Dopo aver aderito allo sciopero di martedì in Israele e nei territori palestinesi, i lavoratori hanno ricevuto messaggi che li informavano del loro licenziamento
Fonte: english version
Di Mustafa Abu Sneineh – 19 maggio 2021
Immagine di copertina: Un messaggio WhatsApp da un lavoratore palestinese che dice al suo datore di lavoro israeliano che non poteva andare al lavoro martedì, seguito da una risposta che lo informava del suo licenziamento (Fornito a MEE)
Centinaia di cittadini palestinesi di Israele hanno ricevuto messaggi WhatsApp dai loro datori di lavoro israeliani che li licenziavano dopo aver partecipato martedì allo sciopero generale a cui hanno aderito milioni di palestinesi nei territori palestinesi occupati e in Israele.
Middle East Eye (MEE) ha visto decine di messaggi in ebraico da parte di lavoratori palestinesi che hanno informato i loro datori di lavoro israeliani che non sarebbero andati al lavoro martedì a causa dello sciopero generale, solo per ricevere poco dopo messaggi che li informavano che erano stati licenziati.
Lo sciopero del karameh – “sciopero della dignità” in arabo – è stato indetto martedì nella Palestina storica per mostrare l’unità palestinese tra i continui bombardamenti israeliani della Striscia di Gaza assediata e le violente repressioni sui manifestanti palestinesi nei Territori e a Gerusalemme.
Il Comitato arabo di follow-up, che coordina i partiti politici all’interno di Israele, ha proclamato lo sciopero e ha chiesto a 1,6 milioni di cittadini palestinesi di Israele, che costituiscono il 20% del paese, di aderirvi.
Hanno aderito anche l’Autorità Palestinese (AP), le organizzazioni civili e i gruppi politici in Cisgiordania e a Gerusalemme.
Mohammad Zeidan, l’ex direttore dell’Organizzazione araba per i diritti umani, ha detto a MEE che rappresentanti legali e organizzazioni della società civile stanno documentando e raccogliendo casi di lavoratori palestinesi licenziati bruscamente dai loro datori di lavoro israeliani.
“Alcuni datori di lavoro israeliani hanno risposto con il messaggio ” sei licenziato “- Mohammad Zeidan, attivista
“Non posso darvi un numero esatto di quanti lavoratori sono stati licenziati tramite messaggi WhatsApp, ma potrebbe arrivare a centinaia”, ha detto Zeidan a MEE al telefono da Nazareth.
“Alcuni datori di lavoro israeliani hanno risposto con il messaggio ‘sei licenziato’, mentre altri si sono impegnati in un dibattito politico con i lavoratori palestinesi, dicendo loro che non sono fedeli a Israele”, ha aggiunto.
Lo sciopero generale di martedì ha fermato alcuni settori dell’economia israeliana, in particolare quelli delle costruzioni e delle consegne, mentre centinaia di camionisti, autisti o operatori di gru palestinesi hanno scioperato.
Roaa Jbara, un membro di un gruppo di avvocati palestinesi volontari che opera all’interno di Israele, ha detto a MEE che diversi lavoratori del settore pubblico e privato israeliano si erano rivolti all’organizzazione per una consulenza legale prima di unirsi allo sciopero generale.
Jbara ha confermato casi di lavoratori palestinesi licenziati dopo aver condiviso post sui social media.
“Anche i lavoratori che non hanno potuto raggiungere il lavoro a causa degli ultimi eventi sono stati licenziati e coloro che hanno condiviso le foto delle proteste sui social media o si sono uniti alle proteste sono stati minacciati di essere licenziati”, ha detto Jbara.
Proteste in evoluzione
I palestinesi all’interno di Israele protestano dall’inizio di maggio. All’inizio, contro i piani per sfrattare i palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah, e in seguito contro gli attacchi aerei israeliani nella Striscia di Gaza.
La situazione si è poi sviluppata in scontri tra palestinesi e gruppi israeliani di estrema destra sostenuti da coloni giunti dagli insediamenti illegali in Cisgiordania in oltre 20 città dove vivono sia cittadini palestinesi di Israele che ebrei, tra cui Nazareth, Haifa, Jaffa, Lydd, Tayba e Sakhnin.
Centinaia di cittadini palestinesi di Israele sono stati arrestati e feriti e due sono stati uccisi a Lod – che i palestinesi chiamano Lydd – e a Umm al-Fahm, mentre gli israeliani ultranazionalisti hanno vandalizzato automobili e case palestinesi.
‘La situazione è tesa e alcuni lavoratori non sono andati a lavorare per paura di essere aggrediti durante l’utilizzo dei mezzi pubblici’ – Jamal Zahalka, presidente di Balad
La scorsa settimana, i residenti palestinesi di Lydd hanno appiccato il fuoco a una sinagoga; a seguito di ciò il governo israeliano aveva dispiegato l’esercito nelle strade della città e imposto il coprifuoco.
Dal 7 maggio, 27 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano in Cisgiordania e Gerusalemme est, e due all’interno di Israele.
Jamal Zahalka – il presidente della National Democratic Alliance (Balad), un partito che rappresenta i cittadini palestinesi di Israele nel parlamento israeliano – ha detto a MEE che nei giorni scorsi un gruppo di lavoratori palestinesi gli ha inoltrato messaggi di licenziamento.
“La situazione è tesa e alcuni lavoratori non sono andati a lavorare per paura di essere attaccati quando usano i mezzi pubblici”, ha detto Zahalka.
“Chiediamo al governo israeliano di tenere a freno i coloni che hanno attaccato la nostra gente nelle città della costa palestinese, comprese Jaffa, Lydd, Ramla, Acre e Haifa”, ha aggiunto.
“Il problema principale in queste città è che Israele ha collocato coloni ebrei estremisti nei quartieri palestinesi. Hanno attaccato i palestinesi e in seguito sono stati raggiunti dai coloni della Cisgiordania e protetti dalla polizia israeliana”.
Stato di paura
Zahalka ha aggiunto che i cittadini palestinesi di Israele vivevano in uno stato di paura, preoccupati di essere attaccati se dovevano fare acquisti nei centri commerciali israeliani, usare i mezzi pubblici o fermarsi per fare rifornimento alle stazioni di servizio.
“Questa non è una guerra civile. È la guerra israeliana contro di noi … I palestinesi all’interno di Israele non hanno un potere organizzato, né polizia e armi per difendersi dalla polizia armata e dai coloni”, ha aggiunto, quando gli è stato chiesto di descrivere gli scontri nelle città miste di Israele.
Zeidan ha detto che la maggior parte dei lavoratori palestinesi all’interno di Israele deve recarsi quotidianamente al lavoro nelle città israeliane a maggioranza ebraica.
“Diciamo che se un farmacista di Kafr Qasem avesse dovuto viaggiare per andare a lavorare ad Hadera, che è una città israeliana – avrebbe rischiato di essere attaccato”, ha detto.
Zeidan ha osservato che, secondo il diritto del lavoro israeliano, a un lavoratore dovrebbe essere offerta un colloquio prima di essere licenziato dal proprio lavoro. “C’è una legge del 1988 che dice che i datori di lavoro non possono licenziare un lavoratore a causa delle sue posizioni politiche, religiose o nazionali”, ha osservato.
Jbara ha anche detto a MEE che, sebbene un’udienza sia parte della procedura per licenziare i lavoratori, la legge israeliana potrebbe essere interpretata anche in questi casi a favore dei datori di lavoro.
“La legge potrebbe essere spostata a destra o a sinistra, e i datori di lavoro possono dire che un lavoratore palestinese non ha partecipato al lavoro, non a causa della situazione di tensione nel paese, ma perché era in sciopero … ma questo avrà bisogno di prove”, ha detto Jbara.
Il Comitato di monitoraggio ha recentemente pubblicato dati che mostrano che in Israele i palestinesi costituiscono il 50% di tutti i farmacisti, i lavoratori dei trasporti e delle costruzioni e l’11% dei dipendenti pubblici e dei membri della polizia.
‘I licenziamenti sono illegali’
I palestinesi rappresentano anche 13.000 infermieri e 8.140 medici in Israele, rispettivamente il 23% e il 21% dei lavoratori in questi settori. Inoltre, 29.000 cittadini palestinesi di Israele lavorano nel settore tecnologico, rappresentando il 9,2% dei dipendenti del settore.
Adalah, il Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele, ha dichiarato a MEE di aver inviato una lettera al procuratore generale israeliano Avichai Mandelblit e ad altri alti funzionari “chiedendo di emettere una chiara direttiva secondo cui i licenziamenti dovuti alla partecipazione a uno sciopero sono illegali, sproporzionati e costituiscono un reato “.
Sawsan Zaher, vicedirettore generale dell’organizzazione per i diritti umani e centro legale, Adalah, ha detto a MEE che la legge israeliana non riconosce uno sciopero politico.
“I lavoratori avrebbero dovuto prendere un congedo annuale o per malattia”, ha detto. “Abbiamo chiesto al procuratore generale di Israele di rilasciare un chiarimento secondo il quale lo sciopero è in linea con una legge del 1988 che vieta la discriminazione nei confronti dei lavoratori quando sono impiegati o licenziati a causa della loro opinione politica, e che questo è considerato un reato”.
Zaher ha detto che questa non è la prima volta che i datori di lavoro israeliani hanno licenziato i lavoratori palestinesi durante un periodo di conflitto.
“Questo è accaduto durante l’ultima guerra israeliana nella Striscia di Gaza nel 2014. Alcuni lavoratori che pubblicarono dei post sulla guerra furono minacciati di essere licenziati, o furono licenziati, o dovettero confrontarsoi con osservazioni razziste da parte dei loro datori di lavoro”.
Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org