Iyad Alasttal: raccontare Gaza per resistere

 

di Hassina Mechaï, 24 novembre 2019

Fonte: version française

FOTO – Il regista palestinese Iyad Alasttal

Iyad Alasttal è un regista impegnato di Gaza. Originario di Khan Younès, ha realizzato documentari che hanno partecipato e vinto premi in festival in Egitto, Francia, Libano, Gran Bretagna, Italia, Tunisia e in Palestina.

Lavora anche come traduttore con le delegazioni e i giornalisti francesi a Gaza.

Nato durante la prima Intifada, dice di non avere mai conosciuto altro che la colonizzazione e poi il blocco di Gaza. Eppure Iyad Alasttal si considera fortunato. Se la sua famiglia non ha mai lasciato la Palestina, lui è riuscito a uscire grazie all’aiuto della ONG Corsica Palestina che lo ha aiutato a ottenere una borsa di studio universitaria per venire in Corsica all’età di 24 anni a studiare cinema.

Da questo soggiorno, mantiene un francese impeccabile e una visione acuta dell’importanza delle storie e dei racconti in qualsiasi lotta politica.

Di questa passione per l’immagine e il suono Iyad Alasttal ne ha fatto il mezzo per aiutare il suo popolo, Gaza e più in generale la causa palestinese. “Per un gazawi, viaggiare, il solo uscire dal paese, non è facile. In Corsica ho lavorato a un breve documentario su un pescatore corso. Il cinema per me è un passaporto, per viaggiare ma anche e soprattutto per mostrare la situazione di Gaza e della Cisgiordania. È per me un modo per essere utile al mio popolo. Ritengo che ogni palestinese può aiutare in questa lotta con il suo lavoro, il suo modo di vivere, la sua testimonianza” spiega a MEMO mentre, di passaggio a Parigi, ha appena tenuto una serie di incontri pubblici per mostrare il suo lavoro ma soprattutto il vita quotidiana di Gaza e dei suoi abitanti.

Iyar Alasttal, al suo esordio, ha realizzato due straordinari documentari. Il primo segue la vita quotidiana di una donna, Salouah, che guida uno scuolabus a Gaza. “Volevo mostrare un’altra immagine della donna palestinese. Salouah, il personaggio di questo documentario, è indipendente, piena di vita e parla da pari a pari con gli uomini”. Oltre a Salouah, c’è anche Gaza che scorre, i bambini che vanno a scuola in divisa scolastica, la quotidianità nonostante tutto: nonostante il blocco, nonostante le condizioni economiche di vita, nonostante i bombardamenti israeliani.

Il secondo documentario diretto da Iyad Alasttal è stato dedicato a Razan El Najjar, la giovane infermiera uccisa da un cecchino israeliano il 1° giugno 2018, mentre portava soccorso a un ferito durante una delle Marce del ritorno.

Razan El Najjar fu ferita a morte al petto mentre cercava di aiutare l’evacuazione dei palestinesi feriti che manifestavano vicino alla recinzione tra Gaza e Israele. Il giorno successivo, al suo funerale parteciparono diverse migliaia di persone.

Un’indagine preliminare israeliana aveva affermato che “nessun tiro ha deliberatamente o direttamente preso di mira” la giovane donna, mettendo anche in dubbio la realtà del suo ruolo di infermiera volontaria. Tuttavia, le Nazioni Unite a New York pubblicarono un comunicato per esprimere la loro preoccupazione per questo omicidio, sostenendo che Razan al-Najar era “chiaramente indicata come membro dello staff medico” dal suo giubbotto con il segno della Mezzaluna Rossa.

Iyad Alasttal ha così deciso di filmare i genitori della giovane infermiera uccisa all’età di 22 anni. “Ogni venerdì c’erano feriti e morti. Io trasmettevo le informazioni a delle ONG per far conoscere la situazione in loco. Ma con questo assassinio, si doveva fare di più. Decisi di fare questo documentario su Razan e ho iniziato le riprese un mese dopo la sua morte. Ho contattato l’UJFP che ha deciso di unirsi con AFPS e Le Temps de la Palestine per lanciare una sottoscrizione. Non conoscevo Razan prima, ma ho scoperto chi era dopo la sua morte. È stata presa di mira deliberatamente. La metà destra del suo corpo è stata completamente devastata da un proiettile esplosivo. L’esercito israeliano ha usato il pretesto che aveva uno zaino e che si era avvicinata a un ferito. Razan era una civile, volontaria, portava addosso i segni distintivi del PMRS (la sua divisa e il suo tesserino). Il cecchino israeliano poteva vederli chiaramente attraverso il mirino del fucile. Era protetta da convenzioni internazionali. Se non avessi realizzato questo documentario, per me sarebbe stato come essere complice di questo crimine”, spiega.

I genitori della giovane infermiera hanno accettato di testimoniare e accompagnare Iyad Alasttal per presentare il documentario all’estero.

Dallo scorso marzo, un altro progetto occupa Iyad Alasttal: Gaza stories. Gaza Stories è un progetto multimediale palestinese in francese e inglese, che vuole mostrare al resto del mondo la resilienza dei palestinesi di Gaza e come riescono a vivere la quotidianità.

Dal 30 marzo 2019 sono stati realizzati e diffusi più di 50 film attraverso social network e i numerosi sostenitori. Si è formata intorno a Iyad Alasttal una squadra di cineasti e giornalisti gazawi che realizzano film, reportage, documentari e informazioni filmate sulla vita quotidiana e le questioni politiche, economiche, sociali, associative, artistiche e culturali.

Oggi, grazie ai social network, l’informazione viaggia molto velocemente, ma anche la disinformazione o le fake news. La nostra missione è offrire i punti di vista dei palestinesi a Gaza”, spiega Iyad Alasttal.

Gaza Stories propone una storia settimanale, di solito di venerdì. È anche disponibile per tutti i media che desiderano lavorare su Gaza e sulla sua situazione una banca di immagini. “Possiamo fornire immagini ai media. Il nostro obiettivo è stabilire partnership con i media stranieri. Abbiamo contattato media per offrire loro una collaborazione. Abbiamo tutte le competenze umane e tecniche in loco per fare un ottimo lavoro”.

Attraverso questo progetto si va alla scoperta della vita quotidiana di Gaza. Rana, ad esempio: una giovane donna palestinese che, nel cortile della casa di famiglia, scolpisce enormi statue effimere. Suo fratello è stato ferito durante le marce della terra ed è per esorcizzare questo dolore che Rana ha scelto questo mezzo d’espressione.

In un’altra storia, la gente si affretta per fare gli ultimi acquisti di Eid al-Fitr.

Poi c’è la storia di Said e del suo rifugio per animali abbandonati. Ibrahim nel tradizionale abito del mesaharati o cantastorie che percorre Gaza di notte con il suo tamburello. Oum Hani che ci spiega come fare gli atayef e poi ci dà la sua ricetta per il kaak. Risate e giochi per bambini in un parco di divertimenti. La ricca storia di Gaza che Waled conserva e protegge nel suo piccolo museo. Una nuova ricetta, il pollo mandi. Piccoli frammenti della vita quotidiana che fanno memoria di vita, società e cultura vive.

Gaza Stories è nato dal desiderio di mostrare l’altra faccia di Gaza. Tutti pensano che questa terra sia come Tora Bora, distruzione e rovine. Ma è soprattutto 2 milioni di persone che vivono, lavorano, fanno e agiscono. Volevo mostrare la vita quotidiana. Cerco di variare i soggetti per mostrare la vita di un popolo, storie singolari. L’idea è nata da scambi di idee con attivisti francesi. Ho costruito il progetto, cercato il materiale necessario e abbiamo lanciato una raccolta fondi che ci ha aiutato molto. Lavoro con una squadra che cambia. Cerco collaboratori che capiscano la dimensione militante del progetto. Può essere complicato filmare a Gaza: ottenere le autorizzazioni necessarie, che le persone accettino di essere seguite e filmate. Che si sentano a proprio agio davanti alla telecamera. C’è da lavorare sodo. Sono soprattutto le autorizzazioni per filmare che possono risultare complicate da ottenere”, spiega Iyad Alasttal.

Tutta la forza di Gaza stories è nel riuscire a far dimenticare la telecamera. Si vede anche una ragazzina pazza per l’equitazione e che davanti alla sua finestra osserva semplicemente che si è abituata al rombo dei droni israeliani. “I droni israeliani non lasciano mai i cieli di Gaza. È una prigione a cielo chiuso. Il cielo è completamente controllato dall’esercito israeliano”, spiega Iyad. Ci sono anche video di amputati, disabili, sopravvissuti alle marce della terra. Un quotidiano di resilienza e combattimento che per loro prende la forma del continuare a fare sport nonostante l’handicap.

Per il momento, le Gaza stories sono tradotte solo in francese: “Il mio obiettivo è di fare Gaza stories in inglese e francese. Ma in lingua francese c’è carenza di immagini su Gaza, in un certo senso si bilancia”.

Ma Gaza stories normalizzando la vita quotidiana a Gaza non supportano l’idea che la vita a Gaza sia tutto sommato sopportabile, se non addirittura facile? Iyad Alasttal è consapevole di questo rischio. “C’è a Gaza un lato sofferente, ma dobbiamo ricordare che a Gaza c’è anche la vita. Queste sono due realtà. Il mondo intero ha una visione cupa della Palestina. Se vede le sofferenze in Cisgiordania, quelle di Gaza sono dieci volte tanto. Ma c’è anche una resistenza. Esistere è resistere. Questo è ciò che fanno i palestinesi. Tutto è atto di resistenza, il quotidiano e i gesti di vita”.

Forse è per questo che alcuni video di Gaza stories si adoperano a rintracciare la memoria, la storia e le tracce della presenza palestinese. Sia attraverso il saper fare artistico che attraverso i musei, tutto il vigore e la vitalità di una società minacciata di sociocidio è così ricordata dal regista: “Ho realizzato diversi video che mostrano l’importanza della storia. Gazawi che ripercorrono la storia della presenza palestinese su questa terra. Se si osserva la politica israeliana, si vede che cercano di appropriarsi della cultura palestinese, anche mediorientale: cibo, musica, simboli. È anche una grande battaglia culturale ed economica che si sta combattendo. Ecco perché, ad esempio, ho filmato la signora palestinese che preparava dolci tradizionali. Ognuno è custode di una memoria che mantiene viva”.

Iyad Alasttal ne è sicuro, i palestinesi continueranno la loro lotta: “Israele crede che col tempo i palestinesi dimenticheranno e si rassegneranno; ma quello che sta accadendo è il contrario. La lotta e la resistenza si rafforzano. Storicamente altri regimi sono caduti: il muro di Berlino, l’Algeria coloniale, l’apartheid sudafricano. Quello palestinese è un popolo molto istruito e ha il senso della storia”, spiega.

 

Hassina Mechaï è una giornalista franco-algerina che vive a Parigi. Laureata in Diritto e relazioni internazionali, è specializzata in Africa e Medio Oriente. Suoi temi di riflessione sono la governance globale, la società civile e l’opinione pubblica, il soft power mediatico e culturale. Ha lavorato per vari media francesi, africani e arabi, tra cui Le Point, RFI, Afrique magazine, Africa 24, Al Qarra e Respect magazine.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

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