I riflettori sull’apartheid israeliano non devono spegnersi

Fonte: english version

Solo attraverso la continua pressione pubblica e i movimenti di massa i sistemi cambieranno. Ora, più che mai, è fondamentale che i riflettori sull’apartheid israeliano non si spengano.

Di Kenn Orphan – 27 Maggio 2021

Immagine di copertina: Photograph Source: iZ designer Photo – CC BY 2.0

Come mai prima d’ora, Israele sta finalmente vedendo un grosso respingimento di portata internazionale. Con la sua continua campagna di pulizia etnica esemplificata dall’espulsione delle famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah, i suoi attacchi ai fedeli in uno dei luoghi più sacri dell’Islam, Al Aqsa, durante le festività religiose, e il suo attacco criminale e omicida contro la popolazione prigioniera di Gaza, Israele, è stato messo sotto un riflettore scomodo. Ma la chiave per smantellare il suo radicato sistema di apartheid sta nel mantenere i riflettori accesi, soprattutto ora che è stato attuato un cessate il fuoco. Se l’attenzione viene distolta, come Israele desidera disperatamente, diventerà ancora più intransigente, soprattutto perché l’amministrazione Biden continua con il suo normale approccio.

Fortunatamente, c’è stato un notevole cambiamento nell’opinione pubblica. Anche tra molti ebrei americani c’è stato un crescente disagio nell’essere associati a un regime coloniale così palesemente belligerante e sadico. Gran parte di questo è dovuto al lavoro instancabile di organizzazioni come Jewish Voice for Peace (Voce Ebraica per la Pace). I recenti rapporti di Human Rights Watch e dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem che hanno denunciato l’apartheid israeliano, sono stati anche determinanti nel fornire un quadro che può essere utilizzato per comprendere e affrontare questa ingiustizia lunga decenni. Ma è anche in gran parte grazie al Movimento Black Lives Matter (Le Vite Degli Afro Valgono) che ha mobilitato l’indignazione pubblica sulla scia del brutale omicidio di polizia di George Floyd. Parallelismi giustificati vengono tracciati tra il razzismo sistemico negli Stati Uniti e l’intricato sistema di apartheid in atto in Israele / Palestina. E, in entrambi i casi, la scusa dell’autodifesa si sta esaurendo per chiunque abbia una coscienza.

Per anni Israele ha giustificato i suoi periodici bombardamenti a tappeto su Gaza come il suo diritto alla “autodifesa”. Ma quella narrazione sta cominciando ad assomigliare molto a quella delle forze di polizia statunitensi quando dicono agli afroamericani di “smetterla di resistere” mentre gli si inginocchiano sul collo. Cade a pezzi dopo un attento esame dei fatti sul campo. Proprio come nel caso della polizia, non si può affermare di aver temuto per la propria vita se si è quello che porta la pistola e si ha il presunto aggressore in manette a terra. Gaza, la Cisgiordania occupata e Gerusalemme assomigliano ai Bantustan (ghetti) del Sudafrica dell’apartheid. Sono popolazioni prigioniere in catene, senza voce in capitolo su come desiderano essere governate, costantemente soggette a punizioni arbitrarie e violente da parte dello Stato di Israele.

Dopo il pesante bombardamento israeliano della popolazione prigioniera di Gaza la scorsa settimana, proteste di massa senza precedenti hanno investito il mondo intero. Ma non cadiamo in errore, Israele non sta perdendo tempo, ha già attivato una campagna di propaganda. Si rende conto che la sua falsa immagine di “unica democrazia” del Medio Oriente è stata ancora una volta smascherata con i video sui social media che mostrano le famiglie palestinesi cacciate violentemente dalle loro case a Sheikh Jarrah per far posto ai coloni ebrei, molti dei quali  non sono nemmeno nati lì e provengono dagli Stati Uniti o dalla Russia.

Queste campagne propagandistiche per influenzare la percezione internazionale di Israele, note come hasbara, non sono una novità e non sono nemmeno esclusive. Il regime di apartheid in Sudafrica ha fatto molti tentativi per riabilitare la sua immagine sulla scena mondiale mentre opprimeva violentemente la sua popolazione africana. La famosa Sun City ha corteggiato celebrità internazionali per suonare nella sua unica enclave “integrata”. E durante la segregazione negli Stati Uniti il ​​governo ha regolarmente inviato artisti afroamericani in propagandistiche tournée internazionali per mascherare la crudele realtà della segregazione di Jim Crow e creare un’illusione di inclusività americana (Le leggi Jim Crow furono delle leggi locali e dei singoli Stati americani emanate tra il 1877 e il 1964).

È importante ricordarlo quando gli apologeti dell’apartheid israeliano dicono cose come: “Non c’è apartheid in Israele poiché i cittadini arabi possono votare e c’è un arabo nella Corte Suprema”. I sistemi oppressivi spesso si impegnano in ciò che è noto come tokenismo come mezzo di distrazione. In altre parole, porre alcuni membri di una popolazione oppressa in posizioni autorevoli o prestigiose come giudici o capi di dipartimento o come celebrità.

Questa è una tattica insidiosa che è stata a lungo utilizzata negli Stati Uniti dalla sua classe dirigente. Le scelte di gabinetto del Presidente Biden riflettono molto di questo. Una persona di Cuba a capo del Dipartimento di Sicurezza Nazionale. Una persona di colore come Segretario alla Difesa. Una donna a capo del Dipartimento del Tesoro. Il tokenismo è offuscamento. Dà l’illusione dell’inclusione e del cambiamento quando, in realtà, è principalmente estetico. Nulla di sostanziale rispetto alla politica o alle operazioni sistemiche di governo cambia minimamente.

Israele non è diverso da questo punto di vista. Sfoggia abitualmente la comunità LGBT e gli afro-israeliani difronte al mondo nel tentativo di mascherare il suo sistema di apartheid fondamentalmente discriminatorio e oppressivo. È un approccio cinico che, purtroppo, spesso funziona. Ma fortunatamente, questo gioco sta iniziando a perdere il suo vantaggio.

L’apartheid è facilmente dimostrabile alla maggior parte delle persone ragionevoli quando si presenta con i fatti sul campo. All’interno di Israele, città e quartieri hanno comitati che hanno il diritto di escludere chi vogliono sulla base dell’etnia o della religione. Quelli che hanno una maggioranza ebraica possono effettivamente vietare ai non ebrei di vivere dove vogliono, facendo eco alle pratiche di rivalutazione urbana negli Stati Uniti che escludevano gli afroamericani dall’acquisto di case in quartieri prevalentemente bianchi, della classe media. Molte comunità palestinesi e beduine sono discriminate in modo sproporzionato nei permessi di costruzione e sono spesso disconnesse dai servizi di base come fornitura idrica e raccolta dei rifiuti. Infatti, ci sono oltre 65 leggi che discriminano i cittadini palestinesi di Israele e assegna solo una frazione del suo bilancio ai consigli israeliani palestinesi.

Oltre a questo, quasi 3 milioni di palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme vivono sotto l’occupazione israeliana. Gli apologeti israeliani affermano che l’Autorità Palestinese è il loro governo quando, in realtà, è semplicemente un governo per procura dell’occupazione. Grazie ai corrotti accordi di Oslo, Israele ha effettivamente diviso la Cisgiordania occupata in tre aree amministrative. In tutte le zone tranne una, Israele ha il controllo assoluto. I palestinesi nella restante area sono ancora soggetti all’occupazione israeliana tramite l’amministrazione del suo delegato, l’Autorità Palestinese.

Tutti i palestinesi nella Cisgiordania occupata e Gerusalemme Est devono affrontare demolizioni di case, muri, barriere e strade di separazione, decine di posti di blocco disumanizzanti, violenza quotidiana da parte di coloni ebrei che includono essere colpiti da colpi d’arma da fuoco e incendi di uliveti, e tribunali militari invece di tribunali civili come le loro controparti dei coloni israeliani. I minori palestinesi vengono abitualmente rapiti con terrorizzanti incursioni notturne e portati in centri di detenzione spesso sconosciuti. Lì il più delle volte affrontano abusi e abbandono.

E oltre 2 milioni di palestinesi a Gaza, che è stata isolata e assediata per quasi 15 anni, non hanno assolutamente voce in capitolo sulla loro detenzione ingiustificata o sulla costante punizione collettiva inflitta dall’esercito israeliano. Questi palestinesi sono soggetti a bombardamenti indiscriminati e gli viene impedito di lasciare la Striscia da Israele ed Egitto. Le Nazioni Unite hanno ripetutamente avvertito che Gaza a breve sarà invivibile a causa della povertà, lo scarso accesso all’acqua potabile e alla costante sorveglianza e bombardamenti dei droni israeliani.

Come la condanna di Derrick Chauvin, il poliziotto che ha soffocato George Floyd, non era una cura per la violenza di Stato della polizia statunitense, il cessate il fuoco tra Israele e Gaza non offre alcuna soluzione per la pulizia etnica israeliana e l’apartheid in corso. Potrebbe fornire un po’ di sollievo, specialmente alla popolazione di Gaza che è stata spietatamente terrorizzata per 11 giorni da una delle potenze militari più sofisticate del mondo. E potrebbe alleviare le coscienze di coloro che sono semplicemente stanchi della narrazione che domina i titoli dei giornali e le cronologie dei social media. Ma non fa nulla per risolvere il problema radicato in sé. Solo attraverso la continua pressione pubblica e i movimenti di massa i sistemi cambieranno. Ora, più che mai, è fondamentale che i riflettori sull’apartheid israeliano non si spengano.

Kenn Orphan è un artista, sociologo, amante della natura radicale e attivista stanco, ma impegnato. Può essere contattato su kennorphan.com.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org