Khalida Jarrar contrabbanda una lettera per Palestine Writes

La prigioniera politica Khalida Jarrar condivide il ruolo essenziale che la letteratura gioca per i prigionieri palestinesi che lottano per mantenere la loro umanità e rimanere connessi al mondo esterno.

Fonte: English Version

Khalida Jarrar – 9 dicembre 2020

Immagine di copertina: Khalida Jarrar (Photo: Samidoun)

Nota del redattore: la seguente lettera è stata condivisa durante il keynote panel del Palestine Writers Literature Festival.  Qui la registrazione video del keynote panel e qui la nostra intervista con due degli organizzatori del festival per il podcast Mondoweiss.

Dal carcere israeliano di Damon, situato sulla cima del monte Carmelo ad Haifa, vi invio i saluti da parte mia e delle mie 40 compagne palestinesi combattenti per la libertà nelle prigioni israeliane. Inviamo il nostro saluto e il dovuto rispetto a tutti gli scrittori, studiosi, intellettuali e artisti che dicono la verità e chiedono libertà e giustizia per tutti e che difendono il diritto del popolo all’autodeterminazione e ad opporsi alla dominazione colonialista e razzista.

In quest’occasione consentitemi di inviare il nostro saluto e sostegno anche a tutti gli scrittori, studiosi, intellettuali e artisti arabi che rifiutano la normalizzazione con il sistema del colonialismo di insediamento israeliano e che non accettano gli accordi di normalizzazione di Emirati, Bahrein e Sudan con l’entità sionista. È una posizione come questa che rappresenta i veri legami tra il nostro popolo e il mondo arabo e rende interiormente più forti noi detenuti. Benché siamo tenuti fisicamente prigionieri dietro a cancelli e sbarre, le nostre anime rimangono libere e fluttuano nei cieli della Palestina e del mondo. Indipendentemente dalla durezza delle pratiche dell’occupazione israeliana e dell’imposizione di misure punitive, la nostra voce libera continuerà a parlare apertamente a favore del nostro popolo che ha sofferto terribili catastrofi, espulsioni, occupazione e arresti. Continuerà anche a far sapere al mondo la forte volontà palestinese, che rifiuterà senza sosta e sfiderà il colonialismo in tutte le sue forme. Lavoriamo per instaurare e rafforzare i valori umani e cerchiamo di ottenere la liberazione sociale ed economica che unisce i popoli liberi del mondo.

Salutiamo i partecipanti a questo dibattito conclusivo: la compagna Angela Davis, la collega e amica Hanan Ashrawi, Richard Falk, la cara Susan Abulhawa e Bill V. Mullen.

Riguardo al nostro contributo a questa conferenza, vorremmo cercare di portarvi le nostre esperienze attuali con la letteratura e la cultura mentre siamo nelle prigioni israeliane. L’elemento più importante a questo proposito sono i libri. Essi costituiscono le fondamenta della vita in carcere. Conservano l’equilibrio psicologico e morale dei combattenti per la libertà che vedono la propria detenzione come parte della resistenza generale contro l’occupazione colonialista della Palestina. I libri giocano anche un ruolo in ogni lotta individuale del carcerato tra lui e le autorità carcerarie. In altre parole, la lotta diventa una sfida per i prigionieri palestinesi in quanto i carcerieri cercano di spogliarci della nostra umanità e di tenerci isolati dal resto del mondo. La sfida dei detenuti è trasformare la nostra incarcerazione in una condizione di “rivoluzione culturale” attraverso la lettura, l’educazione e il dibattito letterario.

I detenuti politici palestinesi devono affrontare molti ostacoli per poter avere accesso ai libri. Per esempio, quando sono portati da un membro della famiglia talvolta essi non ci arrivano in quanto vengono sottoposti a meccanismi di stretto controllo e sequestri. In teoria a ogni carcerata è concesso di ricevere due libri al mese. Tuttavia questi libri sono soggetti a “esami di controllo” in cui, il più delle volte, sono rifiutati dall’amministrazione penitenziaria con il pretesto che si tratta di libri che incitano all’odio. Privare i detenuti della possibilità di avere libri viene utilizzato come punizione quando ai carcerati viene vietato di riceverli per due o tre mesi, come mi è capitato nel 2017.

Anche la modesta biblioteca a disposizione dei prigionieri è soggetta a continue ispezioni in quanto le guardie carcerarie confiscano qualunque libro che possa essere stato portato dentro il carcere senza che lo sapessero. Ciò obbliga i detenuti a inventarsi sistemi creativi per proteggere i libri che probabilmente potrebbero essere sequestrati. Impedire che i libri vengano presi dalle autorità della prigione costituisce uno degli impegni più importanti per i prigionieri.

In questa prospettiva, le prigioniere palestinesi sono riuscite nonostante le rigide costrizioni, a procurarsi una serie di grandi libri. Ad esempio, oltre ad alcuni libri di filosofia e storia, molti dei libri di Ghassan Kanfani, Ibrahim Nasr-Allah e le opere di Suzan Abu-Alhawa  sono stati tra quelli che consultati e studiati con successo dai prigionieri. Il romanzo di Maxim Gorky “La madre” è diventato un conforto per le donne prigioniere che sono private dell’amore materno. Le opere di Domitila Chúngara, Abd-Arahman Munif, Al-Taher Wattar, Ahlam Mustaghanmi, Mahmoud Darwish, “Le quaranta regole dell’amore” di Elif Shafak, “Les Miserable” di Victor Hugo, Nawal El Saadawi, Sahar Khalifeh, Edward Said, Angela Davis e i libri di Albert Camus sono tutti tra i libri più apprezzati che hanno evitato le ispezioni e sono stati contrabbandati con successo.

Tuttavia, libri come “Scritto sotto la forca” di Julius Fučík e “Quaderni dal carcere” di Antonio Gramsci non sono mai riusciti a sfuggire alle misure e alle restrizioni dei carcerieri. In effetti, nessuno dei libri di Gramsci è stato ammesso nelle carceri a causa di quella che sembra essere una posizione molto ostile delle autorità di occupazione nei confronti di Gramsci.

I libri che vengono venduti  nelle librerie di tutto il mondo sono soggetti a censura e confisca da parte delle autorità carcerarie di occupazione israeliane se tentiamo di accedervi: i vostri libri qui vengono arrestati come avviene al nostro popolo.

Parte positiva delle nostre vite: alcuni libri scritti da prigionieri nelle carceri, uno dei quali parla della esperienza di incarcerazione e di interrogatorio nelle prigioni israeliane, intitolato “You are Not Alone”, sono riusciti ad arrivare di nascosto fino a noi. Quello che sto cercando di dire, cari artisti e scrittori, è che i vostri libri  venduti nelle librerie di tutto il mondo sono sottoposti a persecuzione e confisca da parte delle autorità carcerarie dell’occupazione israeliana se tentiamo di accedervi: i vostri libri qui vengono arrestati come avviene al nostro popolo.

La disponibilità di libri non è l’unica lotta che devono affrontare i prigionieri palestinesi nelle prigioni israeliane. Cercherò di darvi una rapida immagine delle nostre vite, ma ricordate che il nostro Desiderio richiede da noi di rimanere forti come l’acciaio.

Le autorità carcerarie israeliane impongono giornalmente misure oppressive, come dimostrano l’applicazione di politiche di separazione attraverso l’isolamento. Ci privano anche delle visite dei familiari, vietano l’ingresso a libri di cultura e letteratura e proibiscono assolutamente i libri scolastici. Vietano anche di cantare in qualunque modo. Sono vietate sia canzoni rivoluzionarie che non impegnate.

Inoltre non ci viene consentito di  possedere niente più dell’unica radio a nostra disposizione. La radio è un’importante fonte di informazione che ci tiene legate con l’esterno diffondendo le notizie dal mondo. Ma per noi la radio è più di questo… È uno strumento che ci mette in comunicazione con le nostre famiglie ed amici, in quanto essi chiamano e inviano messaggi attraverso vari programmi radiofonici palestinesi.

Le autorità carcerarie israeliane non ci consentono neppure una qualunque forma di assemblea o riunione. Puniscono in continuazione le carcerate riducendo i prodotti che possono essere ottenuti allo “spaccio”, l’unico “negozio” a disposizione.

Le prigioniere vengono continuamente sorvegliate attraverso il controllo delle telecamere di sicurezza che circondano ogni angolo della prigione, compreso il piazzale (Al-Forah). Questo spazio è dove alle prigioniere viene concesso di stare all’aria aperta per cinque ore al giorno non consecutive. fuori dalle loro celle e senza finestre con le sbarre. Anche le nostre stanze sono sottoposte a ispezioni severe e provocatorie ad ogni ora del giorno e della notte alla ricerca di qualunque pezzo di carta con scritto sopra qualcosa. Potete immaginare quanto sia stato difficile per me farvi arrivare questo messaggio.

Quanto sopra ed altro ci obbliga ad architettare sistemi per contrastare queste prassi. Alcuni dettagli e oggetti possono sembrare banali fuori dalla prigione, ma hanno una grande importanza per noi prigioniere. Per esempio, penne e carta sono importanti, e i libri sono considerati un tesoro. Tutto questo costituisce uno strumento utilizzato come parte della nostra sopravvivenza e lotta contro l’occupazione, ed anche per il nostro miglioramento.

La nostra lotta per la liberazione all’interno delle carceri inizia con la protezione della letteratura della resistenza.

Come aspetto positivo abbiamo scoperto che molte prigioniere, soprattutto quelle che scontano una condanna pesante , nonostante le difficoltà menzionate hanno arricchito la letteratura pubblicando romanzi, che spero attireranno l’attenzione degli scrittori arabi e internazionali. In aggiunta il movimento dei carcerati ha pubblicato alcuni studi e ricerche che fanno luce sulla situazione delle condizioni delle prigioni israeliane. Io stessa nel 2016, mentre ero in prigione, ho condotto uno studio sulla “Condizione delle prigioniere nelle prigioni israeliane”. Esso si concentra sugli effetti e le violazioni contro donne e minori palestinesi rinchiusi nelle prigioni. Nel 2019 ho preparato un altro documento, “Educazione nelle prigioni israeliane”, pubblicato nel libro di Ramzy Baroud su educazione e detenute intitolato “Queste catene saranno spezzate”.

Sfortunatamente, a causa del mio attuale nuovo arresto, non ho visto la versione pubblicata del libro. Nel documento citato ho presentato gli ostacoli che la formazione deve affrontare in prigione, uno dei quali è l’insistenza israeliana nell’impedirci di portare avanti un qualunque percorso formativo in carcere. Il loro intento è chiaramente isolare i detenuti, donne e uomini, e spezzarci, trasformandoci in individui senza speranza e senza progetti per un futuro dignitoso. D’altra parte i prigionieri fanno il possibile per contrastare i tentativi delle autorità carcerarie  con nuovi sistemi creativi per conquistarsi il diritto alla formazione.

Ora stiamo cercando di iniziare l’educazione universitaria per il primo ciclo di detenute, come seconda fase della nostra lotta per rivendicare il diritto alla formazione. Ciò segnerà la prima volta nella storia in cui detenute palestinesi, soprattutto quelle con pesanti condanne, saranno in grado di ottenere un titolo universitario in carcere. Su questo aspetto nel prossimo futuro sarà disponibile un aggiornamento, che  riguarderà anche le difficoltà incontrate.

Una parte del programma di formazione universitaria si basa sull’integrazione di esperienze educative palestinesi, arabe e internazionali attraverso la letteratura della resistenza. Il programma includerà anche ricerche e studi scientifici alla nostra portata, nel tentativo di approfondire le capacità di analisi delle detenute e di identificare le loro aspirazioni per il futuro.

Questa iniziativa intende stimolare e rafforzare l’autostima delle detenute incoraggiandole a considerare la prigione come un luogo per lo sviluppo creativo, culturale e umano. Speriamo che l’iniziativa rafforzi le convinzioni e capacità delle carcerate di creare un cambiamento nella società una volta che verranno liberate.

Questa iniziativa intende contribuire alla complessiva lotta di liberazione contro l’apartheid israeliano e la disparità di genere, rafforzando le detenute per favorire la loro educazione e il loro ingresso nel mondo del lavoro quando saranno rilasciate.

Voglio sottolineare che durante la preparazione di questa dichiarazione abbiamo tenuto due sessioni per detenute iscritte all’università. I due corsi di formazione erano rispettivamente in inglese e in arabo.

Ciò che ha suscitato la mia attenzione è stato che, durante il primo corso in inglese, ho chiesto che ogni detenuta compilasse una simulazione di domanda per l’università specificando il campo di studi che intende seguire. Vorrei condividere alcune delle richieste che ho ricevuto:

Shorouq: detenuta di Gerusalemme condannata a 16 anni e che finora ne ha scontati 6. È stata arrestata mentre frequentava la specializzazione in “Turismo” all’università di Betlemme. Il sogno di Shorouq è diventare guida turistica. Ha scelto la specializzazione in turismo perché vuole sensibilizzare il mondo sui luoghi storici in Palestina. È particolarmente interessata ad accompagnare visite a Gerusalemme a causa di annessione, furto, violazioni e stravolgimento del paesaggio continuamente imposti alla città dall’occupazione israeliana.

Maysoun: detenuta di Betlemme condannata a 15 anni di prigione e che ne ha scontati finora 6. È stata arrestata mentre frequentava una specializzazione in letteratura all’università. Maysoun è un’accanita lettrice anche in prigione. Ama la letteratura. Descrive la letteratura come un metodo per costruirsi un futuro. Secondo lei la letteratura richiede che il lettore pensi e si ponga molte domande relative a un particolare argomento sollevato dal romanzo o dall’opera letteraria in questione. Pensa che ciò porti a un pensiero critico e allo sviluppo culturale.

Ruba: Ruba è una studentessa al terzo anno di sociologia che frequentava l’università di Birzeit. È stata arrestata tre mesi fa ed è ancora in attesa di giudizio. Ruba desidera ed è pronta a continuare i suoi studi al suo rilascio. Secondo lei la ragione per cui ha scelto sociologia come specializzazione è lo sviluppo della sua formazione universitaria e analitica sulle strutture sociali e di classe nella società e sul loro impatto sulle donne.

Nel mio tentativo di comprendere i motivi che stanno dietro le aspirazioni e i sogni di queste donne ho deciso di discutere con loro i problemi in modo più approfondito. Ho scoperto che il comune denominatore tra loro è la ribellione contro l’oppressione e le limitazioni imposte, un deciso rifiuto delle politiche dell’occupazione per impedire l’educazione delle prigioniere, una forza interiore per sfidare il controllo utilizzato contro le detenute inteso ad isolarle e trasformarle in donne disperate senza sogni o progetti per il futuro.

Altri motivi includono la resistenza contro il progetto dell’occupazione di cancellare l’identità e la storia palestinesi. Queste donne vogliono anche rompere con professioni stereotipate e di genere che la società destina alle donne. Per questo scelgono specializzazioni come turismo, letteratura, sociologia e teoria critica.

Per il secondo corso in lingua araba ci siamo concentrate sull’autobiografia e abbiamo lavorato sui diversi metodi per stilare un’autobiografia. Le detenute sono state divise in gruppi che hanno discusso diverse biografie, tra cui quella della dirigente sindacale e femminista boliviana Domitila Chúngara, “Chiedo la parola”, che parla delle esperienze e delle lotte dei minatori in Bolivia. Inoltre abbiamo studiato le biografie e autobiografie di affermati scrittori arabi come “Al-Ayyam” [Il libro dei giorni, Zanzibar, 1999, ndtr.] di Taha Hussein [scrittore egiziano, ndtr.] e “I Was Born There, I Was Born Here” [Sono nato là, sono nato qua] di Mourid Barghouti [scrittore palestinese, ndtr.].

Il corso ha incluso anche un’analisi di testi letterari come quello del poeta palestinese Mahmoud Darwish intitolato “Incertezza del ritornato”, che è un discorso fatto da Darwish all’università di Birzeit durante i festeggiamenti per la liberazione del sud del Libano nel 2000.

I corsi di formazione, le presentazioni e discussioni hanno arricchito la consapevolezza delle detenute e le hanno incoraggiate a continuare a leggere libri e romanzi. Abbiamo trasformato la prigione in una scuola di cultura in cui le carcerate apprendono altre esperienze e in cui annulliamo i tentativi dell’occupazione di isolarci dal resto del mondo.

In conclusione, la nostra lotta per la liberazione dentro le carceri inizia con la protezione della letteratura di resistenza. Facciamo giungere le nostre voci e storie mentre le scriviamo in circostanze molto difficili. Quando siamo incarcerate il prezzo che paghiamo a volte è pesante, soprattutto quando la nostra punizione sono l’isolamento o il divieto delle visite dei familiari.

Un caso emblematico è il prezzo pagato dal detenuto Waleed Daqa, messo in isolamento per aver fatto uscire clandestinamente dalla prigione il suo romanzo perché venisse pubblicato. Ciò costituisce un’ulteriore sfida che dobbiamo affrontare nel contesto dei “Due Desideri”, quella dei combattenti per la libertà e quella dei colonizzatori, come espresso dalla combattente per la libertà Domitila Chúngara in “Chiedo la parola”.

Anche noi, donne palestinesi prigioniere diciamo “lasciateci parlare… lasciateci sognare… lasciateci sentire libere!” Grazie per avermi ascoltata e per avermi dato la possibilità di partecipare a questa conferenza.

Khalida Jarrar*, prigioniera politica, Prigione di Damon, 17 ottobre 2020.

*Khalida Jarrar è una femminista, comunista ed attivista per i diritti umani palestinese. Rappresenta il partito marxista Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina nel Consiglio Legislativo Palestinese, ovvero il parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese. Vive a Ramallah ma è dal luglio 2015 che continua a subire detenzioni amministrative, senza imputazione e senza condanna, da Israele. Oggi è una delle centinaia di prigioniere politiche palestinesi ed è incarcerata nella Prigione di Damon

 

Trad: Lorenzo Poli “siamo realisti, esigiamo l’impossibile” – Invictapalestina.org

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Protected by WP Anti Spam