L’esplosione di Beirut: un anno dopo, il trauma è ancora vivo

Sempre alla ricerca delle responsabilità e di giustizia, i residenti della capitale libanese sono ancora ossessionati dall’esplosione che ha devastato la loro città lo scorso agosto

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Wissam Saade – 3 agosto 2021

Immagine di copertina: Il produttore televisivo libanese Tony Ahwaji sul balcone del suo appartamento danneggiato nel quartiere di Mar Mikhael a Beirut il 6 agosto 2020 (AFP)

Commemorare la devastante esplosione di Beirut significa commemorare ciò che è ancora qui, che continua e non ha fine. Chi tra tutti quelli sconvolti dalla massiccia esplosione dell’agosto 2020 è stato in grado di svegliarsi da questo incubo? Non era un incubo; è la nostra vita reale.

Lungi dal costituire un ostacolo alla giustizia per le vittime più dirette dell’esplosione – e per tutti gli abitanti della città ferita – dimenticare, per quanto impossibile, è un’aspirazione legittima, un desiderio di emancipazione.

L’esplosione del 4 agosto è stata un attacco contro una capitale, contro la sua gente. Ma il nemico non ha rivelato il suo volto.

Questo terribile evento, che in video si riduce a un paio di minuti – l’ascesa del fungo atomico e il boato dell’esplosione – sembra aver assorbito tutti gli altri. Non solo a causa del trauma provocato dall’enorme  shock, dall’apocalittica portata della distruzione e dalle innumerevoli lacrime, ma soprattutto perché rimane un enigma devastante. Sappiamo tutto e niente di ciò che è realmente accaduto.

Il Libano, impantanato in un collasso finanziario, afflitto da una sclerosi politica e dalle ricadute delle massicce proteste popolari scoppiate nell’ottobre 2019, il 4 agosto 2020 è scivolato in una catastrofe enigmatica. La sua natura criminale non nasconde il suo carattere labirintico, condannando le persone a uno stato di incertezza costante.

In un certo senso, le famose domande del filosofo illuminista Immanuel Kant sono oggi le domande di tutti. In Libano. Kant chiede: “che cosa posso sapere?” In effetti, cosa possiamo sapere su coloro che hanno causato questo male – un vortice infernale in cui si intrecciano sia il “male radicale” che la “banalità del male”?

La banalità sottolinea la negligenza dei responsabili, che erano a conoscenza da anni della massa di nitrato di ammonio stoccata nel porto di Beirut, a pochi passi dal centro della città. La nozione di banalità si applica anche alle nostre esperienze in Libano dopo l’esplosione, con la giustizia che ancora non è stata fatta né per le vittime, né per la città nel suo insieme.

Aspetti visibili e invisibili

Dal punto di vista di Kant, il “che cosa posso sapere” si riferisce al mondo osservabile. Ma che dire di questa spaventosa esplosione? Per quanto l’esplosione sia visibile nelle foto e nelle riprese, anche il suo aspetto invisibile è molto presente, poiché un anno dopo il boato risuona ancora nelle nostre orecchie.

Potremo mai accontentarci di una narrazione esplicativa basata esclusivamente su fatti empirici e deduzioni logiche, o saremo per sempre costretti a ipotizzare cosa sia realmente accaduto? L’esplosione del 4 agosto è stata un attacco contro una capitale, contro la sua gente. Ma il nemico non ha rivelato il suo volto. Tutti vogliono e hanno bisogno di vedere questo volto.

Un elicottero spegne un incendio sulla scena dell’esplosione di Beirut il 4 agosto 2020 (AFP)

Questa confusione non può che alimentare gli atteggiamenti più ansiosi e aggressivi, i sospetti più profondi e persistenti nei confronti dei vari segmenti della società, al di là dell’indignazione collettiva generale contro il “sistema”. In breve, l’esplosione ha portato con sé il potenziale per un’altra esplosione: la disintegrazione del paese stesso, soprattutto dopo che l’indignazione dei cittadini non è stata in grado di innescare una mobilitazione popolare su larga scala, di successo, contro questo “sistema”.

Per caso, l’esplosione ha colpito più duramente di altri i quartieri prevalentemente cristiani di Beirut, creando una dimensione settaria nella ricaduta. Questo tipo di tensione settaria si incrocia con altre tensioni, riformulando le scissioni comunitarie e ponendo un’altra domanda spinosa, ma forse valida: quali comunità sono state maggiormente colpite dalla crisi economica?

L’assassinio di una città

Come ha notato Susan Neiman, una delle più profonde filosofe del nostro tempo, in “Evil in Modern Thought”, la modernità tende a rendere sempre più invisibile il volto del nemico: “Prima dell’invenzione delle armi automatiche, normalmente dovevi vedere chiunque  tu volessi uccidere. Dallo sviluppo del processo iniziato con la guerra civile americana, non è più necessario farlo. Tecnologicamente e, cosa ancora più importante, psicologicamente, questo crea opportunità di distruzione una volta disponibili solo alla natura”.

Detto questo, c’è una profonda differenza tra un attacco di droni senza volto e un incontro faccia a faccia tra un pilota e le singole vittime – e quando guardiamo all’esplosione del 4 agosto, possiamo riuscire a rintracciare il nemico solo facendo affidamento sulla nostra intuizione e sulle prove insufficienti a portata di mano. Mentre la catastrofe adotta un’immagine di “distruzione naturale artificiale”, un evento casuale che avrebbe potuto facilmente accadere in qualsiasi altro giorno, ci troviamo di fronte a infinite domande.

Qualunque cosa si dica e si accusi, restiamo prigionieri di questa frenetica riflessione, di questo flusso infinito di possibilità, di ciò che già sapevamo prima e di ciò che non sapremo mai. Non sarà mai rivelato chiaramente chi c’era dietro questa distruzione infernale a Beirut in una calda giornata estiva; l’assassinio di un porto e di una città.

Per finire con le altre domande critiche di Kant: “Cosa devo fare” e “Cosa posso sperare”? Il nemico non è facilmente identificabile, ma è là fuori da qualche parte. Non possiamo accettare l’esplosione del 4 agosto 2020 come un disastro naturale o casuale. Quando si tratta delle nostre speranze, dobbiamo imparare a dimenticare una parte di quello che è successo – espellerlo dalla nostra vita quotidiana. Ma in assenza di un progetto di emancipazione generale per il popolo libanese, l’orizzonte stesso della speranza resta incerto.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Wissam Saade è dal 2003 docente di scienze politiche e storia alla Saint Joseph University. Scrive regolarmente editoriali sui principali giornali libanesi e arabi. I suoi interessi di ricerca si concentrano sul pensiero politico medievale e moderno e sulla storia sociale e intellettuale delle rivoluzioni moderne.

 

Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org