Chi ha paura dei campi estivi di Hamas?

Mentre Israele continua ad addestrare i suoi figli a uccidere, i campi estivi di Hamas sono certamente un’utile distrazione.

Fonte: english version

Belen Fernandez –  2 agosto 2021

Immagine di copertina: Giovani palestinesi partecipano a un campo estivo organizzato dal movimento Hamas a Gaza City il 26 giugno 2021 [File: AFP/ Mahmud Hams]

Recentemente, Lawrence J Haas, dell’American Foreign Policy Council, ha scritto sulle pagine di Newsweek per  denunciare un fenomeno pericoloso: “Il silenzio occidentale sui campi estivi di Gaza che addestrano futuri terroristi”.

Secondo Haas – pervaso dall’idea (allucinata) che i media e il mondo accademico occidentali siano ossessionati da una “narrazione dell’oppressione israeliana e della vittimizzazione palestinese” – Hamas e la Jihad islamica palestinese stanno insegnando ai ragazzini di Gaza come “sparare con le pistole, lanciare missili anticarro e proteggersi mentre si aggirano attorno ai muri”.

Fortunatamente, tuttavia, il presunto “silenzio” sui campi estivi è stato più che compensato da istituzioni come il Middle East Media Research Institute (MEMRI) – una famigerata fabbrica di propaganda sionista sovvenzionata dai contribuenti statunitensi – e istituzioni simili.

All’inizio di luglio, ad esempio, il Times of Israel ha riferito che Hamas stava addestrando i giovani partecipanti a rapire soldati israeliani. Nello stesso periodo, un dispaccio al Long War Journal – un progetto del think tank neoconservatore statunitense Foundation for the Defense of Democracies – avvertiva che i campi estivi facevano parte “della preparazione  di forza militare per continuare a condurre il jihad contro Israele” .

E il 12 luglio, il Jerusalem Centre for Public Affairs ha lanciato l’allarme sui “Campi estivi di indottrinamento di Hamas per 50.000 bambini”, dove ai bambini vengono insegnate le tecniche di rapimento e l’uso delle armi e dove vengono istruiti con l’uso di “simulatori informatici per esercitarsi a sparare a soldati israeliani e agenti di polizia al Monte del Tempio e alla Moschea di al-Aqsa”.

Il rapporto sostiene che il presunto “indottrinamento dei bambini. da parte di  Hamas.. crudele e disumano, che li priva della loro infanzia e ingenuità” è anche una violazione del diritto umanitario internazionale, “basato sui principi e le linee guida di Parigi del 2007 sui bambini associati a forze armate o gruppi armati”, questo poiché  definisce i partecipanti “bambini soldato”.

Ai lettori viene quindi sottoposta una lunga lista di come Hamas violerebbe le leggi internazionali sui diritti umani relative ai bambini, che vanno dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, al Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei minori che, tra l’altro, “vieta ai minori di 15 anni di essere direttamente coinvolti nelle ostilità”.

Questo ci porta alla seguente domanda: perché, se i diritti del bambino sono così sacri, scompaiono naturalmente ogni volta che l’esercito israeliano si impegna a massacrarli? Allo stesso modo, se Israele è così contrario al concetto di bambini soldato, perché tratta i bambini come obiettivi militari?

Durante l’ultimo attacco di 11 giorni alla Striscia di Gaza a maggio, soprannominato Operazione Guardian of the Walls, almeno 67 bambini sono stati uccisi su oltre 250 vittime palestinesi. Nell’estate del 2014, l’operazione Margine di Protezione ha ucciso 2.251 persone nel corso di 50 giorni, tra cui non meno di 551 bambini. E durante l’operazione Piombo Fuso, durata 22 giorni nel 2008-2009, l’esercito israeliano ha massacrato circa 300 bambini e circa 1.100 adulti.

Quindi, se vogliamo parlare di diritto internazionale, il comportamento stesso di Israele ne costituisce sostanzialmente una continua violazione.

Nel suo sfogo su Newsweek, Haas descrive il campo estivo a Gaza come “non il nuoto e il softball, le escursioni e le grigliate che molti di noi ricordano con affetto”. Allo stesso modo, il Jerusalem Centre for Public Affairs lamenta che, nell’enclave costiera palestinese, “il campo estivo ha un aspetto molto diverso” rispetto al resto del mondo e non implica “giocare a calcio o campeggiare all’aperto”.

Certo, non ci sono nemmeno molti posti al mondo in cui i bambini che giocano a calcio all’aperto rischiano di essere fatti a pezzi da un attacco aereo israeliano, come è successo nel luglio 2014, meritando il titolo criminalmente ambiguo del New York Times: “Ragazzi attirati dalla spiaggia di Gaza, nel centro del conflitto mediorientale”.

Avanti veloce fino all’estate 2018, quando il Ministero degli Affari Esteri israeliano caricò un video su YouTube con la didascalia: “Cosa faranno i tuoi figli questa #estate? #Hamas a #Gaza sta privando i giovani palestinesi della loro infanzia avvelenando le loro menti con odio e violenza”.

Il video mostra una donna israeliana con un bambino, che esprime preoccupazione per il fatto che “i campi estivi di Hamas stanno creando una realtà pericolosa per i bambini palestinesi” e “distruggendo il futuro dei giovani palestinesi”. Non importa che Hamas non sia quello che occupa, assedia e bombarda patologicamente il territorio in questione, infliggendo contemporaneamente un trauma mentale di massa alla loro giovinezza.

I sionisti in armi per le attività dei campi estivi a Gaza nel frattempo farebbero bene a riflettere sul contenuto dei programmi dei campi estivi israeliani – come quelli dettagliati in un articolo del 2019 apparso sul sito di notizie sulla tecnologia CTech di Israele: “Divertimento e giochi di abbattimento del nemico”, in cui ci viene detto che, in Israele, la “nuova tendenza nel divertimento estivo sono i campi estivi e i corsi a tema militare”.

Dimenticate il nuoto e le grigliate; i bambini israeliani possono ora trascorrere le vacanze estive in un “simulatore di caccia F16 all’avanguardia sviluppato dal produttore aerospaziale americano Lockheed Martin”. Possono “ricreare l’attacco aereo israeliano del 1981 che distrusse un reattore nucleare iracheno vicino a Baghdad”, partecipare al “campo di addestramento” in un campo di paintball con un “set speciale progettato per la guerra urbana: case densamente costruite, veicoli bruciati e postazioni di cecchini”, oppure iscriversi a “antiterrorismo 101” e “addestramento all’aggressione”.

Oppure, possono “addestrarsi a contrastare gli attacchi informatici e sviluppare  altre abilità che potrebbero aiutarli a ottenere un posto nell’Unità 8200 [l’agenzia israeliana di spionaggio informatico] e in altre unità di guerra cibernetica quando raggiungeranno l’età di arruolamento”. Secondo un istruttore intervistato per l’articolo, “ognuno dei ragazzi che partecipa al programma estivo sa già come impedire a qualcuno di collegarsi online”.

In altre parole, i bambini palestinesi che imparano a “proteggersi mentre si aggirano intorno ai muri” suonano piuttosto benevoli in confronto.

Vale la pena ricordare che anche i campi estivi israeliani senza temi militari espliciti spesso incorporano una sorta di aspetto militare. Il sito web di un certo campo “Israel Extreme”, ad esempio, pubblicizza attività come sport acquatici, parapendio, visite alla base dell’esercito israeliano e speleologia, in quest’ordine. Il personale del campo, si precisa, è tutto “prestato dalle forze speciali dei militari”.

Naturalmente, il fatto che anche la speleologia debba essere effettivamente militarizzata non sorprende in un paese dove, come documenta rigorosamente Haim Bresheeth-Zabner nel suo libro, An Army Like No Other, “il servizio militare inizia prima della nascita” e l’esercito è il ” centro dell’esistenza israeliana”.

Molto prima che gli israeliani inizino il loro periodo obbligatorio nelle forze armate, scrive Bresheeth-Zabner, si sottopongono a una preparazione psicologica “per la violenza che dovranno esercitare e impiegare durante la loro vita adulta”. Per una nazione che ha “fatto del conflitto e della guerra la sua essenza”, l’accordo è senza dubbio facilitato dal profondo coinvolgimento dei militari in “tutte le istituzioni accademiche israeliane”, con il mondo accademico che costituisce una “parte razzializzata della macchina dell’apartheid” e gli accademici “partner del complesso militare-industriale”.

Lui stesso figlio di sopravvissuti all’Olocausto che si trasferirono nel 1948, nello stato di Israele appena nato Bresheeth-Zabner ricorda un episodio durante gli anni ’50 quando lui e altri scolari furono “arringati con successo a donare i loro pochi centesimi”  per gli sforzi di riarmo di Israele.

Questo per quanto l’infanzia possa valere.

E mentre Israele continua ad addestrare i suoi figli a uccidere – ora con l’aiuto di massicce donazioni finanziarie della superpotenza globale – i campi estivi di Hamas sono certamente una distrazione utile.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono proprie dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Belen Fernandez è l’autrice di Checkpoint Zipolite: Quarantine in a Small Place (OR Books, 2021), Exile: Rejecting America and Finding the World (OR Books, 2019), Martyrs Never Die: Travels through South Lebanon (Warscapes, 2016), e Il messaggero imperiale: Thomas Friedman al lavoro (Verso, 2011). Collabora con Jacobin Magazine e ha scritto per il New York Times, il blog London Review of Books, Current Affairs e Middle East Eye, tra numerose altre pubblicazioni.

 

Traduzione: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralnte uguali” -Invictapalestina.org