La pandemia COVID-19 ha peggiorato una situazione già disastrosa per gli oltre 1,5 milioni di rifugiati siriani attualmente residenti in Libano.
Fonte: English Version
Refik Hodzic – 26 gennaio 2021
Immagine di copertina: rifugiati siriani recuperano effetti personali dai rottami dei loro rifugi in un campo incendiato durante la notte nella città libanese settentrionale di Bhanine il 27 dicembre 2020 [File: Ibrahim Chaloub / AFP]
Il 18 gennaio, la situazione dei diritti umani in Libano è stata esaminata dal Gruppo di Lavoro di Revisione Periodica del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Prima della sessione, il governo del Libano aveva presentato un rapporto all’UNHRC sui progressi compiuti nell’affrontare le carenze e gli insuccessi identificati dal gruppo di lavoro nella sua precedente valutazione del 2015. Nel rapporto di 27 pagine che copre una varietà di diritti umani correlati, c’era anche una sezione dedicata ai diritti degli oltre 1,5 milioni di rifugiati siriani che il Libano sta attualmente ospitando. Oltre a fornire informazioni sul quadro legale e amministrativo che utilizza per regolare la presenza di cittadini siriani in Libano, il governo libanese ha detto molto poco in questo rapporto sulle difficoltà che i rifugiati siriani stanno attualmente affrontando nel paese.
In tre paragrafi brevi e aridi, il governo ha spiegato che sta lavorando con i partner internazionali per soddisfare i “crescenti bisogni umanitari” di questi rifugiati e ha espresso preoccupazione per il “rischio di una diminuzione” dei finanziamenti internazionali destinati ai programmi volti a sostenere le loro condizioni di vita . Tuttavia, non ha nemmeno menzionato le brutali discriminazioni, la disumanizzazione e le violenze a cui i rifugiati siriani in Libano sono regolarmente sottoposti impunemente.
Il 27 dicembre 2020, ad esempio, un gruppo di uomini libanesi ha appiccato il fuoco a un insediamento informale di rifugiati vicino alla città di Bhanine, nella regione settentrionale di Miniyeh. Le fiamme hanno dilaniato le tende che ospitavano circa 370 rifugiati siriani, tra cui dozzine di bambini, lasciandoli senza riparo o beni in pieno inverno. Anche un certo numero di rifugiati ha subito ustioni a seguito dell’attacco.
Il violento attacco al campo di Bhannine, purtroppo, non è stato una sorpresa per chiunque abbia familiarità con la difficile situazione dei rifugiati siriani in Libano. Sebbene abbia fatto notizia in tutto il mondo a causa della portata della distruzione causata, è stato solo l’ultimo di una serie di incidenti simili. In effetti, a causa della disumanizzazione sistematica dei rifugiati siriani nei media libanesi e nel discorso politico, in questi giorni anche le più piccole controversie tra siriani e locali spesso sfociano in violenze.
I politici e i media libanesi hanno a lungo incolpato i rifugiati siriani per la miriade di problemi sociali, politici ed economici del Libano. Ma poiché la pandemia COVID-19 e la disastrosa esplosione del porto di Beirut hanno aumentato le pressioni sullo stato, la diffamazione dei rifugiati siriani ha acquisito ulteriore forza, con conseguenze disastrose. Sono stati falsamente accusati dell’incapacità del governo di fermare la diffusione del virus e di tenere sotto controllo la crescente crisi economica e sono diventati bersaglio della rabbia pubblica.
Le autorità locali hanno anche utilizzato la pandemia per raddoppiare i loro sforzi per isolare i rifugiati siriani dalla comunità più ampia. Almeno 21 municipalità libanesi hanno introdotto restrizioni ai rifugiati siriani che non si applicano ai cittadini libanesi. In alcune aree, i divieti di movimento e di assembramenti sono stati imposti ai siriani prima ancora che fossero estesi ai libanesi. Poiché gli insediamenti informali di rifugiati sono stati sottoposti al coprifuoco, più personale di sicurezza è stato dispiegato in queste aree per sorvegliare la vita quotidiana dei rifugiati.
Queste pratiche discriminatorie non solo hanno creato la falsa impressione che i rifugiati abbiano maggiori probabilità di diffondere il virus, aumentando i sentimenti anti-rifugiati nel paese, ma hanno anche limitato la capacità dei rifugiati di accedere alla maggior parte dei servizi sanitari di base nel mezzo di un’emergenza sanitaria pubblica . Nei primi giorni della pandemia, le organizzazioni della società civile che forniscono servizi sanitari ai rifugiati siriani hanno segnalato un forte calo del numero di persone che visitano le loro cliniche a causa del rigoroso coprifuoco e delle restrizioni ai movimenti.
L’accesso all’assistenza sanitaria è diventato una tale impossibilità per i rifugiati siriani durante la pandemia che, a novembre, un padre siriano che non era stato in grado di garantire cure mediche alla figlia malata ha cercato di darsi fuoco davanti agli uffici dell’UNHCR a Beirut. Questo è stato tragicamente solo l’ultimo di una lunga lista di autoimmolazioni da parte dei rifugiati siriani nel paese.
Mentre il COVID-19 e le misure discriminatorie introdotte per combatterlo hanno indubbiamente reso la vita più difficile ai rifugiati siriani in Libano, la loro situazione era comunque già disastrosa molto prima dell’inizio della pandemia.
In Libano, la maggior parte dei rifugiati siriani non ha la residenza legale e meno dell’1% ha un permesso di lavoro. Ciò significa che la maggior parte dei siriani in Libano sono indigenti e vivono con la costante paura della detenzione e della deportazione.
La paura della deportazione è ancor più grande per coloro che hanno disertato dall’esercito siriano e sono fuggiti in Libano. Le forze di sicurezza libanesi arrestano sempre più disertori siriani e li consegnano al regime di al-Assad, nonostante tali azioni siano illegali secondo il diritto internazionale. All’inizio di questo mese, ad esempio, un uomo siriano di nome Hussein Jumaa al-Sayyid sarebbe stato arrestato nella città libanese di Baalbek e rapidamente consegnato alle forze di sicurezza siriane.
Sebbene il Libano non sia in grado di deportare tutti i rifugiati siriani che vivono all’interno dei suoi confini a causa dei suoi obblighi umanitari ai sensi del diritto internazionale, sta senza dubbio facendo tutto il possibile per spingere i siriani a lasciare il paese.
Il rifiuto di concedere uno status legale alla stragrande maggioranza dei rifugiati, le misure di controllo discriminatorie del COVID-19, la retorica disumanizzante adottata dalla maggior parte dei media e dei politici, gli ostacoli burocratici che impediscono loro di ottenere permessi e certificati di base, sembrano essere parte di una campagna concertata del governo libanese per rendere la vita dei rifugiati siriani in Libano così miserabile da non lasciare loro altra scelta che tornare nel proprio paese.
A novembre, il regime siriano ha tenuto una conferenza sostenuta dalla Russia sul rientro dei profughi a Damasco. L’Unione Europea, come molte altre nazioni e istituzioni, ha rifiutato di partecipare all’evento dicendo che la situazione in Siria non è sicura per il ritorno. Il Libano, tuttavia, ha inviato un rappresentante e ha apparentemente accettato la posizione del regime di Assad secondo cui la situazione della sicurezza in Siria è migliorata e la maggior parte dei rifugiati può ora tornare in sicurezza. Questa valutazione è, ovviamente, palesemente imprecisa, poiché le detenzioni illegali e le sparizioni forzate continuano a pieno regime in tutto il paese. Ci sono anche continue notizie di torture e arruolamento militare forzato provenienti dal paese.
Assumendo la posizione secondo cui la Siria è ora abbastanza sicura per il ritorno dei rifugiati, il Libano sta mettendo a rischio la vita di milioni di persone. Inoltre, sta creando la percezione che i siriani stiano scegliendo di rimanere in Libano nonostante abbiano una casa sicura in cui tornare. Questo è pericoloso, poiché alimenta i sentimenti anti-rifugiati tra i libanesi e aumenta la possibilità di violenti alterchi tra rifugiati e gente del posto, come quello a cui abbiamo assistito a Miniyeh.
Il 18 gennaio, quando la situazione dei diritti umani in Libano è stata esaminata dall’UNHRC, la difficile condizione dei rifugiati siriani in Libano ha finalmente ricevuto un’attenzione tanto necessaria dalla comunità internazionale. Alcuni governi membri hanno sollevato importanti domande sulla miriade di problemi che devono affrontare i rifugiati e hanno segnalato che faranno pressione sulle autorità libanesi affinché intraprendano azioni costruttive per garantire che questi rifugiati vivano in condizioni accettabili.
Tuttavia, questi stessi Stati avevano già formulato raccomandazioni sulla situazione dei rifugiati siriani durante la precedente revisione – raccomandazioni che sono state in gran parte ignorate dallo Stato libanese.
Se vogliamo che il governo libanese intraprenda passi decisivi per affrontare la terribile situazione dei diritti umani dei rifugiati siriani nel Paese e invertire le sue politiche discriminatorie e talvolta illegali, la comunità internazionale dovrebbe rendere la questione una priorità e subordinare qualsiasi assistenza al Libano al fatto che il governo rispetti i diritti dei rifugiati siriani.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.
Refik Hodzic è un giornalista , regista ed esperto di giustizia di transizione della Bosnia-Erzegovina. Per più di due decadi Hodzic ha lavorato come esperto di comunicazioni strategiche in contesti di giustizia di transizione tra cui l’ex Jugoslavia, Sri Lank,Siria, Libano, Colombia, Tunisia e Timor-Est. È stato Direttore delle comunicazioni del Centro internazionale per la giustizia di transizione e portavoce del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia.
Trad: Grazia Parolari “Tutti gli animali sono moralmente uguali” – Invictapalestina-org