Le compagnie di social media, tra cui Facebook, hanno ammesso che i post pro-Palestinesi sono stati rimossi, incolpando pretestuosamente “bug tecnici” e “filtri anti-spam”.
Fonte: english version
Di Jessica Buxbaum – 14 Maggio 2021
Foto di copertina: I parenti dell’undicenne Hussain Hamad, ucciso da un attacco aereo israeliano piangonodurante il suo funerale nella casa di famiglia a Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza, l’11 maggio 2021. Khalil Hamra | AP
GERUSALEMME EST OCCUPATA – In un video pubblicato sull’account Twitter dell’organizzazione attivista Jewish Voice for Peace (Voci Ebraiche per la Pace), Muna El-Kurd ha spiegato perché i social media sono così vitali per la causa palestinese.
“Facciamo affidamento sulla lealtà delle persone che sono solidali con noi, persone che twittano #SaveSheikhJarrah ogni giorno”, ha detto Muna El-Kurd. “Anche un breve tweet o post è prezioso.”
"We rely on the honorable people standing in solidarity with us, people who tweet #SaveSheikhJarrah everyday… Even a short tweet or post is a treasure."
– Muna El-Kurd, Palestinian home defenderQuote tweet this with #SaveSheikhJarrah to get the hashtag trending in the US! pic.twitter.com/mY0qc1itFU
— JVP #SaveSheikhJarrah (@jvplive) 7 maggio 2021
Muna El-Kurd e la sua famiglia sono minacciate di sfollamento forzato da parte dei coloni israeliani e delle forze governative israeliane dalla loro casa a Sheikh Jarrah, un quartiere nella Gerusalemme Est occupata. Nell’ultima settimana, i palestinesi sul campo hanno documentato sia la brutalità della polizia israeliana che la violenza dei coloni.
In risposta, il mondo si è schierato online con i difensori palestinesi condividendo informazioni relative a Sheikh Jarrah, alla Moschea di al-Aqsa e alla pulizia etnica perpetrata da Israele in Palestina. Tuttavia, gli attivisti affermano che i loro contenuti sono stati oggetto di censura dalle stesse piattaforme su cui divulgano i contenuti.
Instagram ha disabilitato l’account di Muna El-Kurd la scorsa settimana e suo fratello, Mohammed El-Kurd, si è visto rimuovere molte delle sue pubblicazioni su Instagram ed è stato minacciato di cancellazione dell’account.
Una raffica di rimozioni di contenuti e di divieti
Gli attivisti hanno riferito che le compagnie di social media hanno rimosso il loro contenuto, affermando che violava le linee guida della comunità o ritenendolo “incitamento all’odio”. I rapporti includevano anche account sospesi e disattivati e contenuti di solo testo etichettati come “sensibili”, una designazione solitamente riservata a foto e video contenenti violenza, sangue o immagini forti. Anche il gruppo Facebook “Save Sheikh Jarrah” è stato disattivato, secondo Mohammed El-Kurd.
I rapporti erano in gran parte incentrati su Instagram e Twitter, con alcuni comportamenti restrittivi applicati da Facebook e persino da TikTok.
Instagram just disabled the account of Mona Elkurd, a journalist in Jerusalem and one of the Sheikh Jarrah residents who has been providing daily coverage of what’s been happening.
This happens to be one day before the trial that puts out the final verdict on Sheikh Jarrah. pic.twitter.com/ACIJJlrbly
— هَزار SaveSheikhJarrah# (@hazarwlabgad) 5 maggio 2021
A lot of my IG stories regarding last night’s colonial violence in Sheikh Jarrah have been removed because they were considered “hate speech,” even though most of them featured no writing. I got another notification that my account may be deleted.
— mohammed el-kurd (@m7mdkurd) 6 maggio 2021
I had 10k followers on @tiktok where all I did was speak on social justice issues. All I have been doing is speaking up on Palestine. And about sheikh Jarrah and Gaza but of course silencing Palestinian voices is a priority. pic.twitter.com/Fc9Wk6G49u
— Hebh Jamal (@hebh_jamal) 12 maggio 2021
Durante il fine settimana, non è stato possibile trovare su Instagram hashtag relativi alla Moschea di al-Aqsa, a Sheikh Jarrah e a Gerusalemme.
Secondo le comunicazioni interne dei dipendenti fornite a Buzzfeed, al-Aqsa, il terzo sito più sacro dell’Islam, è stato contrassegnato da Instagram come associato a “violenza o organizzazioni pericolose”. L’etichetta è solitamente riservata ai gruppi terroristici.
Durante gli ultimi giorni del Ramadan, i fedeli di al-Aqsa sono stati attaccati con granate stordenti e proiettili di gomma dalla polizia israeliana in tenuta antisommossa. Più di 170 palestinesi sono rimasti feriti. Gli utenti dei social media che speravano di denunciare la violenza di Stato si sono visti invece rimuovere i propri contenuti dai risultati di ricerca.
Ventiquattro organizzazioni per i diritti umani hanno firmato una dichiarazione chiedendo che Facebook e Twitter ripristinassero gli account interessati e spiegassero le loro azioni:
I contenuti rimossi e gli account sospesi su Instagram e Twitter sono inerenti alla documentazione e segnalazione di ciò che sta accadendo a Sheikh Jarrah, nonché alla denuncia delle politiche israeliane di pulizia etnica, apartheid e persecuzione. Queste violazioni non sono limitate agli utenti palestinesi, ma colpiscono anche gli attivisti di tutto il mondo che utilizzano i social media per sensibilizzare sulla grave situazione a Sheikh Jarrah.
Nadim Nashif, fondatore e Direttore Generale di 7amleh, uno dei firmatari della lettera, ha affermato che l’organizzazione per i diritti digitali ha ricevuto segnalazione di circa 200 casi di censura sui social media relativi ai recenti eventi in Palestina. Tuttavia, ritiene che il numero effettivo potrebbe essere di migliaia, poiché molti utenti che subiscono la censura potrebbero non segnalarlo.
“In realtà, il 99% dei nostri ricorsi per rimozione di contenuti alle aziende di social media è stato accolto, senza che ci siano state domande. E questo è chiaramente perché questi post non violano realmente i loro standard comunitari”, ha detto Nashif. “Quello che fondamentalmente sta accadendo è che l’Unità Cibernetica israeliana sta abusando del sistema della cosiddetta rimozione volontaria.”
Quando è stato raggiunto per un commento, un portavoce di Twitter ha dichiarato: “I nostri sistemi automatizzati hanno intrapreso un’azione di contrasto su un numero limitato di account per un errore provocato da un filtro antispam automatico”.
“Stiamo rapidamente annullando questa azione per ripristinare l’accesso agli account interessati, alcuni dei quali sono già stati riattivati”, ha comunicato Twitter.
Facebook, che possiede Instagram, ha risposto alle richieste di commento rilasciando una dichiarazione che in parte recita:
“Sappiamo che ci sono stati diversi problemi che hanno influito sulla capacità delle persone di condividere sulle nostre app, tra cui un bug tecnico che ha interessato le pubblicazioni in tutto il mondo e un errore che ha limitato temporaneamente la visualizzazione dei contenuti sulla pagina hashtag della moschea di al-Aqsa. Sebbene entrambi i problemi siano stati risolti, non avrebbero mai dovuto assolutamente accadere. Siamo molto dispiaciuti per tutti coloro che hanno sentito di non poter attirare l’attenzione su eventi importanti o che hanno ritenuto che si trattasse di una deliberata soppressione della loro libertà di espressione. Questa non è mai stata la nostra intenzione”.
Censura collaborativa aziendale e governativa
Come già documentato, la soppressione da parte dei social media dei contenuti palestinesi non è un fenomeno nuovo. La ricerca di 7amleh ha rivelato una significativa cooperazione tra i colossi dei social media e Israele nel prendere di mira i contenuti palestinesi: secondo un rapporto di 7amleh del 2020 sulla cancellazione sistematica dei contenuti palestinesi, l’Unità Informatica del Ministero della Giustizia israeliano è responsabile della presentazione delle richieste di rimozione alle società tecnologiche sulla base di presunte violazioni del diritto interno e delle linee guida comunitarie delle società.
7amleh nel suo rapporto ha scritto:
“Il Ministro della Giustizia israeliano, Ayelet Shaked, ha dichiarato che “Facebook, Google e YouTube stanno rispettando fino al 95% delle richieste israeliane di eliminazione di contenuti che secondo il governo israeliano incitano alla violenza palestinese”. Ciò mostra un’attenzione significativa sui contenuti palestinesi e gli sforzi per etichettare il linguaggio politico palestinese come incitamento alla violenza”.
Il governo israeliano e le organizzazioni non governative incoraggiano anche i cittadini a partecipare a questi sforzi di censura facendo le proprie richieste di rimozione dei contenuti in relazione alle pubblicazioni palestinesi.
“Il grosso problema delle rimozioni volontarie è che non ci sono procedure legali o burocratiche per chiarirle”, ha detto Nashif.
Nel 2019, Adalah – Il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele e l’Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI) hanno presentato una petizione congiunta all’Alta Corte di Giustizia israeliana contro l’Unità Cibernetica sulla base del fatto che i suoi meccanismi violano i diritti costituzionali di libertà di espressione e giusto processo. Il mese scorso, la Corte Suprema di Israele ha respinto la petizione.
“Come al solito, la Corte Suprema ha sostenuto e convalidato le azioni dell’Unità Cibernetica”, ha detto Nashif. “E ora stanno cercando di censurare i contenuti palestinese intensificando queste richieste di rimozione”.
Nashif non ha potuto confermare che l’Unità Cibernetica israeliana sia dietro l’ultima presunta censura. Ma attraverso l’uso di Adalah e ACRI della legge sulla libertà di informazione, 7amleh sa che l’ente governativo ha fatto più di 15.000 richieste lo scorso anno alle piattaforme di social media. Nashif ha spiegato:
“Non abbiamo prove su ciò che è accaduto nell’ultima settimana perché né l’Unità Cibernetica, né Facebook sono trasparenti sulle rimozioni. Ma è chiaro seguendoli, analizzando le loro politiche, parlando con persone che lavorano in Facebook e dai diversi ricorsi in tribunale contro l’Unità Cibernetica, che questo sta ovviamente accadendo”.
Aumento della violenza, crescente azione di base
Le tensioni a Gerusalemme e in tutta la Palestina si sono intensificate negli ultimi giorni. Al momento in cui scrivo, gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso 87 palestinesi di Gaza, inclusi 18 bambini, e il lancio di razzi di Hamas, il Movimento di Resistenza che governa Gaza, ha ucciso sei israeliani e un cittadino indiano. Più di 530 palestinesi e 28 israeliani sono rimasti feriti.
Le forze israeliane hanno sparato acqua putrida e granate stordenti contro la folla che manifestava contro le espulsioni dei residenti di Sheikh Jarrah. Gruppi armati di israeliani stanno attualmente invadendo le strade della Palestina, cantando “Morte agli arabi”, distruggendo proprietà palestinesi e attaccando i palestinesi.
La Corte Suprema israeliana ha rinviato un’udienza in tribunale sulla possibile espropriazione delle famiglie di Sheikh Jarrah, compresi gli El-Kurdi. Il tribunale dovrebbe fissare una nuova data tra 30 giorni.
Mentre le autorità israeliane continuano a reprimere il dissenso palestinese sul campo, Nashif ha detto che anche le voci palestinesi vengono represse online.
“La nostra sensazione è che ora la repressione sia diminuita perché stiamo ricevendo meno richieste di aiuto. Ma sta ancora accadendo”, ha detto Nashif, riferendosi a come l’Unità Cibernetica israeliana, l’intelligenza artificiale e le comunità Internet pro-Israele come Act.Il fanno tutti parte della campagna per sminuire la prospettiva palestinese sui social media.
“Si deve capire che questa è una lotta sulla narrativa,” ha detto Nashif. “C’è un forte tentativo di sopprimere la narrativa palestinese”.
Jessica Buxbaum è una giornalista con sede a Gerusalemme per MintPress News che copre Palestina, Israele e Siria. Il suo lavoro è stato pubblicato su Middle East Eye, The New Arab e Gulf News.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org