora in esilio, l’UNRWA è ancora attiva, fornendo assistenza sanitaria, istruzione e servizi sociali alla popolazione di rifugiati dei territori palestinesi.
Ogni anno, dal 1952, l’UNRWA ha riferito all’Assemblea Generale sul suo operato ed è stata incaricata, tramite risoluzione, di proseguire i suoi sforzi. 67 risoluzioni in 67 anni in attesa che Israele garantisca ai rifugiati il diritto al ritorno. Ogni anno alcuni palestinesi lasciano i campi profughi ed emigrano nei paesi di tutto il mondo, ma la maggioranza rimane, o perché non possono permettersi di andarsene, o nella speranza di tornare in patria. Il numero dei rifugiati è cresciuto da 750.000 a circa 3 milioni, e i costi per l’UNRWA sono aumentati in modo esponenziale.
Nel 1970, l’Assemblea Generale ha creato il Gruppo di lavoro sul finanziamento dell’UNRWA per affrontare la crisi finanziaria dell’Agenzia. Da allora, ogni anno, il gruppo di lavoro ha perseguito nuove modalità per finanziare il lavoro dell’UNRWA e ha prodotto una relazione sui suoi sforzi; ogni anno, l’ONU approva una risoluzione per la continuazione di questi sforzi: 49 anni, 49 risoluzioni.
I RIFUGIATI DEL 1967
Circa 200.000 palestinesi furono sfollati durante la cosiddetta guerra dei sei giorni nel giugno del 1967 (alcuni di questi erano già stati sfollati nel 1948) quando Israele occupò ciò che era rimasto della Palestina. Ancora una volta, Israele rifiuta di lasciarli tornare.
Nel 1983, l’Assemblea Generale iniziò ad affrontare la questione individualmente, chiedendo che non solo i rifugiati del 1948 (#Nakba), ma anche quelli del 1967 (#Naksa), potessero tornare. Poiché Israele ha fermamente rifiutato di dare loro questo diritto, l’argomento: “Persone sfollate a seguito delle ostilità del giugno 1967” e successive, ha portato a risoluzioni annuali dal 1975, 44 anni di fila.
INSEDIAMENTI: IL FURTO DELLA TERRA
Non appena Israele iniziò la sua occupazione nel 1967, cominciò a costruire insediamenti, gruppi di cittadini israeliani vivevano illegalmente in terra palestinese. In un altro affronto alla giustizia e al diritto internazionale, la costruzione di insediamenti include la demolizione di interi villaggi palestinesi, la confisca delle proprietà palestinesi e l’espulsione dei palestinesi. Nel 1972, il Comitato Speciale di Indagine sulle Pratiche Israeliane Riguardanti i Diritti Umani della Popolazione dei Territori Occupati (Special Committee to Investigate Israeli Practices Affecting the Human Rights of the Population of the Occupied Territories) aveva portato questo argomento all’attenzione dell’Assemblea Generale, che iniziò a seguire la costruzione di insediamenti israeliani approvando risoluzioni che condannano la pratica, chiedendo al Comitato Speciale di dare seguito a 47 risoluzioni in 47 anni. (Fino al 2019, gli Stati Uniti hanno concordato con il resto del mondo che questi insediamenti sono illegali.)
Poiché Israele ha costantemente ignorato le richieste delle Nazioni Unite, almeno 600.000 israeliani vivono ora illegalmente nei territori palestinesi, compresa Gerusalemme est.
VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI
Anche il Comitato Speciale delle Nazioni Unite per le Indagini sulle procedure israeliane che violano i diritti umani del popolo palestinese sta lottando per i diritti dei palestinesi. Il comitato è stato costituito nel 1968 per affrontare specificamente le violazioni di Israele del diritto umanitario internazionale e del diritto internazionale in materia di diritti umani, sorte in seguito all’occupazione.
Ogni anno, il Comitato conduce una missione conoscitiva nella regione, e ogni anno, il governo israeliano si rifiuta di partecipare o addirittura di permettere ai membri di entrare nei territori palestinesi occupati. Attraverso indagini, ricerche indipendenti e interviste con membri delle commissioni competenti delle Nazioni Unite e autorevoli ONG, il Comitato redige un rapporto in linea con il loro mandato. Vari gruppi utilizzano questi rapporti per svolgere attività di sostegno.
Ogni anno, dal 1971, l’Assemblea Generale ha approvato una risoluzione che incarica il Comitato di continuare il suo prezioso lavoro. Sono 48 le risoluzioni in 48 anni.
DIRITTI INALIENABILI
Nel 1975, l’Assemblea Generale era “seriamente preoccupata” per il fatto che ai rifugiati palestinesi mancavano ancora i loro inalienabili diritti all’autodeterminazione, alla sovranità e alla possibilità di tornare in patria. L’organismo ha dichiarato:
“Le Nazioni Unite hanno una responsabilità permanente rispetto alla questione della Palestina fino a quando la questione non sarà risolta in tutti i suoi aspetti in modo soddisfacente secondo la legittimità internazionale”.
L’Assemblea Generale ha creato il Comitato per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese (Committee on the Exercise of the Inalienable Rights of the Palestinian People) nella speranza di trovare una soluzione.
A partire dal 1976, e ogni anno da allora, il Comitato ha collaborato con altre organizzazioni in tutto il mondo che stanno sostenendo una soluzione equa. Hanno riferito ogni anno, e ogni anno l’Assemblea Generale ha approvato una risoluzione, 43 in totale, riconoscendo il lavoro e autorizzandolo a proseguire.
AUTODETERMINAZIONE
Anche il Comitato sociale, umanitario e culturale delle Nazioni Unite (UN Social, Humanitarian, and Cultural Committee) ha affrontato la questione palestinese, ponendo l’accento sullo “sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni, basate sul rispetto del principio della parità di diritti e dell’autodeterminazione dei popoli”. Questo comitato opera e riferisce dal 1995; ogni anno, l’Assemblea Generale approva una risoluzione che riafferma questi sforzi: 24 risoluzioni in 24 anni.
FURTO DI RISORSE NATURALI
A partire dal luglio 1996, l’Assemblea generale si è unita alla Commissione Economica e Sociale delle Nazioni Unite per l’Asia Occidentale (UN Economic and Social Commission for Western Asia) per evidenziare (tra l’altro) l’impatto devastante degli insediamenti israeliani sull’accesso dei palestinesi alle proprie risorse naturali.
Per anni, il governo israeliano e i coloni illegali hanno confiscato o distrutto terreni agricoli e frutteti, condotte idriche e reti fognarie e hanno deviato i corsi d’acqua dalle città palestinesi agli insediamenti illegali.
Il Comitato per la Sovranità Permanente sulle Risorse Naturali ( Permanent Sovereignty over Natural Resources Committee) traccia e riferisce queste azioni nel tentativo di ritenere Israele responsabile per lo sfruttamento e la distruzione delle risorse naturali palestinesi.
Israele si è rifiutato di intraprendere azioni adeguate. L’Assemblea Generale ha quindi continuato ad approvare risoluzioni per mantenere il Comitato in carica, 23 risoluzioni in 23 anni.
LA CITTÀ SANTA DI GERUSALEMME
Sin dal 1947, prima che lo Stato di Israele venisse istituito sulla terra palestinese, Gerusalemme è stata un punto focale delle Nazioni Unite. La risoluzione 181 ha dichiarato:
“La città di Gerusalemme sarà considerata come un “corpus separatum” sotto uno speciale statuto internazionale e sarà amministrata dalle Nazioni Unite”.
A sostegno della richiesta di Israele per l’adesione all’ONU, il delegato israeliano Abba Eban ha assicurato all’Assemblea Generale che lo stato ebraico era d’accordo con la Risoluzione 181.
Negli ultimi settant’anni, Israele non ha mai rispettato il piano delle Nazioni Unite. Israele controllava gran parte della città a partire dal 1948 e ufficialmente, e illegalmente, annetteva il restante territorio nel 1980, un atto che le Nazioni Unite hanno ritenuto “senza valore giuridico” (ma che l’attuale amministrazione statunitense sostiene).
Il tema di Gerusalemme è emerso in 38 sessioni e risoluzioni dell’Assemblea Generale mentre l’organismo ha tentato ripetutamente di esercitare pressioni su Israele affinché si sottomettesse al diritto internazionale e alle dichiarazioni delle Nazioni Unite, nonché alle stesse promesse di Israele.
ISRAELE HA CREATO UNA CRISI ECONOMICA
Il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (Economic and Social Council of United Nations works with) collabora con vari organismi delle Nazioni Unite per identificare “le ripercussioni economiche e sociali dell’occupazione israeliana sulle condizioni di vita del popolo palestinese” operando per oltre quattro decenni per coordinare e fornire l’assistenza necessaria. Di conseguenza, il tema “Assistenza al popolo palestinese” ha generato 40 risoluzioni.
L’ONU COME DEMISTIFICATRICE
Come l’Assemblea Generale ha constatato, anno dopo anno, l’impunità di Israele per gravi violazioni dei diritti umani, l’organismo si è rivolto al Dipartimento della Pubblica Informazione delle Nazioni Unite (UN Department of Public Information – DPI) per aumentare la pressione. Il DPI era stato istituito nel 1946, “per promuovere la consapevolezza globale e la comprensione del lavoro delle Nazioni Unite e creare sostegno per la pace, lo sviluppo e i diritti umani per tutti.
L’Assemblea Generale ha incaricato il DPI di stabilire uno stretto contatto con i media, organizzare conferenze e incontri con le ONG, pubblicare aggiornamenti e articoli e organizzare viaggi per i giornalisti “al fine di aumentare la consapevolezza dei fatti relativi alla questione della Palestina”. Ogni anno dal 1996, l’Assemblea Generale ha approvato risoluzioni che rinnovano il mandato del DPI, 23 anni consecutivi.
Lo sforzo potrebbe essere ripagato nell’unico paese che sta più risolutamente dalla parte di Israele: i sondaggi stanno iniziando a indicare che gli americani stanno diventando meno favorevoli a Israele e alle politiche del governo degli Stati Uniti che favoriscono lo “Stato ebraico”.
I NUMERI PARLANO CHIARO
La Palestina è un argomento importante alle Nazioni Unite dal 1949 ed è stata oggetto di almeno settecento risoluzioni, di cui solo una parte è esposta qui.
L’elenco delle commissioni e dei gruppi di lavoro che si occupano della questione palestinese è lungo. L’Assemblea Generale trascorre infatti molto tempo a discutere e dibattere questo argomento. Il loro operato attesta non una cultura anti-israeliana o antisemita nelle Nazioni Unite, ma la tenacia di questo organismo globale, e la spudorata belligeranza di Israele.
Dimostra inoltre che gli Stati Uniti rimangono uno dei pochi alleati di questo stato canaglia. Finché questo non cambierà, non c’è motivo di aspettarsi che il comportamento di Israele migliorerà.
Kathryn Shihadah scrive per MintPress News e If Americans Knew. Parla regolarmente dell’ingiustizia e della demonizzazione che i palestinesi affrontano nelle mani di Israele con complicità dagli Stati Uniti, in particolare al pubblico cristiano. Kathryn vive in Medio Oriente da dieci anni e ha viaggiato molto. Scrive su PalestineHome.org
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org