Il contributo delle donne palestinesi alla pace e alla sicurezza

La Giornata internazionale della donna di quest’anno vede la Palestina più ferma nel suo impegno per il contributo delle donne alla pace e alla sicurezza.

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Amal Hamad, ministro degli affari femminili, e Maryse Guimond, rappresentante speciale delle donne delle Nazioni Unite in Palestina – 8 marzo 2021

Immagine di copertina: opera di Manal Deeb

Più di 20 anni fa, è stata adottata all’unanimità la Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su Donne, Pace e Sicurezza, che segna un riconoscimento globale dell’impatto sproporzionato della guerra e dei conflitti sulle donne e del loro ruolo vitale nella costruzione della pace. Da allora, sono state approvate numerose risoluzioni aggiuntive, riaffermando l’urgenza di affrontare le violazioni contro le donne nei conflitti e la loro legittima inclusione in tutti gli aspetti della costruzione della pace. Sebbene sia sede di molti conflitti prolungati, la regione araba deve ancora riconoscere pienamente il particolare impatto del conflitto sulle donne e includerle nella costruzione della pace e dello stato. E lo Stato di Palestina non fa eccezione. Le voci delle donne palestinesi su come hanno vissuto decenni di occupazione e su come porvi fine rimangono in gran parte inascoltate. Tuttavia, questo sta lentamente ma inevitabilmente cambiando.

Il cambiamento è iniziato nel 2016, quando lo Stato di Palestina è diventato il secondo Stato arabo ad adottare un Piano d’Azione Nazionale per trasformare l’agenda globale Donne, Pace e Sicurezza in azioni concrete per aumentare la partecipazione delle donne palestinesi al processo decisionale, alla riconciliazione e agli sforzi per il raggiungimento della pace. Quattro anni dopo, nel 20° anniversario della Risoluzione 1325, lo Stato di Palestina ha adottato il suo secondo Piano d’Azione Nazionale per affermare e consolidare le conquiste delle donne palestinesi nella loro ricerca dell’uguaglianza nel processo decisionale e negli sforzi per la pace. Questo rinnovato impegno, guidato dal Ministry of Women’s Affairs (Ministero degli Affari Femminili) e sostenuto da UN. Women e dal governo norvegese, è giunto in un momento opportuno ma non facile per il popolo palestinese.

Opera di Manal Deeb

A parte l’occupazione israeliana il cui impatto cumulativo nel corso dei decenni ha causato indicibili sofferenze a innumerevoli palestinesi, il COVID-19 si è abbattuto su una popolazione già stremata. Al di là della crisi sanitaria causata dalla pandemia, molti posti di lavoro sono andati perduti e molti programmi di sussistenza sono stati interrotti. I poveri della Palestina sono diventati ancora più poveri. Sebbene ciò abbia colpito l’intera popolazione, il suo impatto è stato particolarmente dannoso per le donne la cui partecipazione economica è concentrata nei settori non ufficiali più colpiti dalla pandemia. In effetti, la pandemia ha reso le disuguaglianze ancora più evidenti e la disuguaglianza di genere interseca tutte le disuguaglianze. Semmai, la pandemia ci ha solo mostrato l’urgenza di attuare in modo significativo la Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il secondo Piano d’Azione Nazionale dello Stato di Palestina è un’occasione per farlo.

Durante il suo primo Piano d’Azione Nazionale incentrato sulla Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, lo Stato di Palestina ha evidenziato con successo il particolare impatto dell’occupazione e del conflitto sulle donne palestinesi. Gli sforzi compiuti durante il secondo allestimento del Piano dovrebbero concentrarsi sull’incremento effettivo della partecipazione paritaria delle donne alla pace e alla sicurezza del loro paese. Ad esempio, aumentare la rappresentanza e la partecipazione delle donne palestinesi nel settore della sicurezza può aiutare a formare istituzioni di sicurezza che siano reattive e rappresentative della società palestinese nel suo insieme, comprese le donne. Allo stesso modo, la partecipazione delle donne nella gestione delle crisi, come la pandemia COVID-19, assicura che gli sforzi di risposta e di recupero affrontino efficacemente le esigenze specifiche di tutti, comprese le donne e le ragazze, e non lascino indietro nessuno. Le donne palestinesi sono già in prima linea nella battaglia contro il COVID-19, sia a casa che nei centri sanitari. Il 70% degli operatori sanitari in prima linea nello Stato di Palestina sono donne, ma solo il 14% del Consiglio dei Ministri è composto da donne.

Le donne palestinesi hanno effettivamente il diritto e l’interesse di partecipare al processo decisionale e alla costruzione della pace; colpisce loro, le loro famiglie e il futuro del loro paese. Ma soprattutto, la ricerca mostra che l’impegno delle donne nei processi di pace e nei colloqui di riconciliazione porta vantaggi sostanziali e aumenta le probabilità di successo dei negoziati. La crescente evidenza ha dimostrato che la partecipazione delle donne ai processi di pace aumenta la durata degli accordi di pace. Quando le donne sono incluse in questi processi, c’è un aumento del 20% nella probabilità che un accordo duri almeno due anni e un aumento del 35% nella probabilità che un accordo duri almeno 15 anni. Inoltre, la partecipazione delle donne alla costruzione della pace aggiunge una gamma più ampia di prospettive e aumenta l’inclusività e la diversità, consentendo così l’integrazione di disposizioni su genere e donne. Tuttavia, in tutto il mondo arabo, solo 32 dei 119 accordi di pace firmati finora includono disposizioni su genere e donne, notevolmente inferiori rispetto all’attuale media globale del 50%. È tempo che la Palestina, che soffre di uno dei conflitti più lunghi al mondo, riconosca finalmente il giusto posto delle donne al tavolo dei negoziati.

Il secondo Piano d’Azione Nazionale arriva anche in un momento in cui i palestinesi sono fiduciosi che lo status quo, segnato da divisioni politiche che hanno solo reso più dura l’occupazione, stia per cambiare. Stanno chiedendo ai loro leader di mettere da parte le divergenze e consentire un nuovo corso che possa finalmente migliorare la vita di tutti, comprese le donne. Questa è un’eccellente opportunità per garantire che la voce dell’altra metà del popolo palestinese venga finalmente ascoltata. L’inclusione delle donne non dovrebbe essere una questione di quote e di statistiche. Le loro preoccupazioni, esigenze, competenze e aspirazioni devono essere considerate in modo che possano aiutare pienamente e ugualmente la transizione della Palestina verso un futuro democratico, inclusivo, unito e pacifico.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org