Israele ha distorto le sue leggi e contorto la sua politica per proteggere l’occupazione. Gli accordi con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein non creeranno la pace
Fonte: English Version
Raja Shehadeh – 17 settembre 2020
Immagine di copertina: Palestinesi e soldati israeliani durante le proteste contro l’accordo tra Israele e Emirati Arabi Uniti nella città di Hebron in Cisgiordania, settembre 2020. Fotografia: Abed Al Hashlamoun / EPA
Più di un quarto di secolo dopo che Yitzhak Rabin e Yasser Arafat si sono stretti la mano sul prato della Casa Bianca, Israele è riuscita a trasformare la sua occupazione del territorio palestinese da un peso a una risorsa. Quella che per tanto tempo è stata una responsabilità – la flagrante violazione del diritto internazionale – è ora diventata una merce preziosa. Comprendere questo sviluppo è la chiave per spiegare perché gli israeliani stanno facendo la pace con due lontani stati del Golfo ma non con i loro vicini più prossimi, i palestinesi – senza i quali non ci può essere una vera pace.
Israele ha imparato negli ultimi anni come gestire l’occupazione in perpetuo con costi minimi. Ma sin dall’inizio dell’occupazione, nel giugno 1967, Israele non ha voluto riconoscere la nazione palestinese o cedere il controllo del territorio palestinese occupato per fare la pace.
Le prove a sostegno di questa affermazione si trovano facilmente negli archivi di Israele. Due giorni dopo l’inizio dell’occupazione, Israele approvò l’ordine militare numero tre, che si riferiva alla quarta convenzione di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra, imponendo ai tribunali militari di applicare ai loro procedimenti le disposizioni della convenzione. Quattro mesi dopo, questa parte dell’ordine venne cancellata.
Nel settembre 1967, il Primo Ministro Levi Eshkol chiese al consulente legale del Ministero degli Esteri israeliano, Theodor Meron, se la costruzione di nuovi insediamenti nei Territori Occupati violasse la convenzione di Ginevra, che vieta a una potenza occupante di trasferire i suoi civili nel territorio conquistato in guerra. Meron rispose affermativamente. Ma il suo parere venne ignorato e il governo da quel momento procedette a stabilire insediamenti ebraici illegali nei territori palestinesi occupati.
Nei mesi successivi, Israele iniziò un processo che sarebbe continuato per molti anni: emendare le leggi che governavano la terra palestinese – risalenti al periodo ottomano, al mandato britannico e al controllo giordano del territorio – per costruire una falsa base “legale” per l’acquisizione della terra e delle altre risorse naturali per la creazione di insediamenti ebraici.
Ho trascorso gran parte della mia vita lavorativa, dal 1979 al 1993, indagando e resistendo agli abusi della legge di Israele nei Territori Occupati, e mettendo in guardia sulle implicazioni della costruzione di insediamenti illegali: tutto inutilmente.
Eppure non sono state solo le trasformazioni legali che hanno permesso la costruzione e il fiorire degli insediamenti. Il pensatore militante sionista Vladimir Jabotinsky aveva scritto, negli anni ’20, che “gli insediamenti possono … svilupparsi sotto la protezione di una forza che non dipende dalla popolazione locale costretta dietro un muro di ferro che non sarà in grado di abbattere”. E così è stato.
C’era una componente aggiuntiva alla trasformazione delle leggi per consentire il progetto di insediamento e quella era la pura violenza da parte dei coloni: azioni da vigilantes che sembravano andare contro la legge che Israele aveva emanato e a cui si era legato. All’inizio degli anni ’80 Al-Haq, un’organizzazione per i diritti umani con sede in Cisgiordania che io allora dirigevo, ha lavorato duramente per documentare gli episodi di violenza dei coloni.
All’epoca credevamo ingenuamente che se solo gli israeliani avessero saputo cosa stava succedendo e di come le forze dell’ordine fossero incapaci di fermarlo, avrebbero preso provvedimenti per impedirlo. Non sapevamo che faceva tutto parte della lotta israeliana per la terra. Gli agenti disciplinati dello Stato devono rimanere entro i confini delle loro leggi riscritte, mentre i coloni indisciplinati fanno il lavoro di intimidazione e di violenza per raggiungere l’obiettivo desiderato. Fa tutto parte dello stesso schema.
Dall’inizio della pandemia di coronavirus, la violenza dei coloni in Cisgiordania è diventata un evento quasi quotidiano. È tutto allo scoperto e il governo e i tribunali condividono la stessa linea nel sostenere i coloni e nel lavorare per raggiungere l’obiettivo di una grande Israele.
Mentre infuria la violenza dei coloni ebrei contro i palestinesi – impedendo ai palestinesi di lavorare la loro terra o di usarla come propria, senza alcun vero tentativo da parte dell’esercito o della polizia israeliana di impedirlo – Israele dichiara che qualsiasi resistenza palestinese all’occupazione è terrorismo.
Quando i palestinesi iniziarono a organizzare una resistenza non violenta all’occupazione, Israele ridefinì gli attacchi dell’esercito contro questi manifestanti disarmati per ricondurli alla categoria delle “operazioni di combattimento”. Di recente, gli abitanti del villaggio di Kafr Qaddum hanno organizzato manifestazioni settimanali contro il blocco di una strada, che impediva l’accesso al loro villaggio perché si sosteneva che attraversasse una nuova parte dell’insediamento di Kedumim. L’esercito ha piazzato esplosivi sulle strade utilizzate dagli abitanti del villaggio, ma i soldati che hanno attuato questa decisione saranno immuni da procedimenti giudiziari per eventuali feriti tra gli abitanti del villaggio.
Con tutte queste “vittorie” da parte di Israele, il Paese ha ora deciso che può gestire l’occupazione piuttosto che porvi fine. L’occupazione ha iniziato persino a essere vista come una risorsa. Israele ha trasformato i Territori Occupati in un laboratorio per testare armi e sistemi di sorveglianza. Gli israeliani ora commercializzano le loro armi per il controllo della folla e i loro sistemi di sicurezza nazionale negli Stati Uniti, sulla base dei test nei Territori Occupati. Eppure tutto questo investimento finanziario nell’occupazione – e tutto lo stravolgimento delle leggi nazionali per proteggere il progetto di insediamento illegale, tutte le contorsioni politiche per coltivare alleati autoritari, da Trump a Orbán a Bolsonaro – sta facendo marcire Israele dall’interno, trasformandolo in un Stato di apartheid che governa su milioni di palestinesi senza diritti.
Nel romanzo di Arundhati Roy il Ministro della Massima Felicità, Musa, uno dei suoi personaggi, dice che se i Kashmiri non sono riusciti a ottenere l’indipendenza dall’India, almeno lottando per ottenerla hanno smascherato la corruzione del sistema indiano. Musa dice al narratore del libro, un indiano: “Non ci stai distruggendo. Siete voi stessi che vi state distruggendo. ” I palestinesi oggi potrebbero dire lo stesso della nostra lotta con Israele.
Raja Shehadeh è uno scrittore e avvocato palestinese. Il suo ultimo libro è “Going Home: A Walk Through Fifty Years of Occupation”
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org