Afghanistan, una guerra imperialista

Le reazioni sull’abbandono degli USA, stranamente, non si sono tramutate in tifo calcistico, ma purtroppo si sono concretizzato in una nauseante retorica paternalista… Quasi a rilegittimare quella imperialista di stampo militare.

Lorenzo Poli  – Invictapalestina – 17 agosto 2021

La notizia dell’abbandono dell’Afghanistan da parte dei soldati imperialisti USA ha fatto emergere delle strane reazionI da parte di tutti: sia da parte di chi non ha mai condiviso l’intervento militare, sia da parte di chi dell’Afghanistan ha sempre sentito parlare esclusivamente come “guerra” e mai come Paese.

“La guerra è bella anche se fa male” – cantava De Gregorio, rispecchiando un po’ il senso comune che, per quanto possa rigettare qualsiasi tipo di violenza a livello di massima, può giustificare una guerra come “inevitabile”.

Le reazioni sull’abbandono degli USA, stranamente, non si sono tramutate in tifo calcistico, ma purtroppo si sono concretizzato in una nauseante retorica paternalista… Quasi a rilegittimare quella imperialista di stampo militare.

“Gli americani se ne vanno proprio adesso in un momento critico, dopo quasi 30 anni”

“Gli americani, dopo aver distrutto un Paese, lo lasciano in un momento critico”

“Erano andati in Afghanistan per togliere il burqa alle donne, non solo il burka è rimasto, ma ora scappano lasciando donne, bambini e vecchi in mano ai talebani.”

Espressioni apparentemente in critica agli interventi militari americani, che però lasciano intendere che, proprio in una situazione in cui “gli afghani hanno bisogno di aiuto, gli americani, al posto di aiutarli, se ne vanno”.

Gli americani, secondo questa vulgata, dopo aver distrutto un Paese, ora avrebbero anche dovuto avere una spinta compassionevole nei confronti degli afghani per poterli “aiutare”.

In questo giro di retorica perbenista si sono inseriti anche politici italiani come Matteo Renzi che ha definito “errore strategico quello degli americani di abbandonare l’Afghanistan”. Insomma, il festival dell’ipocrisia e della retorica.

Anche Salvini ha detto la sua e su Twitter ha scritto: “Italia, Europa, Occidente: vergogna! Lasciare donne e bambini in mano ai tagliagole islamici, dopo anni di battaglie e sofferenza, non è umano. Qualcuno al governo dovrebbe rileggersi “La rabbia e l’orgoglio” e “La forza della ragione” della grandissima Oriana Fallaci”.

Fallaci… Nota sostenitrice dell’intervento in Afghanistan contro l’Islam, in generale, da lei visto come il male assoluto che avrebbe distrutto l’Occidente.

Detto ciò, facciamo chiarezza contro questa deriva di pensiero che si insidia sempre nel provincialismo con poca razionalità. Facciamo chiarezza non per Salvini, che finge di non sapere per seguitare la sua campagna di odio islamofobico, ma per chi semplicemente certe cose non le conosce o parla, sperando che la gente si dimentichi.

Questa retorica paternalistica che vedrebbe gli americani come colpevoli ma, allo stesso tempo, come unico spiraglio di luce per il Paese contro l’Islam e talebani, è illogica in quanto la popolazione in Afghanistan è interamente islamica: circa un 87-90% sunniti e un 10-13% sciiti.

I talebani non fanno paura perché sono musulmani ma perché sono fondamentalisti salafiti che hanno impiantato una versione distorta dell’Islam sunnita sulla base di alcune tradizioni integraliste dell’etnia pashtun, la quale non sostiene all’unisono i talebani.

I Talebano entrano a Kabul – agosto 2021

Ma perché i talebani sono riusciti ad avere la meglio militarmente, pur essendo molto poche migliaia?

Perché da sempre vengono appoggiati da paesi esteri occidentali che vendono loro le armi, utilizzando questi gruppi per i loro scopi. Sebbene per molto tempo questa fu ritenuta una teoria dei “pacifisti” o, nel peggiore dei casi, bollata come da “comunisti”, oggi è un fatto comprovato: i mujaheddin di Bin Laden, ed in seguito i talebani (di cui molti ex mujaheddin fanno parte), furono armati e appoggiati dagli USA durante il conflitto con l’Unione Sovietica.

Mohammad Najibullah, l’ultimo Presidente Socialista della Repubblica Democratica dell’Afghanistan, tradito da Gorbaciov le cui truppe sovietiche lasciarono completamente l’Afghanistan nel 1989, continuò comunque a battersi contro i Talebani appoggiati dagli USA ed ottenne una grande vittoria militare a Jalalabad che gli permise di mantenere il controllo del Paese. Accettò i piani di pace dell’Onu per un governo di transizione ma contemporaneamente mandò un grido d’aiuto ai governi di tutto il mondo sulla pericolosità del terrorismo islamico, non venendo ascoltato. Alla guida del Paese salì Rabbani, ma non si arrivò ad una pacificazione, poiché s’innescarono molte lotte interne fra le varie fazioni interne di mujaheddin.

Nel settembre 1996 i Talebani presero Kabul. Najibullah non pensava che i talebani sarebbero entrati nel palazzo dell’ONU per catturarlo, ma così avvenne. L’esecuzione di Najibullah avvenne tra il 27 e 28 di settembre 1996 e fu il primo brutale atto simbolico dei talebani a Kabul. Najibullah fu evirato e in seguito legato ad una jeep e trascinato intorno al palazzo presidenziale, per esser ucciso a colpi d’arma da fuoco dai talebani, strumenti utili di CIA, Nato e Usa, come poi è stato dimostrato nel tempo.

Mohammed Najibullah incontra alcuni soldati sovietici nel 2019 (Photo credit should read DANIEL JANIN/AFP via Getty Images)

Nonostante Hilary Clinton disse che fu un errore finanziare i Mujaheddin in Afghanistan, sappiamo benissimo che in geopolitica non esistono errori, ma politiche strategiche intenzionali.

Non a caso Bin Laden, cittadino saudita, faceva affari con la famiglia Bush e gli USA. D’altronde il wahabismo saudita è sempre stato il miglior alleato del salafismo afghano, essendone una corrente più conservatrice.

I Talebani hanno ricevuto appoggi e armi dal Pakistan e dall’Arabia Saudita, il “Rinascimento” secondo Matteo Renzi, che tuttora continuano a supportarli come i “legittimi governanti” in Afghanistan.

“Ogni volta che gli USA “salvano” un Paese lo trasformano in un manicomio o in un cimitero” – questo diceva il giornalista uruguayano Eduardo Galeano.

Prima di morire Gino Strada aveva dato delle cifre sulla Guerra in Afghanistan in un suo articolo:

20 anni di guerra.

241.000 morti.

5 milioni di profughi.

2.000 miliardi spesi solo dagli USA

8 miliardi spesi dall’Italia

54 soldati italiani morti

Questo in vent’anni di occupazione militare USA in Afghanistan… e oggi siamo tornati a una situazione simile a quella del 2001.

Le uniche ad aver guadagnato da questa ennesima guerra sono state le industrie belliche, le case farmaceutiche con la produzione di farmaci a base di oppiacei afghani e gli Stati capitalisti occidentali.

L’Afghanistan è così oggi a causa del nostro “aiuto”.

Eppure in Occidente, questa guerra, veniva legittimata con lo slogan americanista “serve per difendere i diritti delle donne in Afghanistan”.

La guerra in Afghanistan ha mostrato il più becero volto della propaganda femonazionalista, come direbbe la scrittrice femminista Sara Farris.

Prima dell’intervento militare occidentale, infatti, le donne in Afghanistan erano libere, mentre oggi le donne afgane sono in una condizione peggiore rispetto a 40 anni fa.

Oggi dei suoi 23 milioni di abitanti solo il 5 % delle donne sa leggere e scrivere. Nel 1940 l’Afghanistan era una terra culturalmente vivace e piena di opportunità con edifici moderni, tecnologia e istruzione che arricchivano un paesaggio arido nel quale le donne indossavano gonne, guidavano, ascoltavano musica liberamente e frequentavano l’università.

Mezzo secolo fa, le donne afghane perseguivano una carriera nel campo della medicina, uomini e donne si mescolavano nei teatri e nei campus universitari di Kabul e le fabbriche producevano tessuti e altri prodotti di serie. C’era una forte tradizione giuridica e un governo in grado di portare avanti grandi progetti infrastrutturali nazionali, come la costruzione di impianti idroelettrici e strade. La gente comune credeva che l’educazione avrebbe potuto offrire opportunità a tutti e tutte per un futuro brillante.

Nel 1987 l’ Afghanistan visse un periodo di tolleranza durante il governo socialista di Mohammad Najibullah, lontano dall’oscurantismo che regna oggi.

A causa della guerra, l’Afghanistan è al 170esimo posto su 189 paesi nell’Indice di Sviluppo Umano del 2019, mentre la vulnerabilità è elevata: i livelli di povertà sono altissimi, l’insicurezza alimentare è diffusa e l’accesso all’acqua potabile e alle strutture igienico-sanitarie sono limitate. I disastri naturali – come alluvioni e terremoti – sono frequenti

Il burqa, per le donne, non esisteva 40 anni fa, ma è arrivato molto dopo con trent’anni di guerra imperialista condotta dagli USA.

Questo un altro “aiuto” occidentale alla popolazione afghana in materia di diritti.

In Italia, tutti i governi degli ultimi vent’anni, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta Renzi, Gentiloni e molti altri hanno appoggiato e finanziato la guerra in Afghanistan, oltre ad aver rinnovato per l’ennesima volta gli infami accordi con la Libia per i lager dei migranti.

Nonostante ciò, tutti hanno espresso il proprio cordoglio per la morte del fondatore di Emergency, lui che per anni ha detto chiaramente ciò pensava di loro e sulle loro politiche guerrafondaie sul territorio afghano.

Oggi l’Afghanistan è in mano ai talebani, dopo che gli americani hanno lasciato macerie, concretizzando finalmente il già annunciato fallimento materiale del “sogno americano” con il pretesto di “esportare la democrazia” a tutti i costi… anche con le bombe. Il risultato è stato diametralmente opposto perché si è distrutta una democrazia su basi socialiste per dare origine al caos più totale per fini imperialisti.

È fallito in questi giorni anche il tentativo di “governo di transizione” annunciato dall’ex-Presidente Ghani, mentre gli americani se ne vanno lavandosi le mani come Ponzio Pilato.

Il dispiacere mediatico per l’abbandono degli USA sta creando un altro clima isterico in cui tutta la classe politica europea piange lacrime di coccodrillo dopo aver appoggiato questo grande crimine. La Germania della Merkel dice che bisognerà affrontare la questione dei profughi afghani con l’aiuto degli USA, indicando ancora una volta il problema come la “soluzione”.

Forse ha ragione, addirittura, Giorgia Meloni che, dopo aver votato per quindici anni finanziamenti alla guerra in Afghanistan in Parlamento, ha dichiarato in questi giorni che sono stati “Vent’anni di espropriazione di diritti, un fallimento dell’Occidente”.

Detto da una che di questo fallimento è stata complice fa ancora più impressione. Un fallimento già annunciato, quando i pacifisti lo dicevano nella piazze e quando “essere pacifisti” era uno stigma.

È del 1999 “Pappagalli Verdi. Cronache di un chirurgo di guerra”, libro-inchiesta scritto da Gino Strada, che provocò scalpore, anche perché aveva messo nero su bianco una vergogna italiana: Italia, maggior produttore di mine anti-uomo. L’uomo che produce ed usa mine anti-uomo: una perversione che Gino aveva visto nei contesti di guerra in cui ha operato tra Afghanistan, Somalia, Ruanda e Bosnia a fianco delle vittime delle guerre e dei mutilati dalle mine.

Strada denunciò l’atroce storia e il funzionamento di alcuni di queste, i cosiddetti “pappagalli verdi”, così chiamati perché di un colore verde acceso, molto simili a giocattoli dalla forma di uccello. I “pappagalli verdi” erano ordigni pensati, confezionati e venduti per un target specifico: i bambini. “Mine giocattolo studiate per mutilare bambini. Ho dovuto crederci, anche se ancora oggi ho difficoltà a capire” – così dichiarò Gino Strada.

Con le mine anti-uomo, l’Afghanistan è stato anche l’ennesimo fallimento umano dell’Occidente. Un fallimento che persiste ancora oggi nonostante la Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine Anti-Uomo del 1991 e la sottoscrizione del Trattato di Ottawa del 1997 con cui le mine antiuomo sono state vietate a livello mondiale, ratificato da 138 paesi fra cui l’Italia.

I morti per queste mine continuano ad esserci, né più né meno: dagli ultimi dati del 2019, sono circa 7.000 le vittime di questo tipo di armi e residuati bellici. Oltre 3.000 i morti e quasi 4.000 i feriti, mentre circa il 54% dei coinvolti sono bambini. L’alto numero di vittime si registra nei Paesi coinvolti in conflitti armati come Mali, Myanmar, Nigeria, Siria, Ucraina e, ancora, l’Afghanistan.

Ad oggi in Italia c’è un disegno di legge, il cui iter è cominciato nel 2010, che recita “Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo”, fermo da 11 anni nelle stanze del nostro Parlamento. Un complesso di norme pensato per impedire che gli operatori finanziari autorizzati possano investire in aziende produttrici di mine anti-persona e bombe a grappolo. Ma ad oggi non c’è volontà politica, nonostante in Italia le mine antiuomo non si producano più.

Forse, la guerra in Afghanistan, ha gettato le basi per quelle che sembrano essere le “guerre di quinta generazione” a base di “intelligenza artificiale”, rendendo obsoleti gli armamenti che vennero sfoggiati in Afghanistan per la prima volta come “sviluppo di nuove tecnologie militari”.

Gli americani oggi abbandonano, ma i motivi non sono noti, anche se nel 2014, quando per la prima volta dichiararono la fine delle operazioni nel Paese, dissero che la soluzione era “negoziare con i talebani”.

Una presa di posizione che venne legittimata da un documento dell’esercito USA del 2009 che proclamava la necessità di spostare l’enfasi dall’“attaccare il nemico in aree remote” al “proteggere e sviluppare i maggiori centri urbani”. Una scelta incomprensibile che portò, nel 2014, a ricollocare la maggior parte delle truppe americane nelle città, lasciando gli afghani da soli a combattere contro i talebani nelle aree rurali. L’anno dopo, l’Amministrazione Obama incoraggiò i comandanti afghani a rinunciare a difendere i checkpoint posti a notevole distanza dai centri urbani. Nel 2016, quando assunse l’incarico di comandante delle forze armate Usa in Afghanistan, il generale John Nicholson approvò in pieno la linea, nonostante fosse pienamente consapevole che quei checkpoint abbandonati erano finiti rapidamente sotto il controllo dei talebani.

Un’azione sprovveduta o una politica strategica?

Ad oggi sappiamo che il Presidente USA Joe Biden ha portato da 3 mila a 5 mila i militari inviati per l’evacuazione dei dipendenti dell’ambasciata Usa. A luglio aveva annunciato il ritiro completo dall’Afghanistan entro il 31 agosto 2021 ed è rimasto fermo nella sua decisione, dicendo ai giornalisti all’inizio di questa settimana che non si è pentito e che era tempo per gli afgani di “combattere per sè stessi”. Interessante che questa frase venga detta quando la situazione è nel caos, i talebani hanno il potere effettivo e che, in vent’anni di occupazione americana, la corruzione nelle istituzione afghane sia diventato un fenomeno farraginoso.

Se gli americani hanno lasciato un territorio in mano a chi, per anni, ci hanno detto di combattere, un motivo ci sarà. Ad essere realisti la situazione in Afghanistan non può solo  peggiorare e a guadagnare saranno sempre gli stessi, a meno che, per una volta nella storia, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU decida di adempiere al suo compito: mediare e risolvere i conflitti con la diplomazia. Questo sarebbe stato il sogno di Gino Strada che più volte, per sottolineare l’illegittimità del conflitto in Afghanistan, riprendeva l’articolo 11 della Costituzione italiana, in cui l’Italia rifiuta la guerra come mezzo di offesa.

Se in futuro una trattativa non ci sarà, è possibile che, con l’ennesima giustificazione del caso e l’ennesima rassicurazione mediatica dell’opinione pubblica, possa riprendere il conflitto armato con morti e con “bombe intelligenti” che, come disse un grande intellettuale, se fossero veramente intelligenti non scoppierebbero.

L’Afghanistan è stata una sperimentazione imperialista e continuerà ad esserlo.

 

https://www.google.com/amp/s/www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2021/04/04/news/mine_antiuomo-295037223/amp/

https://www.google.com/amp/s/www.ilfattoquotidiano.it/2021/04/04/giornata-mondiale-contro-le-mine-in-italia-non-se-ne-producono-piu-ma-si-attende-una-legge/6148944/amp/